Documento di cui non ho la fonte di riferimento. Mi scuso.
Troppo bello per essere vero. Forse avrebbero dovuto pensarla così le grandi banche statunitensi che a suo tempo partirono in quarta a finanziare i grandi progetti shale made in Usa quando, sull’onda dell’entusiasmo, si pensava che Washington, superato il sogno dell’autonomia energetica, potesse diventare addirittura esportatrice di petrolio. Tutto si poteva immaginare tranne quello che poi sarebbe successo in futuro. L’attuale presente.
Una merce che nessuno vuole
Non solo le grandi banche potrebbero avere seri problemi nel riuscire a rientrare dai prestiti fatti, ma stanno avendo anche gravi problemi nel riuscire a vendere i prestiti agli investitori specializzati. Un segno chiaro che il panorama del petrolio vedrà altre scosse e che anche per chi è solitamente abituato a maneggiare crediti e sofferenze, non vale la pena affacciarsi sull’affare, almeno per il momento.
I grandi big del credito statunitense hanno elargito fondi alle grandi società (e anche alle piccole) senza riuscire a passare al patata diventata ormai bollente nelle mani degli altri investitori. Con il risultato che oggi, come nel 2008, il pericolo di un crollo dell’intero sistema è sempre più concreto, anche perchè l’unica speranza è in un ritorno delle quotazioni ai livelli passati, cosa che attualmente sembra essere di fatto impossibile. Non solo, ma c’è da sottolineare il fatto che gran parte dei capitali è stata versata a società che offrono servizi alle aziende estrattrici e che perciò possono subire un tracollo dal rallentamento del prezzo senza avere le sponde di ammortizzamento che invece le altre hanno.
Pericolosamente interessanti le cifre
1000 miliardi di prestiti in dollari da parte delle banche, molti dei quali poi venduti sul mercato secondario,in particolare ai fondi comuni specializzati e che in questo ultimo periodo hanno dovuto registrare la fuoriuscita dei capitali da parte degli investitori che, nella migliore delle ipotesi, hanno assunto un atteggiamento di attesa, nella speranza di capire una volta per tutte la piega che potrà prendere il settore del petrolio. Piega che però dipende da troppi fattori, assolutamente interdipendenti tra loro, almeno in apparenza, e che potrebbero anche solo singolarmente, portare a brevi battute o sbalzi delle quotazioni. Un esempio arriva dalla Federal Reserve la cui scelta di allentare la presa sul rialzo dei tassi ha permesso un rialzo delle quotazioni del greggio, ma si è trattato solo di un fuoco di paglia perché immediatamente dopo le autorità del Kuwait e nello specifico il ministro del petrolio, Ali Al-Omair hanno specificato che l’Opec non ha intenzione di cambiare la sua strategia e perciò di mantenere invariata la produzione di greggio. Riportando il calo sulle quotazioni.