100 MOTIVI PER NON VOTARE BERLUSCONI

poteva essere interessante

ma oltre ai 10 post di tont che ci erudisce tanto siamo tutti scemi
c'è una perla:

Ps. un dettaglio:
avete presente quanti miliardi non ha versato al fisco e poi ha usufruito del condono tombale legge approvata dal suo governo

a parte che sia tra i maggiori contribuenti in assoluto, tont ha mai sentito parlare di condono x gli errori formali?io si :lol:

Comunque era + interessante un post a testa non 10 di uno :P
 
tontolina ha scritto:
MENO TASSE.
PER LUI. PROMESSA MANTENUTA
http://www.wallstreetitalia.com/articolo.asp?ART_ID=343485

di Marco Travaglio
Non e' la prima volta che emerge questo rapporto, diciamo, evasivo fra il premier e il Fisco. Era stato lui stesso, in una leggendaria visita alla Guardia di Finanza, a teorizzare che un po' di evasione non fa male a nessuno...


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10 Gennaio 2006 22:57 ROMA

Il contenuto di questo articolo esprime il pensiero dell' autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) - Tutto si può dire di Silvio Berlusconi, fuorché non sia un uomo di parola. Aveva promesso «Meno tasse» e ha scrupolosamente mantenuto l’impegno. Fatto! È vero, sottilizzerà qualche sofistico, che aveva promesso "Meno tasse per tutti", ma era una classica figura retorica: il tutto per la parte. Per il momento, meno tasse per lui. Ma anche per i colleghi evasori fiscali, che non sono pochi. La notizia della modica quantità di denaro sborsata dal Cavaliere e dalle sue aziende per «sanare» un debituccio con l’erario di qualche decina di milioni di euro emerso nel processo sui diritti Mediaset è dunque incoraggiante. Ma non è una novità.

Non è la prima volta che emerge questo rapporto, diciamo, evasivo fra il premier e il Fisco. Era stato lui stesso, passando in rassegna le fiamme gialle in una leggendaria visita alla Guardia di Finanza, a teorizzare che un po' di evasione non fa male a nessuno, tantomeno a lui: "C'è una norma di diritto naturale che dice che se lo Stato ti chiede più di un terzo di quello che con tanta fatica hai guadagnato, c'è una sopraffazione dello Stato nei tuoi confronti e allora ti ingegni per trovare dei sistemi elusivi o addirittura evasivi che senti in sintonia con il tuo intimo sentimento di moralità e non ti fanno sentire colpevole" (11 novembre 2004).

Anche i suoi più stretti collaboratori hanno sempre avuto le idee chiare in materia: appena vedevano un maresciallo entrare in azienda per un'ispezione, gli mettevano in tasca una mazzetta perché se ne andasse, non potendoli assumere tutti nel gruppo come aveva fatto il Cavaliere con il primo visitatore in uniforme grigia, l'allora maggiore Massimo Maria Berruti, poi divenuto legale del gruppo e infine, previa condanna definitiva per favoreggiamento, deputato di Forza Italia. Furono tutti condannati, i manager rei confessi di quelle stecche: tre tangenti da 100 milioni ciascuna per ammorbidire le verifiche a Mediolanum, Mondadori e Videotime.

L'unico assolto (sia pure con formula dubitativa) fu il Cavaliere, sempre l'ultimo a sapere. Cosa avesse da nascondere, lo si scoprì qualche anno più tardi, quando la Procura di Milano mise le mani su 64 off-shore del "comparto riservato" Fininvest, capofila la mitica All Iberian, mai comparse sui bilanci del gruppo: custodivano la bellezza di 1550 miliardi di fondi neri. Ma il processo per falso in bilancio andò in prescrizione prim'ancora di cominciare, grazie alla provvidenziale riforma del falso in bilancio scritta dagli on. avv. dell'imputato e varata dal governo dell'imputato.

Intanto Marcello Dell'Utri, come ex presidente di Publitalia, veniva condannato a Torino per frode fiscale e false fatture e dunque premiato con un seggio sicuro al Senato e al Consiglio d'Europa. E Cesare Previti, con comprensibile orgoglio, si difendeva dall'accusa di aver pagato tangenti estero su estero a un gruppo di giudici romani adducendo come alibi le sue evasioni fiscali: tanto su 21 miliardi di "consulenze" versati in Svizzera dalla famiglia Rovelli nel '94 quanto su decine di miliardi di "parcelle" Fininvest, sempre estero su estero e senza uno straccio di fattura. Tutti fatti che risalivano a prima della provvidenziale discesa in campo del Cavaliere & soci.

Per quelli successivi, appunto, ci sono i condoni e le altre norme fiscali su misura varati dal Cavaliere medesimo. Grazie alla legge Tremonti-1 del '94 che defiscalizza gli utili reinvestiti, si gonfiano i costi di vecchi film già posseduti da società del gruppo e si risparmiano 243 miliardi di lire di tasse. Grazie all'abolizione della tassa di successione e sulle donazioni, si possono passare enormi capitali a figli o parenti vari senza lasciare un euro al fisco. Grazie allo scudo fiscale si possono eventualmente far rientrare capitali illegalmente esportati o guadagnati all'estero, pagando un modesto 2,5% allo Stato, e con l'assoluto anonimato.

Poi il capolavoro: il condono fiscale del 2003. Berlusconi giura solennemente che non se ne avvarrà, poi naturalmente se ne avvale: dei 197 milioni di euro di tasse non pagate che gli contesta l'erario, ne paga solo 35; ora completa l'opera con 1800 euro per decine di milioni mai pagati. Col decreto "spalmadebiti" del calcio, i passivi del Milan vengono diluiti su dieci anni, con un risparmio di 217 milioni di euro per il bilancio 2003. Infine la riduzione delle tasse: l'aliquota più alta - salvo contributo di solidarietà - scende al 39% e, secondo l'Espresso, il contribuente Berlusconi risparmia 760 milioni di euro l'anno. Infine gli sgravi fiscali tremontiani sulla vendita partecipazioni azionarie: l'estate scorsa il Cavaliere vende il 16.8% di azioni Mediaset incassando 2.2 miliardi di euro cash, praticamente esentasse. Ma lui, sia chiaro, "non ho mai fatto affari con la politica. Anzi, ci ho solo rimesso".
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per Felixeco: intendevi l'errore formale che evidenziava l'articolo sopra?
è ormai arcinoto a tutti e nessuno ha sentito parlare gli avvocati di berluska ma solo difensori d'ufficio sul suo libro paga
 
Nella terra eletta della rendita finanziaria
"Il Foglio" Venerdì 13 Gennaio 2006


Nel frastuono generale prodotto dalla misera caduta dei “furbetti” della finanza facile e nel polverone sollevato dalle reciproche accuse dei “furbetti” (si fa per dire) della politica, qualcuno si è accorto che una protagonista dell’economia post-industriale, la Lottomatica, ha compiuto la più grande acquisizione mai fatta da una società italiana negli Usa?

No, troppo impegnati a leggere intercettazioni e a pronosticare i prossimi avvisi di garanzia. Tuttavia, sarebbe ora che guardassimo all’essenza vera delle vicende che vanno sotto il nome di Bancopoli (e arretrati), la quale non attiene al coté giudiziario – francamente di relativa importanza – bensì riguarda il presente e soprattutto il futuro del nostro capitalismo. Facendolo, ne dedurremmo che stiamo diventando sempre di più la terra eletta della rendita, sempre meno quella della produzione manifatturiera (inevitabilmente) e con sempre meno probabilità quella dell’economia della conoscenza (drammaticamente). Il punto di svolta, in negativo, è senza dubbio l’opa Telecom del 1999. Checchè sembra dirne l’amico Roberto Colaninno – mi riservo di leggere il suo libro-intervista, incuriosito anche dalla domanda che si fanno un po’ tutti: “ma chi gliel’ha fatto fare, oggi che è a cavallo della Vespa, di riesumare il passato?” – si è trattato di una pura operazione finanziaria, e per di più fatta con strumenti (il debito e il leverage non chiuso dallo spezzatino) che negli Usa erano stati volontariamente accantonati dal mercato già da molti anni. Non mi importa conoscere se essa ha generato illeciti o anche solo opacità nel rapporto con il mondo politico, mi basta sapere che ha indebitato, zavorrandola rispetto alle potenzialità di sviluppo e di crescita internazionale, la più grande e più promettente azienda del Paese. E, detto per inciso, è questa la responsabilità politica su cui farebbe bene Massimo D’Alema ad autocriticarsi, perchè per un uomo politico e di governo non c’è niente di peggio che aver dato il proprio avvallo a qualcosa che compromette le prospettive del sistema-paese.
Da allora, da quella che fu definita la pietra miliare della modernizzazione del vecchio capitalismo tricolore (sic), il processo di finanziarizzazione della nostra economia ha preso a galoppare. L’attività immobiliare – non solo di vecchi e nuovi protagonisti del settore, ma soprattutto delle stesse imprese industriali (ah, a quanti spin-off abbiamo dovuto assistere!) – e quella finanziaria hanno finito col prevalere, diventando non solo un modo facile di fare grandi guadagni, ma assurgendo anche a status symbol della business community. E anche qui la politica ha avuto il torto non soltanto di non occuparsi dell’economia reale – in questi anni di bipolarismo straccione nulla ha unito di più i due poli che la mancanza di uno straccio di politica industriale – ma di benedire la rendita e i suoi uomini simbolo. Lo ha fatto il centro-destra – e non solo per gli interessi di Silvio Berlusconi, ma anche per un malinteso senso di rappresentanza del “patrimonio” rispetto al “reddito” – ma non meno il centro-sinistra, vuoi per la smania di promuovere un establishment “amico”, vuoi per il vuoto progettuale su cui poggia il suo pragmatismo post-ideologico, maturato per stato di necessità (la caduta del comunismo) e non per scelta. Nell’affermazione di Piero Fassino (intervista al Sole 24 Ore del 7 luglio 2005) secondo cui “non c’è un’attività imprenditoriale che sia pregiudizialmente migliore o peggiore di un’altra, né sul piano morale né su quello economico” e che “è tanto nobile costruire automobili o essere concessionario di telefonia, quanto operare nel settore finanziario o immobiliare”, c’è tutta la povertà dell’analisi della sinistra post-comunista (purtroppo anche di quella riformista). E non perchè debba valere il pregiudizio contrario, ma perchè così il leader dei Ds – ottenebrato dalla necessità di dire sì all’opa di Unipol su Bnl (è il titolo di quell’intervista) e dalla voglia di benedire chi stava scalando il “nemico” Corriere della Sera – ha dimostrato di non avere a mente che è proprio l’eccessiva patrimonizalizzazione e finanziarizzazione degli italiani (nessuno nel mondo occidentale vanta un rapporto di uno a otto tra pil e ricchezza privata) il vero nodo che soffoca la crescita del Paese. Anche qui, è sulla base di questo errore politico assolutamente strategico che avremmo voluto sentire l’autocritica di Fassino, non sull’altro.
Per fortuna che ogni tanto spunta qualche Lottomatica ad accendere la speranza che il declino sia arrestabile. Ma dura poco, se vedi in tv che Berlusconi si fa spiegare (efficacemente) da Bertinotti cosa significa governare un grande paese liberale.
http://www.enricocisnetto.it/primo_piano/nella_terra_eletta_della_rendita_finanziaria
 
al sciur Cisnetto non si è accorto che l'operazione Lottomatica è un'operazione levereggiata alla grande come solo Pellicioli sa fare

però non gli fa comodo accorgesene
è troppo intento a cercare qualcosa di positivo


però io mi domando:"ma stì americani sono così stuidi da farsi fregare un'occasione così ad un prezzo accettabile?"
UHM :specchio:
 
ARTEFATTI-berlusca_tarok.gif
 

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