CHI NON COMPRENDE IL TUO SILENZIO PROBABILMENTE NON CAPIRA' NEMMENO LE TUE PAROLE

Incidenza casi Covid

Pierpaolo Sileri
, sottosegretario alla Salute, è intervenuto ai microfoni della trasmissione
L’Italia s’è desta”, su Radio Cusano Campus.

E ha affermato:
“Adesso vedremo un plateau, una stabilizzazione, la cupola di questa curva.
Poi inizierà una discesa, così come sta accadendo in quei Paesi che hanno vissuto Omicron prima di noi, come il Regno Unito.
Prima calano i contagi, poi i ricoveri e alla fine i decessi, in questo caso non accadrà prima di diverse settimane da oggi.
Però già un notevole calo dei contagi porterà il sistema a essere più sostenibile in termini di tracciamento,
ma anche della nostra quotidianità, penso ad esempio alle scuole”.


Studi sulla quarta dose

“Sulla quarta dose – ha puntualizzato – mi sembra che si cavalchino notizie, facendole diventare più nuove di quello che realmente è.
Se si dice quarta dose, la popolazione pensa: oddio, ora serve pure la quarta dose per tutti.
No, è stato fatto un progetto sperimentale
dove si è visto che potrebbe essere utile una quarta dose per determinati soggetti, ma questo era anche prevedibile.
I soggetti meno immunocompetenti possono avere bisogno di un ulteriore rinforzo,
bisognerà capire chi sono questi soggetti e quando dovranno fare la quarta dose.
Se oggi mi chiedete se a ottobre dovremo fare un’altra dose di vaccino, io rispondo che è ipotizzabile,
forse dovremo fare una dose stagionale come per l’influenza, forse dovranno farlo solo alcune categorie.
Forse – ha chiarito – servirà un richiamo che vale come quarta dose.
Quello che stiamo dicendo non è un qualcosa di sconvolgente,
potrà essere necessario un altro richiamo se questo virus continuerà a circolare.
Oggi parlare di quarta dose per tutti è estremamente prematuro e fuorviante, non fa altro che portare incomprensioni”.


La situazione negli ospedali

Sicuramente il problema del blocco delle liste operatorie avveniva,

ovviamente in maniera inferiore, anche prima del Covid durante il picco influenzale – ha notato Sileri –

accadeva anche in estate, quando diversi elementi del personale vanno in ferie.


È chiaro che servano dei percorsi che possano proteggere la popolazione dei pazienti che devono essere operati.
Servono percorsi definiti, strutture che possono avere una flessibilità anche lavorativa,
con ad esempio il recupero delle liste di attesa su base volontaria
ma che possa garantire anche un rimborso al personale sanitario.
Però tutto ciò può essere fatto solo se si ha personale a sufficienza.
Di recente è stato aumentato, ma in passato c’è stato un sottodimensionamento rispetto all’esigenza di personale”.


Sistema a colori delle Regioni

“Nell’immediato nessun cambiamento – ha terminato Sileri – credo nel sistema dei colori,
credo anche però che possano essere rimodulati i parametri alla luce della circolazione di Omicron
e alla luce del fatto che un crescente numero di popolazione è protetto con tre dosi”.



L’analisi di The Lancet su Lombardia e impreparazione del Governo

La popolazione della Lombardia fu sconvolta dagli eventi
e dall’inconsistenza della risposta da parte della sanità pubblica e delle autorità di Governo,
oltre che da un piano pandemico obsoleto e non attuato”
.

Questo è quanto apparso nell’articolo della rivista scientifica inglese The Lancet dal titolo

Riconoscere gli errori del Covid nella sanità pubblica in risposta al Covid-19”.

E poi:

“I cittadini lombardi vennero messi di fronte all’orrore,
ai propri affetti morti in casa senza cure e soli in ospedale,
alla scarsità di ossigeno e bombole
ed alla confusione nell’identificare i corpi cremati”.
 
Ultima modifica:
Le ultime notizie sul nostro futuro per voce di scienziati locali, nazionali, internazionali sembrano in tal modo definibili.

Vivremo a lungo con il virus,

il quale si coniugherà con il vaccino (vaccini),

e mentre di regola il più delle volte il vaccino dà la morte al virus

nel nostro fenomeno il virus e il vaccino conviveranno rispettosi,

il vaccino non ucciderà il virus,

il virus non riuscirà ad annientare il vaccino.



Saremo, noi esseri umani, quasi malati o quasi sani,

appena il virus intende sopraffare

una botta di Vaccino lo rimette a sedere
,

tuttavia non più che lo stordimento di alcune settimane, poi si riprende il motivo,
ormai sarebbe una parodia conflittuale come certi combattimenti da video falsamente ferini.


Non so, forse gli scienziati ignorano la filosofia di Anassimandro (era un greco, V secolo avanti Cristo),
il quale riteneva che in natura esiste una forza regolatrice, Ápeiron la denominava,
che mette ordine se un elemento vuole sopraffare gli altri;

presso che nello stesso periodo, il cinese Lao-tzŭ riteneva che la natura suscita i suoi equilibri e restaura l’armonia,
però da sé, naturalmente.


So benissimo che non è il medesimo tra il virus e il vaccino (vaccini)
è però simile il tratto essenziale,
la società tiene all’ordine e considera il male estremo il disordine.


Il disordine era il male sociale massimo per i greci ;
gli egiziani addirittura concepirono che ogni notte Osiride, divinità solare, lottava con Pitone,
che voleva impedirgli di ridare luce alla Terra ed ai viventi ;
anche Steh, egizio, come il Lucifero disordinava il sereno andamento del regno celeste;
come i ribelli nella mitologia greca volevano scalzare Giove;
pure la mitologia babilonese è fondata sulla ribellione finché non giunge Marduk.

Al dunque, il virus è il disordine della salute ma fondamentalmente il disordine sociale, il Satana sociale,
il vaccino è il Giove ordinatore, il Dio Cattolico,
che, come il Dio Cristiano, ebraico, islamico non uccide Satana-Virus lo tiene a bada, sottomesso,
con momenti drammatici in quanto Satana-Virus tenta sempre colpi di sovranità (le varianti)
laddove Dio-Vaccino si perfeziona nelle difese,
talché stavolta nella millenaria lotta tra Dio e Satana vi è la convivenza, assai meno confliggente del passato.


Se in passato Dio (termine generico) non uccideva Satana (generico anche questo termine) ma lottava tremendamente,

oggi il virus e il vaccino convivono e noi li facciamo convivere in noi,

così, al pascolo del tempo, mesi, anni, e che ti cura,

con il vaccino sei quasi sano o quasi malato,

e con il virus quasi malato e quasi sano, mesi, anni, e sia, vivrai comunque,

ogni tre, due mesi, cinque mesi una sosta vaccinale e stai in compagnia del virus

quasi tranquillo, quasi rassicurato, quasi vivo, quasi malato, quasi sano.



Ma non potrei curarmi se infettato?

No, no, mai.


Prevenire vale massimamente che reprimere la malattia, dicono i sapienti.



Al presente, la lotta tra Bene (vaccino) e Male (virus) ha questa evoluzione,
il vaccino prevale,
l’avversario, che però si alza prima del conteggio e stordito pugneggia, colpi smorti, ma non cede,
ed il combattimento prosegue illimitatamente,
finché di sicuro il virus si stenderà
ed il conto lo dichiarerà perdente per abbandono o irrisorgenza.


O Santi Numi, e se si stancasse prima il vaccino!?


Zeus, Zeus rispondi, parlami, svelami se a te il Fato manifestò i suoi arcani,

dimmi Zeus, se dopo tante inoculazioni il mio corpo umano, troppo umano,

si fiaccasse al punto che finanche le braccette molli di un esausto virus mi stenderebbero

o una sua inferocita insorgenza (una variante la chiamano i mortali) mi sbattesse al suolo,

dimmi Zeus, dimmi se vaneggio, dimmi se la mia angoscia mi straparla?



Sì, sì voglio convivere con Vaccino e con il virus, persino affratellare,
li chiamerò lo chiamerò Vaccinovirus, insieme, per sempre, mezzo sano, mezzo malato,
ma, o sapientissimo, mi assicuri che per anni il mio debole corpo nata da donna
reggerà il virus pur stancato dal vaccino, o non sarà il virus a stancare il vaccino?


Sì, sì vorrei convivere, per quanto tempo, sommo Zeus, temo di affaticarmi,

facile dire: conviveremo,

ancor più facile dire: vaccinatevi,

sì, Zeus, voglio convivere, mi vaccinerò, ma quanto durerà la quasi vita, la quasi morte, il timore di variante?


Possibile che non c’è altro scampo che convivere con Satana-Virus?


Parlami, Giove, il Dio sei tu, io sono soltanto un uomo che credeva in altri uomini
i quali invece di assicurarmi la salute mi chiedono di vivere la malattia come una consorte cagnesca.


Ho solo una vita e la dovrei spartire con una mezza morte.


Mi aspettavo di meglio dalla scienza
.


Ed il tuo silenzio, Zeus, mi rattrista.

Ebbene, da questo fosso mi trarrò da me, prenderò esempio dall’amico Barone di Münchhausen.

A me i capelli, bianchi ma compatti, mi trarrò su da me da questa fanghiglia,
mi resta la volontà di vivere, forza, oltre vaccini e virus,
nel rimedio di ogni male perché sovrasta il male, amare la vita, l’arte, la conoscenza,
il prossimo da amare e stimare, i bambini che dormono, i gatti che strisciano le caviglie,
i leoni che sbadigliano, le chiese solitarie al tramonto che pregano per se stesse,
non abbiamo che la nostra passione di vivere.


Ho vissuto nove, sei, cinque, quattro mesi di quasi morte.

Non mi serve una medicina che mi promette una quasi vita.

Le conquiste della medicina non possono fermarsi alla convivenza con la malattia.


Dioniso, fatti vivo,
andiamo all’osteria con Omar Khayyâm.
Gulliver, Ulisse, Münchhausen, Don Chisciotte sono al tavolo.


Pensa Ludwig (Van Beethoven) farà eseguire il Quarto Tempo della Nona Sinfonia, l’Inno alla Gioia, dirigerà Friedrich Nietzsche.

Mozart e Rossini verranno, me lo hanno promesso.

Giacomo Leopardi, se glielo permette la salute, non mancherà.

Ti aspetto Dioniso, non puoi mancare.


Sei l’ultima carta di questo gioco funereo che vorrebbe farci credere che semivivere risolve la morte.


Mai.

Tutta la vita nella vita.

Tutta la morte nella morte.

La salute?

Amare la vita!

Se avessimo scopi di civiltà!

Un greco del V-IV secolo avanti Cristo a vedere le statue, i templi,
ad ascoltare Aristotele credo dimenticasse la morte ed ogni male.

La vera malattia è la catastrofe della civiltà.

Poi, certo, vi sono del malesseri.

Imperdonabile, anche Tito Lucrezio Caro, all’incontro.


Intrascurabile.
 
Asini al governo.......Asini per strada


Paura in galleria sulla 36 - Due asini in mezzo alla strada - Autocisterna riesce ad evitarli

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«Ero a pieno carico, non andavo a più di 70/75 chilometri orari, fortunatamente:
se fossi stato ad una velocità superiore non sarei qui a raccontarlo».


A parlare è Alessandro Del Nero, 32 anni residente a Rogolo, di professione camionista,
il protagonista dell’assurdo video che da ieri è diventato virale sui social network.

Nel filmato della telecamera di videosorveglianza presente nella galleria di Mandello del Lario,
in provincia di Lecco, lungo la statale 36, si vede l’autocisterna condotta dal camionista valtellinese,
che da quanto appreso trasportava liquidi infiammabili, sterzare bruscamente due volte,
una prima volta a sinistra per evitare due asini incomprensibilmente in mezzo alla strada,
poi a destra per tornare sulla corsia di marcia.


Il camionista, infatti, si è trovato davanti i due animali, un adulto e un cucciolo,
mentre stava procedendo in direzione nord, dopo il distributore di Mandello,
ed è incredibilmente riuscito ad evitare l’impatto,
ma anche a tenere il mezzo pesante in strada senza schiantarsi nè contro gli asini nè sulla parete della galleria.


Il filmato, ripreso alle 3.07 di lunedì notte, è davvero impressionante,
le immagini sembrano essere state accelerate e tutto risulta ancor più inquietante.


Sì, perché le conseguenze, anche visto il carico che trasportava l’autocisterna, potevano essere davvero drammatiche.


«No, non correvo come potrebbe sembrare nel video
- ha spiegato Del Nero, anche in risposta a chi, sui social network, accusava appunto il conducente
di procedere ad una velocità eccessiva nel momento in cui si è trovato davanti i due animali, fermi immobili in mezzo alla corsia di destra -.

Ero a carico completo e sono arrivato in cima alla salita di Mandello a 60 chilometri all’ora.

Quindi in quel punto, anche volendo, non potevo andare a più di 70, 75 chilometri orari.

Dal video, ovviamente, sbucando all’improvviso, sembra che stia andando più veloce.
Ma se fossi stato ad una velocità superiore non sarei qui a raccontarlo».


Incredibile la prontezza di riflessi dimostrata dall’autista di Rogolo, che racconta ancora:

«Non ho pensato a cosa fare, d’istinto ho sterzato».
 
Il silenzio delle femministe italiane sui fatti di Capodanno a Milano è imbarazzante, ma non suscita eccessiva sorpresa.

Non sorprende perché si è già verificato in tutti i casi in cui ad esser autori di violenze sulle donne
sono uomini non occidentali, in particolare se mediorientali e musulmani.


Sono state silenti ed indifferenti, tra l’altro, persino dopo la sparizione ed il probabile omicidio di Saman Abbas,
la ragazza pakistana di 18 anni, residente in Emilia, scomparsa e probabilmente uccisa dai suoi parenti
solo perché non voleva sposare un cugino scelto dai genitori e voleva sposare chi voleva lei.


Tutti ormai hanno capito che le nuove femministe si mobilitano, menano alte urla e si strappano i capelli e le vesti
solo quando ad essere autori delle violenze sulle donne sono uomini occidentali.

Quello che non è ancora chiaro a tutti è che quello che spiega i silenzi ed il doppio standard delle nuove femministe
è che esse, influenzate dal “nuovo femminismo” estremista americano (e in parte anche francese)
sono ormai orientate solo a condurre una guerra distruttiva in teoria al maschio in quanto tale ed al patriarcato,
ma in realtà solo al maschio occidentale, al maschio bianco e, per suo tramite, alla cultura ed alla civiltà occidentale.


Il nuovo femminismo teorizza, infatti, una lotta “intersezionale”
e di fatto è confluito nel pacchetto di ideologie del politicamente corretto
che hanno un solo denominatore comune: quello della lotta alla cultura occidentale.

La donna sarebbe incrocio di tutte le discriminazioni e la sua oppressione “sistemica” nella società occidentale
sarebbe superabile solo se le femministe si alleano alle altre minoranze oppresse dalla stessa società,
tra cui le minoranze etniche, gli immigrati, gli omosessuali, i transessuali e gli ambientalisti radicali;
e quindi solo se si uniscono alla lotta al razzismo, al maschilismo, al patriarcato, al fascismo
ed al produttivismo occidentale distruttivo dell’ambiente che sarebbero – a loro avviso – tutti “sistemici”,
e cioè inscritti nei geni stessi della società occidentale.


È una visione che si inscrive nella tradizione del pensiero rivoluzionario progressista
perché teorizza che solo quando della civiltà occidentale sarà stata fatta tabula rasa,
tutte le oppressioni e le discriminazioni, tra cui quella femminile, saranno eliminate.


“Ecco allora che i loro nuovi slogan diventano frasi del tipo ‘migranti non lasciateci sole con i fascisti’”
– ha dichiarato Laura Tecce, autrice del libro “Femministe 2.0” - che ha aggiunto:

“Le nuove femministe sbagliano bersaglio:
se la prendono con le nostre tradizioni occidentali per questioni marginali e ridicole come quella terminologica,
salvo poi alcune di loro assecondare società che impongono il velo, facendosi fotografare loro stesse con il velo addosso”.



Le nuove femministe rischiano così di allearsi con i loro nemici più radicali
che aggrediscono le donne e con le culture più ostili alle donne stesse.


Tra le culture ostili alle donne
le femministe della vecchia generazione annoverano quella del gender,
sostenuta in particolare dalle lobby dei transessuali (non anche da quelle degli omosessuali)
ed in particolare la rivendicazione della autoidentificazione di genere.

Essa rappresenta infatti non solo una visione antiscientifica che crede di potersi contrapporre alle leggi della biologia,
ma costituisce una seria minaccia identitaria alla stessa identità della donna.


“Se i trans fisicamente maschi sono donne, noi donne cosa siamo?” dicono con ragione le femministe “tradizionali”.


I conflitti tra le femministe e le lobby dei transessuali sono già emersi negli Usa e in Francia.

Sono emersi anche in Italia nel corso del dibattito sul Ddl Zan.

Quest’ultimo è stato per ora affossato anche per l’opposizione delle femministe liberali della vecchia generazione
proprio perché prevedeva l’autoidentificazione di genere, sostenuta invece dalle estremiste del nuovo femminismo.

Queste ultime sembrano non essere coscienti che la loro guerra al maschio bianco
rischia di diventare una guerra anche alla donna bianca.


Il nuovo femminismo sfocia dunque in un razzismo anti-bianco,
anzi in un auto-razzismo in nome della lotta alla cultura occidentale e all’intero Occidente.


Sarà proprio questo è il vero obiettivo del nuovo femminismo “rivoluzionario” ?
 
Da come l’avevano impostata i media mainstream, sia americani che europei,
la vittoria di Joe Biden alle elezioni del 2020 era stata accolta dai cittadini statunitensi quasi come una “manna dal Cielo”.

Finalmente “gli adulti” sono tornati alla Casa Bianca.

Finalmente si sono liberati di quella specie di presidente, un po’ improvvisato,
un po’ cowboy e molto demagogo che era Donald Trump:

così commentavano nelle trasmissioni televisive e titolavano i giornali.


Peccato che, sondaggi e statistiche alla mano, sembrerebbe non essere esattamente questo il pensiero degli americani.

Il gradimento dell’attuale presidente è ai minimi storici: al quarantaquattro percento, per l’esattezza.

Sono in molti a credere che Biden stia pagando il prezzo delle sue scelte in materia di politica estera e di politica economica,
anzitutto per la decisione di ritirarsi frettolosamente dall’Afghanistan e per le stimolazioni del mercato interno,
che hanno comportato inflazione e aumento delle tasse, oltre che del debito pubblico.


Sarebbero sempre di più gli americani “nostalgici” di Donald Trump:

secondo loro, durante la presidenza del tycoon, il Paese era più sicuro, più rispettato a livello internazionale e più indipendente.



A dispetto dell’intenzione dichiarata sin da subito da Joe Biden, già all’atto del suo insediamento
– di risanare le ferite inflitte dall’era Trump all’America,
di riportare unità laddove il populismo di destra del suo predecessore aveva portato divisione e conflitto –
gli Stati Uniti si confermano un Paese profondamente diviso e dilaniato al suo interno.

Semmai, la presidenza di Biden e il ritorno al potere da parte delle élite democratiche ha acuito questa conflittualità,
giacché le divisioni interne al Paese non sono più solo razziali o determinate dalle differenze socio-economiche, ma anche politiche,
con l’elettorato repubblicano che propende sempre di più per il “trumpismo” e che è divenuto allergico all’establishment del partito;

e quello democratico sempre più arroccato sulle sue posizioni
e che, addirittura, si sente investito di una sorta di “missione”,
che è quella di difendere la democrazia dalla minaccia populista e dalla demagogia di destra.


A nulla sono serviti i maldestri tentativi di screditare Donald Trump, facendolo passare per golpista
(dopo l’assalto a Capitol Hill da parte dei suoi sostenitori) e per evasore fiscale:
gli americani continuano a essere – inaspettatamente, a dire il vero – legati non alla figura dell’ex presidente, ma a quello che rappresenta.

Piaccia o no, Trump raffigura non solo l’americano medio (ma non per questo mediocre), ma anche il “vero americano”.

È capace di interpretarne i sogni, le paure, le aspettative e le aspirazioni:
è in contatto con la realtà sociale, con la vita reale delle persone, come diciamo spesso in Italia.

Al contrario, la sinistra americana – proprio come quella italiana – è chiusa nella sua autoreferenzialità
ed incapace di comprendere le vere esigenze della popolazione.



Forse è proprio questo che fa la differenza e che spinge gli americani ad avere nostalgia di Trump:
gli Stati Uniti non stanno diventando un covo di pericolosi populisti,
ma si tratta di un Paese che il “trumpismo” ce l’ha nel sangue.

I democratici, per contro, hanno tradito l’eredità morale e culturale dei Padri fondatori e della Rivoluzione americana.

L’America, come si dice spesso, è un “Paese fondato sulle armi”:
è quindi chiaro che gli americani saranno più propensi a sposare le tesi di un presidente che quelle armi le vuole libere
e che raccomanda a ogni cittadino onesto di possederne una per difendere se stesso, la sua famiglia e la sua casa.

Per contro, i democratici sostengono che quelle armi,
che pure sono servite ai loro antenati per conquistare la libertà ribellandosi al giogo inglese,
sono pericolose e il loro possesso dovrebbe essere assoggettato a una regolamentazione molto più severa.

Privare i cittadini perbene dei mezzi per difendersi e non fare nulla per combattere il crimine dilagante
(anzi, i criminali vengono compatiti e visti come “vittime” di un sistema fondamentalmente ingiusto)
è il modo migliore per distruggere una società e farla sprofondare nel caos e nella paura.


L’America è un Paese fondato sulla mentalità puritana,
qui intesa non nell’accezione comune, cioè come sinonimo di bigottismo o di ottusità,
ma nel senso di sentirsi in qualche modo “predestinati”, investiti cioè di una grande missione:
quella di edificare la “Nuova Gerusalemme”;

una sorta di città ideale fondata sulla libertà, sul lavoro, sull’intraprendenza e sull’autonomia dell’individuo;

uno “spazio sacro” inviolabile e destinato ai soli “eletti”.

Trump incarna perfettamente questo spirito con il suo proposito di rifare grande l’America,
di proteggerla dagli immigrati che portano criminalità, disordine e parassitismo,
di riportare il lavoro nelle mani degli americani e di smantellare progressivamente il sistema di welfare
– voluto dai democratici – per fare in modo che ciascuno dipenda unicamente da se stesso,
dai suoi sforzi e dalle sue capacità e per far sì che gli antidoti alla povertà ricomincino a essere il lavoro e l’intraprendenza.

L’America, piaccia o no, è un Paese fondato da bianchi cristiani (perlopiù protestanti)
e che ha prosperato grazie agli sforzi e alle capacità di questo gruppo etnico.

Quegli stessi bianchi cristiani ai quali Trump è stato capace di restituire voce e importanza,
dopo la presidenza di Barack Obama e la scoperta, da parte dei democratici,
desiderosi di ottenere l’appoggio dei movimenti radicali e di estrema sinistra (tipo Black Lives Matter),
della giustizia sociale reinterpretata su base etnica e del politicamente corretto.

La vittoria di Trump, sotto un certo punto di vista, è stata proprio la rivincita di quella America delle origini,
stanca di essere bistrattata e di essere considerata come l’incarnazione del male assoluto, dello sfruttamento e dell’oppressione.

L’America è un Paese fondato sul capitalismo.



.
 
Potremmo dire che la scintilla che fece scoppiare la Rivoluzione
e che pose le basi per l’indipendenza nazionale
fu proprio il desiderio di essere liberi dal punto di vista economico, ancor prima che politico.


Cosa fu, infatti, il “Boston Tea Party” se non una rivendicazione di libertà economica rispetto all’oppressione fiscale
e al monopolio commerciale cui le colonie erano soggette.

Che ne è, a distanza di due secoli e mezzo esatti, di quella libertà?


Compressa e conculcata dalle folli politiche interventiste, redistributive e welfariste,
avviate dai governi democratici – dal New Deal di Franklin Delano Roosevelt, più o meno –
ma solo minimamente ritoccate dai successivi governi repubblicani, eccezion fatta per l’era di Ronald Reagan.

Trump è stato capace di riportare in auge quell’antico spirito del Boston Tea Party:
quello di una nazione che aspirava a farcela con le sue forze,
ad essere indipendente e che vedeva i vincoli fiscali e burocratici all’economia come il fumo negli occhi.

In una parola, a far rimpiangere Trump è semplicemente il desiderio, da parte dei cittadini americani,
di riscoprire le loro radici culturali e di ripartire da quelle, per restituire lustro e grandezza al loro Paese.

Probabilmente, i nostri fratelli d’Oltreoceano hanno compreso che il declino morale e materiale degli States
è iniziato da quando ci si è allontanati dallo spirito originario e autentico, dalla tradizione nazionale.

Trump non è che il segno di questa presa di coscienza.

I presidenti o i governi non cambiano i popoli:
sono i popoli che si danno i governi secondo il sentimento dominante.


Ma, allora, come è stata possibile la vittoria di Biden?

Come mai gli americani non hanno riconfermato Trump per il secondo mandato?


Anche lui ha fatto degli errori, come tutti.

Il peggiore, probabilmente, è stata la gestione dell’emergenza sanitaria nella sua fase più acuta:
confusionaria e poco coerente, diciamocelo pure.

Il secondo è stato quello di non saper mantenere rapporti cordiali con l’Unione europea.

Perché è chiaro (e lo dico da isolazionista) che nessun Paese, per quanto grande,
può affrontare da solo le sfide dinanzi alle quali ci pone il mondo globale:
ha bisogno di allearsi con altri, culturalmente e politicamente affini.

Più che andare allo scontro con l’Europa, anzitutto coi dazi,
Trump avrebbe forse dovuto cercare di convincere il Vecchio Continente della solidità dell’Alleanza atlantica
e darsi l’immagine di una sorta di “protettore” dell’Occidente rispetto al blocco russo-cinese e a quello arabo.

Queste sono cose che hanno pesato molto sull’esito delle elezioni del 2020,
senza contare che Biden ha potuto godere di molti più finanziamenti per la campagna elettorale,
dell’appoggio dei mezzi d’informazione, quasi completamente schierati a suo favore
e di qualche "aiutino"........



Ma il trumpismo non è morto: sopravvive nell’anima di quegli americani che ancora credono nel loro Paese.

E fin quando vivrà nel cuore degli americani, potrebbe tornare a vincere,
come temono le élite democratiche d’Oltreoceano,
che non a caso si prodigano per delegittimare ed estromettere Trump dai giochi politici
con la macchina del fango mediatica e con l’uso politico della giustizia.


Che abbiano imparato dai loro consimili italiani?
 
Assurdo ritenere valide delle votazioni con la percentuale dell'undici per cento di votanti ....
solo i voti di partito ...........e quelli "amicali".



La recente elezione suppletiva del seggio alla Camera ha raggiunto un record di astensione elettorale:
ha votato poco più di un decimo degli elettori (l’11 per cento e frazioni).

Dei votanti, un po’ meno del 60 per cento ha plebiscitato (per così dire) la eletta onorevole Cecilia D'Elia (del Pd).
La quale ha occupato un seggio forte del consenso di poco più del 6 per cento degli elettori.

Il tutto pone dei problemi che in una democrazia – anzi in ogni regime politico – sono considerati primari se non decisivi.

Non ripetiamo i nomi di coloro che se ne sono occupati, ma solo i profili più importanti.

In primo luogo il rapporto tra potere (dei governanti) e consenso (dei governati):
perché un regime politico sia vitale (nel senso anche della durata) occorre che potere e consenso convergano,
di guisa che il comando della classe dirigente trovi la minore resistenza possibile:
la quale è tale se i governati credono al diritto a governare nonché all’utilità del potere dei governanti.

Se tale convinzione non c’è o è scarsa, il potere si esercita essenzialmente attraverso la coazione – esercitata dall’apparato (Juan Donoso Cortés).

Ma un potere del genere è, di norma, transeunte (come, ad esempio, quello dell’occupazione militare) e di breve durata.

Se riesce ad essere più duraturo è un potere dispotico, cioè fondato (in prevalenza) sulla paura (Montesquieu).

Quando si leggono disposizioni accompagnate da sanzioni spropositate,
si può star sicuri che, quanto è più eccessiva la sanzione irrogata, tanto più è diffusa la disobbedienza al governo.


Resta il fatto che un regime basato in gran parte sulla coazione è,
concettualmente l’inverso della funzione (e del pregio) della democrazia,
quello di far “coincidere” comando e obbedienza, onde la volontà generale (cioè del tutto)
sia “posta da tutti per applicarsi a tutti” (Rousseau).

In secondo luogo ogni regime politico si fonda sull’integrazione.

Questo è il processo d’unificazione sociale che crea una polis armoniosa
“basata su un ordine sentito come tale dai suoi membri” (Maurice Duverger).

Per realizzarla occorre un’unione reale di volontà (Rudolf Smend);

a tale unione concorrono dei fattori d’integrazione (personale, funzionale o materiale).

Non esiste un gruppo sociale che “non implichi partecipanti attivi, dirigenti e passivi”.

In particolare l’integrazione funzionale si realizza in processi “il cui senso è una sintesi sociale”
tra i quali “elezioni e votazioni… voto e principio di maggioranza sono forme d’integrazione più semplici ed originarie” (Smend),
perché uno dei presupposti dell’effetto integrativo è “la partecipazione interna di tutti ad essa” (cioè alla vita istituzionale).

In caso di elezioni, all’elettorato attivo il quale tra i fattori d’integrazione funzionale riveste un ruolo primario (anche se non esclusivo).


Ma che succede se degli integrandi va a votare un’esigue minoranza?


Sono possibili due soluzioni.


La prima,
condivisa attualmente dalla grande maggioranza della comunicazione mainstream,
non succede nulla di rilevante.


Il rappresentante eletto, anche se alle elezioni hanno partecipato tre elettori ed abbia riportato due voti,
è comunque legalmente abilitato a legiferare, e governare lato sensu.

Tesi dovuta al combinarsi di due ragioni, concorrenti, ancorché in misura differente:
la prima che l’elezione è avvenuta secondo le regole legali ed è quindi legale;
la seconda che comunque, un governo è necessario e non ci si può “prendere una vacanza”.

È inutile dire che la prima è quella preferita dalla maggioranza degli intellos di centrosinistra.

L’altra, realista, è che tutti i regimi politici conoscono una parabola,
al termine della quale vengono sostituiti da un regime diverso.

E tale sostituzione, quasi sempre non avviene rispettando le forme legali, stabilite dal regime senescente.

Non è nelle possibilità umane creare una legalità eterna o comunque durevole per secoli e millenni, come dimostra la storia.

Della quale qualche decennio fa era annunciata la fine, che la storia si è subito premurata di smentire.


Ancor più se tale legalità si basa su presupposti, attori, situazioni del tutto diverse da quelle del suo nascere.

Non è l’illegalità – o la non legalità – che fa sì che un regime sia vitale (e quindi efficace):
è, come scriveva Smend, che, anche in uno Stato parlamentare,
il popolo ha “una sua esistenza come popolo politico, come unione sovrana di volontà
in una sintesi politica in cui soltanto giunga sempre di nuovo ad esistere in generale come realtà statale”.

Esistenza, popolo, politico, sintesi, unione sovrana di volontà:
già la terminologia usata dal giurista tedesco è idonea a suscitare la consueta raffica di anatemi ed esorcismi del pensiero mainstream.

Popolo?

Sovrano?

Esistenza?

Sintesi?

È l’armamentario lessicale e concettuale dei sovranisti odierni e quindi da esorcizzare.

Inutilmente se non per taluni (molto pochi),
perché le trasformazioni sociali avvengono con o senza legalità: è il fatto che crea il diritto.


Per cui l’alternativa non è – sul piano fattuale – tra legalità e non legalità, ma tra cicli politici:

prolungare il vecchio significa soltanto allungare la decadenza.

E allontanare così l’aurora di un nuovo ciclo.



Se in Italia assistiamo da circa trent’anni alla progressiva riduzione del numero dei votanti,
la conseguenza non è di intonare peana se un deputato è eletto col 6 per cento dei voti,
ma solo sperare che l’ultimo degli eletti si premuri di spegnere la luce.
 
Eheheheheh l'illuminato.


Il ministro della Salute Speranza ha firmato la nuova ordinanza sul sistema dei colori delle Regioni:
a partire da lunedì 24 gennaio 2022,

due territori cambiano colore passando dalla zona bianca alla zona gialla

mentre quattro territori lasciano la zona gialla per passare in zona arancione.


L’ordinanza arrivata dopo la cabina di regia che ha analizzato i dati del monitoraggio settimanale dell’Iss
e del ministero della Salute, sancisce il passaggio della Puglia e della Sardegna dalla zona bianca alla zona gialla.


A partire da lunedì 24 gennaio 2022, Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, Piemonte e Sicilia passano dalla zona gialla alla zona arancione.


Alla luce della nuova ordinanza, in zona bianca, dal 24 gennaio 2022, rimangono solo Basilicata, Molise e Umbria.


In zona gialla ci sono Calabria, Campania, Emilia-Romagna, Lazio, Lombardia, Liguria, Marche,
Provincia Autonoma di Bolzano, Provincia Autonoma di Trento, Toscana, Veneto, Puglia e Sardegna.


In zona arancione ci sono Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Sicilia e Valle d’Aosta.



Quali regioni in zona gialla? Quali regioni in zona arancione? Speranza firma la nuova ordinanza. Cosa cambia
 
00:20 Siamo letteralmente impazziti:
mentre tutti si occupano del Presidente della Repubblica,
nessuno oggi legge i pezzi sul folle, burocratico e illiberale, dpcm sul lasciapassare.

Repubblica di oggi: puoi andare al centro commerciale senza green pass,
ma se ti becco a comprare un bene non di prima necessità ti multo.

Ragazzi ma questa è Ddr!

07:00 La storia raccontata dalla Verità del soccorritore che doveva essere in quarantena e si è beccato una multa…

08:50 Le follie burocratiche pure sulla scuola

10:45 Quirinale, i giornali dicono che Berlusconi scioglierà la riserva domenica.
Da leggere Sallusti e l’invasione di campo raccontata da Minzolini sul Giornale.
Mentre Repubblica ci dice che i “signori del denaro” sono allarmati…

15:35 Ratzinger è già colpevole per tutti tranne che per il Foglio.

16:33 Beppe Grillo è indagato per traffico di influenze
e il Fatto continua a fischiettare, la solita doppia morale dei manettari grillini…
 
Non bastava mica l’obbligo vaccinale per gli over 50.

Non erano sufficienti le multe per chi si presenta al lavoro senza super green pass

o quelle fatte piovere sulla testa dei no vax tramite Agenzia delle Entrate.

Non ci si poteva ovviamente fermare alle folli regole per le quarantene dei ragazzi a scuola,

ai lockdown burocratici per chi non ha tre dosi

o ai decreti che impediscono a chi non ha il maxi lasciapassare di fare alcunché.

No, non bastava.

Ora che deve emanare un Dpcm per indicare l’elenco dei servizi fruibili dai no vax,

il governo è riuscito a superare sé stesso:

ovvero prevedere “controlli a campione” al supermercato
per stanare chi senza green pass osa acquistare articoli non necessari alla sopravvivenza.


Manco fossimo in uno Stato di polizia (o lo siamo già?).




L’idea è ben peggiore di quel che appare.

Secondo l’ultimo decreto, gli italiani necessitano del green pass come l’aria:

quello “super” serve per andare al ristorante, in albergo, allo stadio, al bar e in altre decine di attività ludiche;

quello “base”, ottenibile anche con tampone, occorre invece per presentarsi in banca, dal parrucchiere, nei centri commerciali, negli uffici pubblici e alle Poste.


Escluse da questa folle regolamentazione restano – o meglio restavano –
solo i supermercati, le farmacie e altri luoghi “di carattere alimentare e prima necessità, sanitario, veterinario, di giustizia e di sicurezza personale”.

Attività che, appunto, il governo dovrebbe specificare oggi con apposito Dpcm.



Non contenti di aver rovinato abbastanza la vita ai cittadini,
Draghi e Speranza ne hanno però pensata una più del diavolo.


Ecco la trovata:

prevedere il controllo del green pass “a campione” anche all’interno delle attività essenziali

dove potranno entrare anche i non vaccinati, così da assicurarsi che non sgarrino e che non acquistino qualcosa di “superfluo”.


Devono solo poter “soddisfare le esigenze primarie“, niente di più.


Tradotto:

chi va in questura senza lasciapassare può presentare una denuncia ma non rinnovare il passaporto;

chi entra in un supermercato può fare la spesa ma non per comprarsi un paio di scarpe;

chi va in farmacia è magari autorizzato a chiedere del paracetamolo

(così soddisfa la “vigile attesa” che tanto piace al Consiglio di Stato) ma non un integratore.


Follia pura: la polizia metterà il naso nei carrelli e nelle buste della spesa.



Quanto è umano questo governo…
 

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