Gli Stati Uniti vogliono il
default del
Venezuela. Lo scopo è quello di mettere le mani sugli immensi giacimenti petroliferi di cui il paese caraibico dispone. Per farlo, Trump ha imposto nuove sanzioni al governo di Maduro, accusandolo di essere un “nemico della democrazia”, nel tentativo di far collassare l’economia interna e costringere il governo a dichiarasi insolvente.
In questo caso, i creditori, fra cui le più grandi istituzioni finanziarie USA (
Goldman Sachs ha acquistato recentemente bond della compagnia statale
Petroleos de Venezuela per 2,8 miliardi di dollari) avrebbero titolo ad allungare le mani sugli assets venezuelani e quindi sui giacimenti petroliferi. Come noto, poi, gli USA si sono avventurati in una campagna di sfruttamento dello shale oil allo scopo di far crollare i prezzi del greggio per mettere i paesi del Golfo Persico e la Russia in difficoltà spingendo i primi a muovere guerra all’acerrimo nemico Iran (da poco rientrato sul libero mercato petrolifero). Una guerra dei prezzi che – secondo gli esperti in commodities di Deutsche Bank – sarebbe dovuta durare non più di 8-12 mesi. Invece sono già tre anni che il greggio Wti viaggia sotto i 50 usd al barile con notevoli ripercussioni finanziarie a carico del sistema di sfruttamento dell’olio di scisto che ha un breakeven medio di 65 Usd. Logico presupporre che l’industria petrolifera e delle trivellazioni USA sta perdendo soldi a bocca di barile. Ragion per cui si attacca il Venezuela.
Le sanzioni USA al Venezuela
La scorsa settimana, l’amministrazione Trump ha vietato alle aziende e alle istituzioni finanziarie statunitensi di acquistare azioni e obbligazioni emesse dalle società pubbliche del paese latino americano, in particolare dalla compagnia petrolifera statale Petróleos de Venezuela, S.A. (Pdvsa) e dal governo di Caracas. Il presidente
Maduro ha accusato gli Stati Uniti di tentare di paralizzare l’economia del Venezuela mentre il paese sta vivendo una crisi economica e ha ribadito che il Paese onorerà regolarmente i propri debiti.
Le sanzioni non influenzano gli investitori
Francisco Rodríguez, capo economista presso Totino Capital – riporta
El Universal -che le sanzioni messe in atto dagli Stati Uniti in Venezuela “
non riguardano direttamente i titolari di obbligazioni esistenti. Le sanzioni sono state emanate nel tentativo di bloccare nuovi finanziamenti al Venezuela”. Rodríguez ha affermato che “
la negoziazione delle obbligazioni esistenti rimane legale e finché il governo continuerà a pagare i servizi di tale debito sarà un investimento molto redditizio sul mercato“. Rodriguez ha aggiunto che l’effetto di queste sanzioni “
sarà quello di generare un nuovo ciclo di tagli alle importazioni in Venezuela. Abbiamo già visto negli ultimi anni come le importazioni siano già state tagliate “. Per Rodríguez ci sarà inevitabilmente un impatto sulla capacità di pagare, nonostante i rendimenti superino il 30%, che non porta necessariamente al default. Il Venezuela manterrà il proprio impegno per il rimborso del debito, grazie anche al rinnovato sostegno finanziario della
Russia e della Cina.
Secondo Rodriguez, il paese si concentrerà sempre di più sui nuovi mercati, soprattutto verso la Cina, la Russia e l’India, come parte di un cambiamento strutturale a lungo termine che porterà ad un costante calo dei negoziati con gli Stati Uniti.