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non è tornato

l'hanno chiamato
:(:(:(

MONTI ipertassa la popolazione e mantiene gli sprechi della casta


Bella batosta ai Manager pubblici: Governo battuto e le pensioni d’oro si abbassano di tanto!!


Scritto il 2 maggio 2012 alle 18:41 da Agata Marino
Signori esiste un Dio! Governo battuto in Senato su un emendamento dell’Idv, appoggiato dalla Lega, su una norma sulle pensioni dei manager pubblici. Hanno votato a favore in 124 (Idv, Lega e Pdl), i contrari 94. L’emendamento delle opposizioni aveva ricevuto il parere contrario dell’esecutivo. Il governo aveva inserito nel decreto sulle commissioni bancarie per evitare ricorsi, alla luce di precedenti sentenze della Corte costituzionale in tema previdenziale source
In pratica la norma soppressa ‘salvava’ in parte i riflessi previdenziali dalle disposizioni sul tetto agli stipendi dei manager pubblici. L’articolo abrogato integrava un comma del decreto Salva Italia, che imponeva un contributo di solidarietà per gli stipendi dei manager pubblici oltre i 300.000 euro annui. L’articolo stabiliva che questo «taglio» di stipendio era ininfluente nel definire la pensione per la parte calcolata con il metodo retributivo.
«Questo articolo – aveva detto in aula il sottosegretario Claudio De Vincenti – fa sì che i dirigenti della Pubblica amministrazione che hanno già maturato i requisiti di pensionamento, che volontariamente prolungano la loro attività, al momento dell’andata in pensione avranno l’assegno calcolato sulla situazione maturata al 22 dicembre 2012». L’articolo non comportava oneri per la finanza pubblica e il governo lo aveva inserito nel decreto sulla commissioni bancarie per evitare possibili ricorsi, alla luce di precedenti sentenze della Corte costituzionale in tema previdenziale.
Ora la pensione verrà calcolata in base ai contributi e non in base alla retribuzione vecchia, per esempio se prima della riduzione percepivano 500.000 euro ora con la riduzione ne percepiranno 300.000 e se passava la norma messa dal Governo la pensione sarebbe stata calcolata sui 500.000 capito il governo Monti???
 
Tedeschi studiano fine euro, è allarme disoccupazione

Tedeschi studiano fine euro, è allarme disoccupazione


Di Francesca Gerosa
Tedeschi studiano fine euro, allarme disoccupazione - Milano Finanza Interactive Edition


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Mentre uno studio tedesco sottolinea che un eventuale fine dell'euro sarebbe una catastrofe per tutti a livello mondiale, Germania compresa, è allarme disoccupazione in Ue. Da uno studio condotto dall'Istituto per la ricerca economica mondiale di Amburgo (Hwwi) e della società di auditing Pwc di Francoforte emerge che una spaccatura dell'Eurozona o una riduzione dell'euro a pochi Paesi avrebbe per le imprese conseguenze imprevedibili a livello mondiale.

In particolare, un euro ristretto a pochi Paesi avrebbe conseguenze catastrofiche proprio per le esportazioni tedesche
. Per il presidente di Hwwi, Thomas Straubhaar, ad aver ancora meno interesse a una spaccatura dell'euro sono i Paesi europei in crisi, poiché in primo luogo traggono profitto dalla forza della Germania nell'euro, in secondo luogo sarebbero fuori gioco nel competere da soli con economie così potenti come quelle di Cina e Stati Uniti.

L'Eurozona dovrà affrontare una lunga fase di consolidamento e di grandi riforme di struttura, poiché almeno per i prossimi cinque anni i Paesi europei in crisi avranno bisogno del sostegno di quelli dell'Ue più stabili. Ciò comporterà una crescita ridotta nell'Eurozona e un durevole livello di disoccupazione.

Le aziende dovranno puntare nei prossimi anni sulla crescita al di fuori dell'Eurozona, in particolare in Cina e negli Stati Uniti.

Al contempo i responsabili dei due istituti invitano le aziende tedesche a investire nei Paesi europei in difficoltà. "Per aumentare la competitività a livello internazionale", è scritto nel rapporto, "le aziende tedesche devono prendere in esame un'accresciuta produzione nei Paesi dell'euro in crisi", perché "in essi il livello dei salari dovrebbe crescere di poco a medio termine. Un'altra opzione è la partecipazione o la presa di controllo di aziende nei Paesi in crisi".

Facile a dirsi, difficile a farsi visto che anche in Germania a sorpresa è aumentato leggermente il numero dei senza lavoro ad aprile. Il tasso di disoccupazione su base destagionalizzata è infatti salito il mese scorso al 6,8% dal 6,7% col numero dei disoccupati in rialzo di 19.000 unità a 2,87 milioni, secondo i dati dell'Ufficio federale del lavoro.

Si tratta del primo incremento da sei mesi a questa parte. Le attese erano per un calo di 10.000 unità. Il tasso grezzo di disoccupazione è comunque sceso su base annua al 7% dal 7,3%, con un calo mensile di 65.000 unità a 2,963 milioni. Se dunque la disoccupazione cresce, ma solo leggermente, in Germania, in Europa, e in Italia in particolare, è vero allarme.

Secondo Eurostat, a marzo è salita al 10,9%, rispetto al 10,8% del mese precedente, nell'eurozona, mentre nell'Ue a 27 è rimasta stabile al 10,2%. Un anno fa il tasso di disoccupazione era rispettivamente del 9,9% e del 9,4%. Per quanto riguarda l'Italia, a marzo è salita al 9,8%, rispetto al 9,6% di febbraio ed all'8,1% del marzo 2011, mentre la disoccupazione fra i giovani sotto i 25 anni è balzata al 35,9%, rispetto al 33,9% del mese precedente.

L'Ufficio statistico dell'Ue stima che a marzo ci fossero 24 milioni 772mila senza lavoro tra uomini e donne, di cui 17 milioni 365mila nell'area euro. "Gli ultimi dati sulla disoccupazione in Europa sono molto preoccupanti e confermano l'urgenza di creare un mercato del lavoro più dinamico", ha commentato un portavoce della Commissione europea.

"Abbiamo bisogno di riforme del mercato del lavoro nei Paesi membri", ha insistito Jonathan Todd, portavoce del commissario all'Occupazione, sottolineando anche la necessità di prendere misure non solo per creare più posti di lavoro, ma anche posti di lavoro migliori e sostenibili.

L'Italia da parte sua ha accorciato il divario con la media europea (ma il dato reale anche solo considerando una parte degli scoraggiati sale attorno al 13%, cioè ben più della media europea, secondo Fulvio Fammoni della Cgil Nazionale), ma non c'è nulla da rallegrarsi.

La disoccupazione ha raggiunto una dimensione che mette oggettivamente a rischio la coesione sociale che sin qui, nonostante tutto, nel corso di questi quattro anni difficili, ha retto, tanto che per l'ex ministro del lavoro, Maurizio Sacconi, i dati sembrano indicare qualcosa di più grave di una recessione, una vera e propria depressione dell'economia e della società.

"Ciò implica una risposta ben più forte nel segno della liberazione della vitalità dai tanti lacci e lacciuoli che la inibiscono e ciò vale anche per la regolazione del lavoro. Il disegno di legge non deve solo migliorare rispetto a se stesso ma soprattutto rispetto alla legislazione che c'è in termini di propensione ad assumere. Sarebbe davvero antistorico un provvedimento subìto dalle imprese e percepito come una ulteriore ragione di freno ad assumere. Serve esattamente il contrario. Altrimenti è meglio tenere la regolazione che c'è", ha sottolineato Sacconi.

La Cgil punta il dito contro chi "ancora incredibilmente teorizza l'utilità di licenziamenti facili" e risponde alla destra che ancora oggi indica la precarietà come soluzione al problema. "Basta agli slogan e agli annunci inconcludenti. Questo dramma sociale si inverte solo arrestando la recessione, con politiche di crescita e di sviluppo straordinarie".

La Cisl parla addirittura di una "miscela esplosiva" nel Paese, tra aumento della disoccupazione, aumento delle tasse, blocco degli investimenti pubblici e privati. E' chiaro ormai per il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, che il Governo dei professori non basta. "Qui occorre una svolta nella politica economica, altro che spending review", ha aggiunto il leader della Cisl.

Sono passati quasi 6 mesi dall'insediamento del Governo Monti, occorrerà nominare nuovi tecnici? E' sicuramente preoccupante che lo stesso ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, abbia ammesso che i dati di oggi dell'Istat "sono l'effetto delle misure che abbiamo dovuto prendere per evitare lo scivolamento dei conti pubblici, mentre non si può avere ancora l'effetto delle misure strutturali per lo sviluppo della crescita".
 
solite qazzate giornalettistiche

per non parlare delle "politiche di crescita e sviluppo straordinarie"

le politiche di crescita e sviluppo
sono quelle che convincono chi ha i soldi ad investirli per guadagnarci e far guadagnare chi lavora per loro
e sono molto ordinarie
basta farle
 
Ultima modifica:
Un altro bastardo che si aggiunge alla lista. Questo pagherà per quello che farà ora e per quello rubato direttamente agli italiani in una notte di molti anni fa...
 
SPENDING REVIEW/ Quei 400 miliardi "dimenticati" da Monti e co.



INT.
Ugo Arrigo
mercoledì 2 maggio 2012


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Mario Monti (Infophoto)




Il professor Ugo Arrigo risveglia la memoria degli italiani, che in genere sembrano sempre smemorati. Docente di Scienza delle Finanze all’Università Bicocca di Milano, spiega che la spending review fu istituita il 30 marzo del 1981 (trentuno anni fa) e sospesa due volte dal ministro Giulio Tremonti in questo ultimo decennio. È una puntualizzazione importante, perché in quel lontano 1981 c’era un governo Forlani, sorretto dal pentapartito della “prima repubblica”. La spending review non è quindi una scoperta del “governo dei tecnici”, come pare leggendo la grande stampa di oggi. Ci sono però grandi differenze. Fa notare Ugo Arrigo che in quel tempo (ormai si può dire così) la spesa pubblica totale era il 42% del Pil (è stata il 49,9% nel 2011), la pressione fiscale era al 31% (oggi è al 45%), il debito pubblico era al 56% del Pil, mentre oggi siamo al 120,1%. E il Pil era cresciuto nel 1980 del 3,1%, mentre oggi viviamo un 2012 che dovrebbe registrare, secondo l’Ocse, un -1,9%.

Professore, dopo la lunga riunione di ieri del Consiglio dei ministri, si prevede che con la spending review ci siano 295 miliardi di uscite che vengono definite “aggredibili”, cioè che si possono ridurre o eliminare, ma il taglio previsto per il 2012 sarebbe di 4,2 miliardi. Che ne pensa?

Mi pare che vogliano recuperare una briciola, una briciolina. Quanto alle uscite “aggredibili”, io faccio una stima differente, molto differente. Mettiamo da parte le spese per il Welfare e le pensioni, che sono tra l’altro già state riformate. Se lei mette insieme tutte le spese per i servizi, i consumi intermedi e le varie voci, ci si può rendere conto che la spesa “aggredibile” arriva a 400 miliardi.

Com’è possibile questa differenza?

Guardi, inutile soffermarci su singole voci. Facciamo solo un esempio: una siringa, in una Asl, può costare da 1 a 10 euro, a secondo di come funziona la sanità in una regione. Tenga conto poi che in questa massa di spesa pubblica ci sono domande collettive, ma anche domande che non lo sono affatto. A conti fatti, secondo la stima che faccio, la spending review programmata per quest’anno taglierebbe l’1%. Mi sembra un risultato più che modesto, per usare solamente un eufemismo.

C’è anche una questione di tempi, che probabilmente va considerata. Dopo 31 anni di studi, a maggio del 2012, si arriva a un Consiglio dei ministri sulla spending review.

Sì, è una tempistica piuttosto speciale. Prima si è tassato tutto quello che era possibile tassare, poi si guarda se nei capitoli di spesa ci sono errori o inefficienze. Una tempistica veramente speciale. Qualsiasi azienda in difficoltà cosa fa in genere? Guarda complessivamente i suoi bilanci, guarda dove ci sono gli errori, le inefficienze, le troppo spese. Insomma, guarda nel suo insieme e cerca di razionalizzare in modo funzionale, con coerenza. Qui si è scelta invece la politica dei due tempi. Gli errori e le inefficienze si vanno a cercare dopo.


Tutto questo avviene mentre nel Paese comincia a diventare insopportabile la pressione fiscale. E ci sono i primi messaggi, vengono da alcuni comuni, anche da diverse forze politiche, di rivolta fiscale. Il premier ha risposto stigmatizzando taluni comportamenti e ha detto che abolire l’Ici è stato un errore.

Evidentemente il professor Monti non si accorge che la pressione fiscale sta diventando intollerabile. Occorre mettere accanto a questa pressione fiscale le spese che una famiglia deve affrontare per vivere dignitosamente. Quindi tutte le tasse indirette, le accise sulla benzina, le bollette di luce e gas, le spese di trasporto. Si capisce facilmente perché secondo alcune analisi e alcuni dati la metà degli italiani appartiene ormai a una classe sociale definita bassa. Qui è stata letteralmente bruciata la classe media. Per quanto riguarda l’Ici, il modo che scelse Tremonti di abolirla fu sbagliato. Ma una tassa sulla propria casa di abitazione è altrettanto errata.

Forse c’è una nuova interpretazione di tassare i cittadini.

Non lo so. Ci sono due modi di tassare i cittadini, di valutare la loro capacità contributiva. Il primo è quello dello Stato assolutista che mette mano dove vuole. Il secondo è quello di uno Stato democratico, che ritiene che la capacità contributiva sia quella eccedente ai fabbisogni essenziali di una vita dignitosa dei cittadini.

Ritorniamo alla spending review. È stato nominato Enrico Bondi, il risanatore di Parmalat, l’uomo che taglia e aggiusta. Che ne pensa?

Credo che sia una persona brava e capace. Il problema è che ha operato nel settore privato, dove per rimettere a posto le cose si deve guardare all’interesse e ai profitti degli azionisti di un’azienda. Ma il settore privato non c’entra nulla con quello statale, perché in questo caso gli azionisti sono i politici e i capitoli di spesa sono i profitti dei politici. È come voler mettere a dieta un orso di fronte al miele. L’orso, il miele continuerà a mangiarlo. Mi sembra che con questo tipo di Stato e in questo tipo di situazione una dieta nella spesa pubblica sia poco prevedibile.

(Gianluigi Da Rold)
 
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