Ieri ho osservato a lungo un monaco tibetano mentre era intento a realizzare un mandala. Lui era inginocchiato su un cuscino, curvo verso il pavimento, dove aveva appoggiato il disegno da comporre. All’inizio io ero in piedi, poi mi sono seduto poco distante da lui, in religioso, è il caso di dirlo, silenzio. Fra me e me mi sono chiesto: adesso voglio vedere questo quando alza la testa. Aveva una precisione chirurgica nel dosare le polveri colorate ma soprattutto, una calma glaciale. Dopo un po’, presumo un mezz’ora del mio tempo (il mio tempo è una misura dinamica, il suo presumo sia statica), alza la testa e mi guarda. Ancora non ho capito se mi abbia sorriso: difficile stabilire quando i tibetani sorridono, hanno tutti una fisionomia per la quale a sorridere sembrano gli occhi e non le guance. Io comunque ne ho approfittato per un laconico “complimenti”. E quello sai che mi ha risposto ? “
La fine del tempo è vicina”. Mah…..vicina a cosa ? A chi ? Gli ho chiesto.
Ma lui ha abbassato la schiena e lo sguardo ed tornato a concentrarsi sul suo lavoro. Allora io ho pensato che se avesse avuto, per un qualunque motivo, malauguratamente ragione, non mi capitava un’altra occasione come quella, e mi sono fermato ancora ad osservarlo. Fra l’altro eravamo avvolti da miscele varie di essenze ed incensi di ogni tipo, e se la fine dei tempi fosse una probabilità concreta, quantomeno del mio tempo, annusato l’olezzo da funerale, potrei dire di aver assistito alle mie esequie da vivo.
Comunque sono rimasto circa 2 ore ad ammirarlo. In questo tempo, lui ha alzato la testa solo un paio di volte per cambiare i colori da riversare nel suo mandala, di cui ha completato solo l’anello esterno. Non so se mi incuriosiva di più la sua arte o il personaggio in se. Direi lui però. Sarebbe potuto capitare un finimondo, che lui sembrava pronto ad osservarlo con distacco, quasi se l’aspettasse. Se non era per la polvere che cascava da una specie di beccuccio in ottone, non si capiva nemmeno se fosse vivo e respirasse.
Era già al lavoro da molto prima che io mi sedessi in parte. Poi me ne sono andato, salutandolo. Ha ricambiato con un cenno del capo. Considerando che è rimasto di fatto immobile per tutto quel tempo, il solo gesto del capo mi è sembrato quanto di più coinvolgente potesse esprimere.
Stanotte ci stavo pensando: ho avuto la fortuna di constatare dal vivo la pazienza. Di vederla con gli occhi. Di osservarla. Potrei dire che era talmente densa ed intensa la pazienza e calma che sprigionava quel monaco, da poterla quasi toccare.
Mah, boh. L’esperienza è di quelle che spiegano perché si dica che la calma è la virtù dei forti. Se la fine del tempo è vicina, presumo lo sarà anche dei morti. Però non mi faccio abbindolare così facilmente, e penso anche che la pazienza e la calma potrebbero essere pure quello di cui si dice, ma potrebbero essere tranquillamente i difetti di quelli a cui non gliene fotte un cazzo.
In entrambi i casi, è utile possederla. Impararla.
Quindi, porta pazienza.