Non ho trovato riferimenti prima.
Me ne puoi indicare qualcuno?
l golpe fallito contro Chávez (2002)
Lo sciopero alla PDVSA
La televisione di Stato rese pubblica la registrazione di una telefonata tra Ortega e l'ex presidente
Carlos Andrés Pérez, profugo dalla giustizia rifugiatosi negli Stati Uniti, nella quale Perez diceva a Ortega di organizzare uno sciopero generale e di portarlo alle estreme conseguenze, di prendere contatto con
Pedro Carmona Estanga, attuale presidente di
Fedecamara e di concordare le azioni con lui. Un altro fatto che ebbe notevole peso sugli avvenimenti dell'11 aprile 2002 fu una riunione presso la sede della
Conferenza Episcopale Venezuelana in cui erano presenti, oltre ai componenti dell'alta gerarchia ecclesiastica, anche i vertici della CTV con Carlos Ortega in testa,
Fedecamara con Carmona Estanga e vari personaggi dell'opposizione. La seduta si chiuse con un inno alla democrazia, che delineò la composizione delle forze promotrici del
colpo di Stato contro Chávez.
Il 7 aprile, il presidente Chávez annunciò il licenziamento degli alti dirigenti e le proteste degli oppositori si intensificarono. Il 9 aprile la CTV e la Confindustria, con l'appoggio della
Chiesa cattolica, delle televisioni e dei partiti politici di opposizione, annunciarono uno sciopero generale di ventiquattro ore in sostegno dei dirigenti della
PDVSA. L'11 aprile fu organizzato un corteo di centomila persone che avrebbe dovuto dirigersi verso la sede della PDVSA, ma che un'arringa di Ortega deviò verso il
palazzo di Miraflores, sede della Presidenza per cacciare «quel traditore di Chávez», dando alla marcia, fino a quel momento
pacifica, ben altro scopo. La marcia, alle 12,30 dell'11 aprile 2002, riprese con in testa i sindaci scortati dalle loro polizie armate e motorizzate, ma senza che da quel momento si avesse più traccia di Ortega e dei suoi colleghi, scomparsi nel nulla.
Hugo Chavez in Brasile nel 2008
Già dalla notte attorno a Miraflores erano radunati migliaia di sostenitori di Chávez, in sentore di ciò che poteva accadere. Il corteo non arrivò a contatto con i simpatizzanti di Chávez perché dei
cecchini appostati nei palazzi circostanti cominciarono a sparare dapprima sui sostenitori di Chávez, poi sulle prime file del corteo. La gente segnalò alcuni cecchini sul terrazzo di un palazzo nei pressi di Miraflores, la Guardia Nazionale entrò nel palazzo e arrestò cinque persone armate di
fucili di precisione, con documenti falsi, qualcuno di origine colombiana. Imprigionati, furono successivamente liberati dagli insorti e di essi si persero le tracce. La
polizia metropolitana cominciò a sparare sulla gente che si trovava sul famoso ponte Laguno e che prese a scappare tentando di mettersi al riparo nei palazzi circostanti.
Le televisioni private solidali ai golpisti sostennero l'idea di scontro provocati dai sostenitori di Chávez (e questa versione, in un primo tempo, fu ripresa anche dai media internazionali), ma le innumerevoli riprese effettuate nella zona dimostrarono che gli scontri a fuoco non erano tra i componenti delle due marce, ma era la polizia metropolitana a sparare contro i sostenitori di Chávez. I primi caduti si ebbero verso le 15,00. Dalla testimonianza di un giornalista della
CNN,
Otto Neustald, si seppe che un gruppo di alti militari, verso le ore 11,30 eseguirono una registrazione di prova del loro pronunciamento in cui disconoscevano l'autorità del presidente parlando dei primi morti e addossandone la responsabilità a Chávez. Questo pronunciamento, registrato prima delle 12,00, fu mandato in onda dopo le prime reali uccisioni.
L'attacco dei militari al palazzo presidenziale
I militari si erano riuniti in
Fuerte Tiuna, presidio militare di
Caracas, assieme a Carmona Estanga, a una schiera di sostenitori e a una nutrita rappresentanza di militari americani. I militari insorti minacciavano Chávez, ancora a Miraflores, intimandogli di arrendersi, pena il
bombardamento del palazzo come avvenne con
Juan Domingo Perón e
Salvador Allende, anch'essi minacciati da forze filo-statunitensi (a differenza del
golpe cileno del 1973, la forte reazione popolare e delle milizie bolivariane causerà il fallimento della sollevazione, ma determinante fu anche la fedeltà di buona parte dell'esercito). Il Generale Rosendo faceva parte del complotto, ma fino all'ultimo ingannò Chávez, che lo credette un fedele alleato.
In un ultimo tentativo di evitare il peggio, Chávez cercò di attuare il
Plan Avila, un piano di emergenza (attuato anche per la visita di
papa Giovanni Paolo II) che, grazie alla presenza di mezzi blindati attorno al palazzo, avrebbe permesso la difesa delle istituzioni. Invece, proprio Rosendo fece arrivare con ritardo l'ordine di applicare il
Plan Avila. I blindati poi, usciti da Fuerte Tiuna, furono fatti subito rientrare da un contrordine lanciato dai cospiratori. Nel frattempo da
Maracay,
Raúl Isaías Baduel era pronto a inviare mezzi e uomini a Caracas e così mezzi blindati da
Maracaibo.
Chávez si consegna ai golpisti
Il
libertador Simón Bolívar, il massimo ispiratore di Chavez
A questo punto Chávez, per evitare la
guerra civile, decise di consegnarsi ai golpisti chiamando proprio Rosendo affinché lo accompagnasse a Fuerte Tiuna, dove verso le 23,00 dell'11 aprile, fu arrestato e posto in isolamento, in attesa di decidere sulla sua sorte. Chávez riuscì a mettersi in contatto con la moglie e un amico con un cellulare passatogli di nascosto da un ufficiale. Cominciò l'afflusso di gente dai ranchos di Caracas che chiedeva la liberazione di Chávez verso Fuerte Tiuna che fu circondato da oltre 600.000 persone.
La stessa notte Chávez venne trasferito da Fuerte Tiuna a
Turiamo, una base navale nel Nord-Est della Costa dello Stato di
Aragua e da lì fu poi trasferito all'isola
La Orcila, sede di una base logistica della Marina Militare. Il 12 aprile fu data la notizia del ritiro di Chávez e subito dopo Carmona Estanga si autoproclamò presidente del Venezuela.
Il Parlamento in carica fu sciolto, furono destituiti tutti gli altri poteri, fu dichiarato l'abbandono dell'
OPEC da parte del Venezuela, fu ripristinata la vecchia costituzione e dal nome ufficiale della nazione venne cancellata la parola "Bolívariana". Immediatamente gli Stati Uniti si affrettarono a riconoscere il nuovo governo, seguiti a breve intervallo dalla
Spagna, dove il quotidiano
El País, legato tramite il gruppo "Prisa" ad alcuni media venezuelani, giustificò il colpo di Stato. Anche
Regno Unito e
Israele riconobbero per via diplomatica il governo Carmona.
I media venezuelani ebbero un ruolo determinante sia nell'organizzazione che nell'esecuzione del golpe e dato che tutti erano convinti della sua definitiva riuscita, si sbilanciarono in interviste, trasmesse su tutte le reti, dove parlavano del lavoro organizzativo dei militari e civili artefici dell'evento.
Fallimento del golpe
Il 12 aprile a Caracas cominciarono seri disordini con saccheggi di negozi. Nei giorni 12 e 13 la polizia uccise più di 200 persone, gli ospedali accolsero centinaia di feriti. La gente, come già accaduto a Caracas, circondò anche la base dei paracadutisti del generale Baduel a
Maracay chiedendo a gran voce il ritorno di Chávez. Lo stesso avvenne in molte altre località; si calcola che in tre giorni più di sei milioni di persone siano scese per le strade a difendere Chávez e il suo governo.
Nella notte del 13 aprile l'allora
vescovo di Caracas,
Antonio Ignacio Velasco García, fu inviato all'isola La Orchila con un
jet privato probabilmente di proprietà dei Cisneros, dove avrebbe dovuto convincere Chávez a firmare la rinuncia e partire con lo stesso jet verso un'ignota destinazione, forse
Cuba. Durante l'incontro arrivarono tre
elicotteri per riportare Chávez a Miraflores.
Con il rientro di Chávez, e il suo ritorno al potere il 14 aprile, gli scontri e i saccheggi cessarono. Il golpe fallì, dunque, grazie al vastissimo appoggio popolare e all'esiguità del gruppo dei militari golpisti, formato soprattutto da alti ufficiali, mentre il grosso delle forze armate venezuelane, guidate dal generale dell'esercito
Raúl Isaías Baduel era rimasto fedele a Chávez e alla nuova costituzione. Carmona Estanga fuggì all'estero, riparando a
Miami, negli
Stati Uniti. Carlos Ortega, ricomparso sulla scena dopo essersi nascosto, si rese responsabile di nuovi disordini nel dicembre 2002 e nel
2003. Arrestato e condannato a 16 anni, fuggì di prigione nel
2006 e si rifugiò in
Perù.
Chávez in seguito, venendo criticato per questo, concederà l'amnistia a molti golpisti.
all'epoca avevo già il 2027 ,l'unico sul tlx allora