APRIAMO GLI OCCHI PER NON DOVER APRIRE IL...

Stato
Chiusa ad ulteriori risposte.
Il mandato presidenziale di Donald Trump è davvero giunto al termine, e d’ora in poi,
occorrerà fare i conti, poi vedremo se nel bene o nel male,
con l’America guidata dall’Amministrazione democratica di Joe Biden e Kamala Harris.

Il tycoon, nel suo discorso di commiato, ha espresso più un arrivederci che un addio,
lasciando intendere di non voler abbandonare la lotta politica.

Circola già l’ipotesi di un partito tutto trumpiano, ossia un Patriot Party distinto dal Partito Repubblicano,
considerata, fra l’altro, la rottura consumatasi fra l’ex-presidente e i vertici del Gop (Grand old party),
ma al momento è più urgente provare ad interpretare le prime mosse della presidenza Biden
e l’atteggiamento dell’opposizione repubblicana che, dopo il ciclone Trump, deve in qualche modo rimodulare la propria azione.

È altresì di stretta attualità cercare di capire quanto dei quattro anni di Donald Trump rimarrà nella politica americana in generale,
e soprattutto nell’attività quotidiana dei repubblicani, nonostante l’allontanamento avvenuto anche su un piano personale
fra Trump ed esponenti come l’ex-vicepresidente Mike Pence e il leader del Gop al Senato, Mitch McConnell.

L’epilogo del primo mandato del tycoon newyorchese è stato davvero brutto e,
indipendentemente dalle vere o presunte colpe del presidente uscente circa l’assalto a Capitol Hill
e dalle strumentalizzazioni di una informazione da sempre ostile, si è trattato di una uscita di scena alquanto amara.

Tuttavia, i quattro anni di Trump sono stati tutt’altro che neri per gli Stati Uniti
e lasciano delle indicazioni importanti anche per il prossimo futuro,
sebbene vi sia già il tentativo diffuso di liquidare la presidenza di Donald Trump come una parentesi buia della storia americana,
un incidente da dimenticare ed archiviare al più presto.

L’economia a stelle e strisce non è mai stata in salute come negli ultimi anni, Covid a parte.

L’America ha recuperato il rapporto con un alleato storico come Israele,
attraverso una mossa di forte impatto e di grande coraggio come il trasferimento dell'ambasciata Usa a Gerusalemme;
una decisione storica presa poi anche da altri Paesi.

Gli Stati Uniti di Trump si sono resi fautori di una distensione altrettanto storica fra lo Stato ebraico e diversi Paesi arabi e musulmani.

Contrariamente a quell’isolazionismo più radicale sbandierato nella campagna elettorale del 2016,
di fatto Donald Trump non ha mai voluto cancellare con un colpo di spugna l’intera globalizzazione economica
o le alleanze militari internazionali.

Semmai, a livello economico e commerciale, ha inteso promuovere una globalizzazione diversa,
meno sino-centrica e più conveniente per le imprese americane.

Alla luce delle tante scorrettezze cinesi
, del successivo arrivo della pandemia e delle gravi responsabilità di Pechino,
la politica trumpiana, diciamo così, di diffidenza nei confronti della Cina si è rivelata nel tempo decisamente lungimirante.

Economia globale, scambi commerciali e politica, spesso si intersecano
e contenere la concorrenza sleale di un determinato Paese o di una potenza come la Repubblica Popolare cinese,
significa anche limitarne la nefasta influenza geopolitica e militare
.

Mantenere una certa pressione sulla Cina converrebbe anche al neo-presidente Joe Biden,
perché ciò sarebbe nell’interesse dell'America tutta, ovvero anche quella dei democratici e dei liberal.


Biden farebbe inoltre bene a non riproporre l’approccio di Barack Obama

della severità inopportuna verso gli amici di sempre come Israele, e dell’arrendevolezza nei confronti dei nemici.


Il primo Trump, quello della campagna elettorale del 2016, utilizzò senz’altro toni esasperati e a volte sguaiati,
tali da farlo apparire quasi come un leader di estrema destra e da creare, inoltre,
fondate perplessità presso gli ambienti conservatori tradizionali.

Ma una volta raggiunto lo Studio ovale il tycoon, al di là di alcuni tweet un po’ troppo spicci,
ha di fatto portato avanti una politica più conservatrice che estremista,
stemperando nell’azione quotidiana di governo gli eccessi dei comizi.

Quindi il Partito Repubblicano, anche in assenza della persona di Donald Trump
e nonostante le rotture recenti, sarebbe saggio se accettasse per i prossimi anni almeno parte dell'eredità politica dell’ex-Presidente.

Quell’America profonda che Trump riuscì a conquistare nel 2016, rimane diffidente, e spesso arrabbiata,
verso l’establishment e le cosiddette élite di Washington, tanto democratiche quanto repubblicane.

Ed è meglio che un certo scetticismo, per dirla all’italiana, anti-casta possa essere accolto e ricompreso
fra le varie anime del Partito Repubblicano, piuttosto che disperdersi in un terzo partito.

È possibile che la popolarità di Trump sia calata bruscamente dopo la brutta vicenda di Capitol Hill,
e i terzi incomodi non hanno mai avuto grande fortuna negli Usa.

Ma può anche succedere, chissà, che dopo qualche anno di prevedibile mediocrità della presidenza Biden,
e di una opposizione repubblicana magari troppo morbida, riesploda un malcontento generalizzato
e che Donald Trump o qualcun altro simile a lui si faccia trovare pronto a diventarne il leader.

Proposte politiche terze rispetto a repubblicani e democratici hanno finora avvantaggiato i secondi, e la memoria corre a Ross Perot.

Proprio l’esempio del magnate texano dovrebbe funzionare da monito negativo sia per Trump che per il Gop.


Perot non vinse mai una elezione presidenziale, si candidò alla presidenza Usa nel 1992 e nel 1996,

ma in compenso contribuì alla sconfitta elettorale di George Bush senior nel 1992.


.
 
se ricordo bene perot, al tempo vivevo la, fece un 10-20%.
mica male.
considerato che con neanche un 3% speranza fa il minestro della salute.

ma era un vecchiardo stile biden.
 
Trovato questo.


Con la scomparsa, a 89 anni, di Henry Ross Perot,
se ne va uno dei personaggi che maggiormente hanno anticipato i tempi della politica americana negli ultimi trent'anni:
fu lui, infatti, a portare nell'immaginario collettivo l'idea che un miliardario avulso dalla vita politica, e fuori dalle regole,
potesse andare alla Casa Bianca e travolgere i ritmi e i consolidati equilibri di Washington.


Perot scompare nel momento in cui essere miliardari e fare politica è naturale:
il presidente degli Stati Uniti è il tycoon Donald Trump,
tra i democratici, da mister Starbucks, Howard Hughes, a Michael Bloomberg,
molti super ricchi hanno accarezzato l'idea di candidarsi. O continuano a farlo.

Proprio oggi tra i Dem si è aggiunto ufficialmente un altro candidato, il ventunesimo,
Tom Steyer, uomo con un patrimonio personale da 1,6 miliardi di dollari creato con la sua società di gestione fondi.



Ross Perot resterà il miliardario texano venuto fuori dalla povertà
e arrivato a correre per due volte per la Casa Bianca come candidato di un terzo partito.

Da bambino, in Texas, aveva cominciato a consegnare giornali in sella a un pony,
ma i miliardi li fece nell'era moderna, quando con i mille dollari prestati dalla moglie fondò,
nel '62, la Electronic Data Systems Corporation, una compagnia che avrebbe garantito assistenza alle aziende agli albori dell'era dei computer.


Gli eventi che lo resero davvero famoso furono due:

il suo tentativo, nel '69, di consegnare cibo ai prigionieri americani in Vietnam,
un episodio che ebbe il merito di far uscire dall'ombra la condizione dei prigionieri di guerra.

E quando, nel '79, finanziò un commando perché liberasse due suoi dipendenti tenuti prigionieri in Iran.
Quella storia ispirò un libro di Ken Follett e un film.


Dopo aver venduto, nell'84, la sua azienda alla General Motors, incassando la cifra record di 2,5 miliardi di dollari,
otto anni dopo, a sorpresa, Ross Perot annunciò durante un'intervista in diretta a Larry King, sulla Cnn, la sua candidatura alle presidenziali del '92.

Rispetto a Ronald Reagan, l'ex star di Hollywood ma con esperienza da governatore della California,
la figura di un miliardario con il sogno di guidare gli Stati Uniti sparigliò le carte.


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Ross Perot conquistò il 18% dei voti, arrivò terzo, dietro Bill Clinton e George Bush senior.

Il suo successo, secondo gli storici, risultò decisivo per la sconfitta del presidente repubblicano.


Quattro anni dopo, Ross Perot ci riprovò, ricevendo l'8% dei voti. Clinton venne rieletto.

Da quel momento, il miliardario texano uscì di scena, per concentrarsi su opere di beneficenza e filantropia,
come la creazione del museo di scienze naturali a Dallas.

Ma è sempre rimasto per gli americani il miliardario che sognava la Casa Bianca.

A marzo 2019 Forbes lo aveva inserito al numero 478 della lista degli americani più ricchi, con un patrimonio di 4,1 miliardi di dollari.

All'inizio dell'anno gli era stata diagonisticata una forma aggressiva di leucemia.
 
si e a Washington non se n'è accorto nessuno :lol:
Dalla gente presente e' vero non se ne accorto nessuno....dopo avere preso "80.000.000 di voti" hanno sostituito le persone con le bandierine.

Tranquillo Mortimer e' una fake news.
 

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Il mandato presidenziale di Donald Trump è davvero giunto al termine, e d’ora in poi,
occorrerà fare i conti, poi vedremo se nel bene o nel male,
con l’America guidata dall’Amministrazione democratica di Joe Biden e Kamala Harris.

Il tycoon, nel suo discorso di commiato, ha espresso più un arrivederci che un addio,
lasciando intendere di non voler abbandonare la lotta politica.

Circola già l’ipotesi di un partito tutto trumpiano, ossia un Patriot Party distinto dal Partito Repubblicano,
considerata, fra l’altro, la rottura consumatasi fra l’ex-presidente e i vertici del Gop (Grand old party),
ma al momento è più urgente provare ad interpretare le prime mosse della presidenza Biden
e l’atteggiamento dell’opposizione repubblicana che, dopo il ciclone Trump, deve in qualche modo rimodulare la propria azione.

È altresì di stretta attualità cercare di capire quanto dei quattro anni di Donald Trump rimarrà nella politica americana in generale,
e soprattutto nell’attività quotidiana dei repubblicani, nonostante l’allontanamento avvenuto anche su un piano personale
fra Trump ed esponenti come l’ex-vicepresidente Mike Pence e il leader del Gop al Senato, Mitch McConnell.

L’epilogo del primo mandato del tycoon newyorchese è stato davvero brutto e,
indipendentemente dalle vere o presunte colpe del presidente uscente circa l’assalto a Capitol Hill
e dalle strumentalizzazioni di una informazione da sempre ostile, si è trattato di una uscita di scena alquanto amara.

Tuttavia, i quattro anni di Trump sono stati tutt’altro che neri per gli Stati Uniti
e lasciano delle indicazioni importanti anche per il prossimo futuro,
sebbene vi sia già il tentativo diffuso di liquidare la presidenza di Donald Trump come una parentesi buia della storia americana,
un incidente da dimenticare ed archiviare al più presto.

L’economia a stelle e strisce non è mai stata in salute come negli ultimi anni, Covid a parte.

L’America ha recuperato il rapporto con un alleato storico come Israele,

attraverso una mossa di forte impatto e di grande coraggio come il trasferimento dell'ambasciata Usa a Gerusalemme;
una decisione storica presa poi anche da altri Paesi.

Gli Stati Uniti di Trump si sono resi fautori di una distensione altrettanto storica fra lo Stato ebraico e diversi Paesi arabi e musulmani.

Contrariamente a quell’isolazionismo più radicale sbandierato nella campagna elettorale del 2016,
di fatto Donald Trump non ha mai voluto cancellare con un colpo di spugna l’intera globalizzazione economica
o le alleanze militari internazionali.

Semmai, a livello economico e commerciale, ha inteso promuovere una globalizzazione diversa,
meno sino-centrica e più conveniente per le imprese americane.

Alla luce delle tante scorrettezze cinesi
, del successivo arrivo della pandemia e delle gravi responsabilità di Pechino,
la politica trumpiana, diciamo così, di diffidenza nei confronti della Cina si è rivelata nel tempo decisamente lungimirante.

Economia globale, scambi commerciali e politica, spesso si intersecano
e contenere la concorrenza sleale di un determinato Paese o di una potenza come la Repubblica Popolare cinese,
significa anche limitarne la nefasta influenza geopolitica e militare
.

Mantenere una certa pressione sulla Cina converrebbe anche al neo-presidente Joe Biden,
perché ciò sarebbe nell’interesse dell'America tutta, ovvero anche quella dei democratici e dei liberal.


Biden farebbe inoltre bene a non riproporre l’approccio di Barack Obama

della severità inopportuna verso gli amici di sempre come Israele, e dell’arrendevolezza nei confronti dei nemici.



Il primo Trump, quello della campagna elettorale del 2016, utilizzò senz’altro toni esasperati e a volte sguaiati,
tali da farlo apparire quasi come un leader di estrema destra e da creare, inoltre,
fondate perplessità presso gli ambienti conservatori tradizionali.

Ma una volta raggiunto lo Studio ovale il tycoon, al di là di alcuni tweet un po’ troppo spicci,
ha di fatto portato avanti una politica più conservatrice che estremista,
stemperando nell’azione quotidiana di governo gli eccessi dei comizi.

Quindi il Partito Repubblicano, anche in assenza della persona di Donald Trump
e nonostante le rotture recenti, sarebbe saggio se accettasse per i prossimi anni almeno parte dell'eredità politica dell’ex-Presidente.

Quell’America profonda che Trump riuscì a conquistare nel 2016, rimane diffidente, e spesso arrabbiata,
verso l’establishment e le cosiddette élite di Washington, tanto democratiche quanto repubblicane.

Ed è meglio che un certo scetticismo, per dirla all’italiana, anti-casta possa essere accolto e ricompreso
fra le varie anime del Partito Repubblicano, piuttosto che disperdersi in un terzo partito.

È possibile che la popolarità di Trump sia calata bruscamente dopo la brutta vicenda di Capitol Hill,
e i terzi incomodi non hanno mai avuto grande fortuna negli Usa.

Ma può anche succedere, chissà, che dopo qualche anno di prevedibile mediocrità della presidenza Biden,
e di una opposizione repubblicana magari troppo morbida, riesploda un malcontento generalizzato
e che Donald Trump o qualcun altro simile a lui si faccia trovare pronto a diventarne il leader.

Proposte politiche terze rispetto a repubblicani e democratici hanno finora avvantaggiato i secondi, e la memoria corre a Ross Perot.

Proprio l’esempio del magnate texano dovrebbe funzionare da monito negativo sia per Trump che per il Gop.


Perot non vinse mai una elezione presidenziale, si candidò alla presidenza Usa nel 1992 e nel 1996,

ma in compenso contribuì alla sconfitta elettorale di George Bush senior nel 1992.


.
sono d'accordo, a me Trump non mi è mai piaciuto, però è evidente la strumentalizzazione dei media mondiali polarizzati contro di lui su qualunque cosa al punto di rendermelo simpatico. Perchè ora e grazie a Trump penso sia evidente a tutti in che pericolo siano tutte le democrazie mondiali a causa di questa enorme concentrazione di poteri (politici-finanziari e di comunicazione) che mai come in questo momento appaiono in tutta la loro potenza e capacità vessatoria
 
Eh, forse una volta ti avrei dato ragione. Adesso, toccando per mano l'ipocrisia, il bigottismo, le doppie/triple/quadruple facce della gente, dico che ci sono i presupposti per ribaltare il tavolo, ma nessuno accetta di farlo. Perchè sono presupposti di coerenza ripetutamente infangata ma mancano ancora i presupposti per l'indigenza economica bruciante e immediata.

Per fare le rivoluzioni serve il coraggio. I francesi, a modo loro, ne hanno fatte 3. Noi li perculiamo, ma noi siamo un popolo di pecore con la dissenteria.
Se le discussioni hanno per oggetto il danno degli impianti da sci, piuttosto che gli alberghi in crisi, ci stiamo lamentando della, presunta, limitazione degli svaghi. Quindi del nulla esistenziale.

Siamo ancora troppo ricchi per discutere del pranzo e della cena. Leva il pane da tavola e poi vedrai che succede. Ma il pane c'è. Non per tutti, ma c'è. Per quelli per i quali non c'è, in realtà non c'è mai stato: tuttavia, chi è indigente, non ha ne tempo ne voglia di perdere tempo per lamentarsi, perchè il suo tempo è solo dedicato a recuperare il pane.

Einaudi (lo cito non perchè mi piacesse), in quanto Presidente della Repubblica, poteva godere di privilegi che 99 italiani su 100 non si potevano permettere. Quindi, quando cenava al Quirinale, gli veniva servita una cena, per lui, troppo abbondante. Arrivato alla frutta, divenne famoso uno suo comportamento: gli venivano portate delle pere enormi. Siccome era una persona corretta e integerrima, davanti ad una pera troppo voluminosa per essere consumata da un solo individuo, la tagliava e chiedeva sempre ai camerieri se desiderassero condividerla con lui, trovando inconcepibile sprecarne buona parte.

Non mi pare che il rispetto delle cose, del denaro e della materialità di tutti, quindi altrui e non solo nostra, possa essere un impegno soffocante ed insostenibile.

Bisogna, semplicemente, non essere ladri.

E invece, gli italiani, sono ladri. Sono pecore. Sono bighelloni e aspettano solo che qualcuno gli pulisca il culo.


io sono meno romantico di te, penso che il popolo si solleva solo quando c'e' una fazione tipo il trump di turno (esempio tanto per capirci, nel nostro tanto cantato 800 erano i ricchi che si tagliavano le gambe in prigione accarezzandosi con le rose) quindi un ricco come quelli da rovesciare a cui girano le scatole e rovescia il tavolo ed organizza il parco buoi che e' il popolo.

nella storia e' sempre stato cosi'

non esistono i masanielli.

quelli li inventano dopo quando e' ora di scrivere i libri.
 
Eh, forse una volta ti avrei dato ragione. Adesso, toccando per mano l'ipocrisia, il bigottismo, le doppie/triple/quadruple facce della gente, dico che ci sono i presupposti per ribaltare il tavolo, ma nessuno accetta di farlo. Perchè sono presupposti di coerenza ripetutamente infangata ma mancano ancora i presupposti per l'indigenza economica bruciante e immediata.

Per fare le rivoluzioni serve il coraggio. I francesi, a modo loro, ne hanno fatte 3. Noi li perculiamo, ma noi siamo un popolo di pecore con la dissenteria.
Se le discussioni hanno per oggetto il danno degli impianti da sci, piuttosto che gli alberghi in crisi, ci stiamo lamentando della, presunta, limitazione degli svaghi. Quindi del nulla esistenziale.

Siamo ancora troppo ricchi per discutere del pranzo e della cena. Leva il pane da tavola e poi vedrai che succede. Ma il pane c'è. Non per tutti, ma c'è. Per quelli per i quali non c'è, in realtà non c'è mai stato: tuttavia, chi è indigente, non ha ne tempo ne voglia di perdere tempo per lamentarsi, perchè il suo tempo è solo dedicato a recuperare il pane.

Einaudi (lo cito non perchè mi piacesse), in quanto Presidente della Repubblica, poteva godere di privilegi che 99 italiani su 100 non si potevano permettere. Quindi, quando cenava al Quirinale, gli veniva servita una cena, per lui, troppo abbondante. Arrivato alla frutta, divenne famoso uno suo comportamento: gli venivano portate delle pere enormi. Siccome era una persona corretta e integerrima, davanti ad una pera troppo voluminosa per essere consumata da un solo individuo, la tagliava e chiedeva sempre ai camerieri se desiderassero condividerla con lui, trovando inconcepibile sprecarne buona parte.

Non mi pare che il rispetto delle cose, del denaro e della materialità di tutti, quindi altrui e non solo nostra, possa essere un impegno soffocante ed insostenibile.

Bisogna, semplicemente, non essere ladri.

E invece, gli italiani, sono ladri. Sono pecore. Sono bighelloni e aspettano solo che qualcuno gli pulisca il culo.


L'operazione di oggi in Calabria parlava di 250 mln di euro.. Altro che ladri.. Questa gente.. Subito kaput.. Ci sono intercettazioni prove bancarie?.. Kaput e stop.. E poi vediamo cosa succede...

Troppo lassismo.. Cesa si è dimesso da segretario di partito.. Col cazz che si è dimesso da parlamentare...

Ma di cosa vogliamo parlare?

Se ripeto ci sono intercettazioni e prove bancarie.. Discorso finito.. Niente processo...
5 anni e vedi come cambia il paese
 
Stato
Chiusa ad ulteriori risposte.

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