ariete22
Forumer storico
vedo che insisti nelle osservazioni stupide:giamaica2005 ha scritto:L'ultimo quote non esiste!
Il termine greco carisma (χάρισμα, "charisma") deriva dal sostantivo χάρις, "cháris" (grazia). Piuttosto raro nel greco profano, dove significa dono, non è frequente nel Nuovo Testamento. Si ritrova solo nell’epistolario paolinico e in I Pi. 4:10), ma è di grande importanza e riveste un significato particolare.
In alcuni passi “cárisma” indica la salvezza di Dio manifestata in Gesù Cristo, il dono della vita eterna (Ro. 6:23), della grazia (Ro. 5:15). In questo caso l’espressione sottolinea il carattere gratuito, libero della rivelazione, Dio è colui che dà nella sua misericordia. Anche iI testo di (Ro. 11:29 dove è fatta menzione dei doni di Dio riferiti in particolar modo alIa storia di Israele, ha significato analogo.
Caratteristico è però l’uso del termine in 1 Cor. 12:4,28,30,31 ed in (Ro. 12:6. In questo caso il càrisma non è la salvezza ma il dono di una vita spesa al servizio dei fratelli. “Ciascuno metta al servizio degli altri il dono che ha ricevuto, come buoni amministratori della multiforme grazia di Dio” cosí scrive Pietro (I Pi. 4:10).
Il dono della salvezza non diventa nella fede un possesso del singolo credente, un tesoro individuale, ma una fonte di doni. Il credente ha ricevuto il carisma della grazia per essere lui stesso in grado di dare.
Quali siano questi doni e questi servizi che iI credente è chiamato a dare ai fratelli non è mai stabilito nel Nuovo Testamento in modo preciso e categorico. Paolo dà degli esempi, cita dei casi concreti in I Cor. 12 e Ro. 12: l’apostolato, le guarigioni, la profezia, la glossolalia, la stessa fede per indicare una gamma vastissima di possibilità di servizio. La stessa vastissima accezione del termine si ritrova confrontando I Co. 7:7 e I Ti. 4:14; nel primo caso carisma indica la condizione familiare in cui il credente si trova, matrimonio o celibato, nel secondo la specifica vocazione missionaria di Timoteo.
Il contesto in cui Paolo affronta questo problema è un contesto polemico: i Corinzi sono convinti del fatto che il Signore vivente e presente durante il culto mediante il suo Spirito dia ai credenti doni particolari. Apprezzavano però le manifestazioni più appariscenti, eccezionali del culto quali la glossolalia, perché sembravano dimostrare in modo eloquente la potenza dello Spirito. Il carisma è interpretato dai Corinzi come un dono eccezionale, visibile, straordinario. Paolo intende correggere questa opinione dimostrando che i doni, cioè i carismi del Signore sono molteplici, complementari, egualmente necessari. Lo stesso Spirito che si manifesta nei fenomeni estatici della glossolalia o nei miracoli si manifesta anche nell’apostolato e nelle opere delia carità; il Signore che parla nel culto e nella Cena è lo stesso che ha chiamato a celibato l’apostolo e manifesta la sua volontà in questa scelta etica. Ogni carisma è una espressione valida della potenza di Cristo, ma nessun carisma può pensare di essere il solo strumento nello Spirito o uno strumento privilegiato.
L’argomento di Paolo si fonda sull’esempio del corpo umano, nei due casi dei Romani e dei Corinzi, con due impostazioni leggermente diverse però. Ai Romani l’apostolo ricorda che un corpo umano necessita di molte membra per assolvere la sua funzione, l’efficienza di un organismo è determinata dalla concordia delle sue parti: “siamo un solo corpo in Cristo” significa siamo nella fede una unità organica di servizi. Nella polemica contro i Corinzi si trova un pensiero analogo, ma molto piú ampio, che i carismi sono le membra del corpo di Cristo. La vita e la potenza di Cristo si manifestano nel mondo nella realtà di una comunità concorde e legata dal vincolo della Agape. Si manifestano però in modo pieno solo nella unità e totalità dei carismi operanti in questa comunità. L’apostolo di per sé, come il profeta, non può esprimere tutta la ricchezza e la potenza dell’opera di Cristo più di quanto un occhio e un orecchio possa esprimere la ricchezza di un corpo umano. L’espressione molto sintetica ed enigmatica del v. 27 “voi siete il corpo di Cristo” si riferisce alla comunità dei Corinzi ma non in quanto somma di credenti, sia pur riuniti nel nome di Cristo, ma alla somma dei doni, dei carismi, delle vocazioni di quella comunità. La chiesa non è corpo di Cristo in sé stessa e di per sé (una chìesa morta o infedele può essere strumento di peccato!): è tale solo in quanto sa coordinare le sue vocazioni ed i suoi carismi al servizio del Signore.
ORA FAMMI LA " GRAZIA" di leggerlo