Con l'euro ci abbiamo rimesso in 20 anni 73mila euro a cranio

È scritto anche questo nell' articolo :

E aggiunge il report: "L'Italia non ha ancora trovato un modo per diventare competitivo all'interno dell'eurozona. Nei decenni prima dell'introduzione dell'euro, l'Italia svalutava regolarmente la propria valuta con questo scopo. Dopo l'avvento dell'euro non è stato più possibile. Invece, erano necessarie riforme strutturali. La Spagna mostra come le riforme strutturali possono invertire la tendenza negativa".

L'Italia con l'euro ci ha rimesso perché i suoi governi e le sue maggioranze parlamentari non hanno varato le riforme strutturali necessarie.
 
questa cosa del:
- competitivo
- produttivo
- economico

SONO CAZZATE!

Ho vissuto 10 anni in Thai e di competitivo ho visto solo le macchine elaborate, di produttivo ho visto solo la signora che mi faceva il mamichiao e di economico c'era la bolletta dell'acqua e luce.
In 10 anni la moneta thai(baht) si e' rivalutata del 30% sull'euro e non e' certo la Svizzera! i prezzi delle case sono aumentati del 200%, la ricchezza e' aumentata notevolmente!

sai cosa dico? la realta' e' che doveva andare cosi' perche' qualche stro...zo con in mano le banche centrali aveva deciso questo per l'Italia e per la Thailandia
poi se io l'ho capito prima e' una questione che riguarda l'intelligenza

La Germania ci ha guadagnato? si si come no, ci ha guadagnato rispetto gli sfigati come noi ma verso molti altri paesi hanno perso notevolmente anche loro (per ora)

Il problema dell'Italia sono questi ee non sono certo la produttivita':
- comunisti italiani, boldriniani, renziani, eropeisti, salvamondo con i soldi degli altri
- tasse...tasse...troppe tasse per nulla
- pensionati troppi!
- burocrazia troppo e totalamente illogica
- magistratura non adeguata ai tempi e utile a furbetti a fregare il prossimo con denunce assurde
 
in sintesi.... abbiamo sofferto la globalizzazione a causa di alcuni settori industriali con poco valore aggiunto(es. tessile) e politica miope
non accennano all'euro ma di questo gia' sappiamo molto
tirano fuori pero'un discorso assurdo sulla democrazia cristiana(nell'articolo completo)...quando tutte le rogne sono partite da li' (baby pensionati ecc)...nessuno si lamentava perche' c'era il boom e alla fine c'era da mangiare per tutti


In particolare, osservano gli economisti dell’Eeag, “quando i mercati si integrano, coloro che forniscono fattori di produzione che diventano meno scarsi patiscono una riduzione delle entrate”. In altri termini, “ci sono forti evidenze che l’integrazione commerciale con le economie extra europee hanno avuto implicazioni più favorevoli per le esportazioni e in termini di commercio per le economie dell’Europa ‘core’ che per le economie periferiche dell’Ue”. L’Italia “complessivamente considerata” potrebbe essere stata “relativamente danneggiata” da questo meccanismo. Se, per esempio, la globalizzazione permette alla Germania di vendere “più macchinari alla Cina” e di comprare “vestiario dal Vietnam” invece che dall’Italia, allora beneficia il tedesco medio più dell’europeo medio, “e molto di più dell’italiano medio”.

E infatti tra il 1995 e il 2015 la produzione tessile “è calata” in Italia, Francia e Germania, mentre quella dei macchinari “non è diminuita”. Il fatto è che il tessile “era e resta” molto “più importante” che in Francia e in Germania, mentre il settore dei macchinari, sebbene più importante che in Francia, “era, e rimane, molto meno importante in Italia che in Germania”. Quindi, gli sviluppi dei singoli settori “possono in parte spiegare” le ragioni del relativo declino italiano. Il problema, però, è che il Paese “non era ben attrezzato ad affrontare cambiamenti di natura strutturale”, quale è la globalizzazione. Non tutta l’Italia è rimasta indietro: anzi, il Nordest “tra il 1995 e il 2007 ha sovraperformato la Germania”, mentre però “non solo il Sud, ma anche il Nord Ovest, sono rimasti indietro”. Il problema è che “in Italia i mercati, le politiche e le istituzioni non erano all’altezza di affrontare il cambiamento”. Anche nel Nord Ovest, “molte fabbriche tradizionali hanno continuato a funzionare ben oltre il momento in cui i loro lavoratori avrebbero dovuto trovare un altro impiego”. L’inefficiente allocazione dei fattori produttivi “è chiaramente collegata” agli indicatori “scadenti” in materia di “assetti proprietari, controllo, governance delle imprese, composizione della forza lavoro, internazionalizzazione, innovazione e clientelismo, sia prima che dopo l’adozione dell’euro”. Tutti difetti che sono presenti da molto tempo nell’economia italiana, ma che sono divenuti “più dannosi alla luce degli ultimi sviluppi”. Per esempio, la forza lavoro italiana “è sempre stata molto meno istruita di quelle di altri Paesi industrializzati”.




Un difetto che non ha intralciato la produttività “finché il Paese produceva manufatti tradizionali”, ma che è diventata “un problema” quando l’integrazione economica e gli sviluppi tecnologici hanno reso necessaria una transizione ad una produzione “ad elevata tecnologia”. Tra l’altro, osservano gli economisti, in Italia c’è un “clima politico meno costruttivo“, che può essere ascritto a “fattori culturali come l’influenza della televisione privata e a un sistema educativo piuttosto disfunzionale”. E il Paese “è stata lento persino nel riconoscere la necessità di cambiare”. L’Italia, in verità, “si è riformata”, ma “non velocemente come hanno fatto altri Paesi” e “certamente non ad un ritmo che consenta di nuotare controcorrente, in mezzo a choc negativi, e di tenere il passo con i suoi concorrenti”. Le riforme “sparse ed esitanti” e “i frequenti cambiamenti di governo” segnalano che non c’è “un consenso stabile su quali riforme dovrebbero essere fatte” e soprattutto che “lo status quo gode di un considerevole sostegno politico“. Il fatto è che “molti italiani si ricordano i tempi migliori” e si chiedono se “semplicemente attendere” che tornino i tempi andati non sia una buona strategia: dopotutto, “le cose andavano bene solo poco tempo fa” e la crescita del passato “mantiene gli standard di vita elevati“. L’atteggiamento di chi dice che cambiare non serve “è comprensibile per un Paese ricco, dove gli standard di vita sono elevati”, osservano gli economisti dell’Eeag. Però “la mancanza di crescita è un problema, per un Paese integrato con un mondo che cambia”.



Conti pubblici, Ifo: "Crescita italiana deludente da 25 anni. No a scontri con l'Ue o la solvibilità sarà a rischio" - Il Fatto Quotidiano
 
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20 anni di euro, l'Italia soffre
Tatiana Santi

I 20 anni di euro avrebbero fatto guadagnare la Germania e fatto perdere molti Paesi europei, in primis l'Italia.
È quanto risulta da uno studio del think tank tedesco Cep (Centre for European Policy). Analizzare le nefaste conseguenze dell'introduzione dell'euro è fattibile, che cosa accadrebbe però qualora l'Italia uscisse dall'euro?

I più poveri d'Europa, l'Italia sarebbe il Paese più penalizzato dall'euro, è quanto emerge dal rapporto "20 anni di Euro: vincitori e vinti" del Centre for European Policy di Friburgo. La Germania invece secondo il think tank tedesco ne avrebbe solo tratto guadagno.

Ebbene, dire con esattezza come sarebbe andato il Belpaese senza entrare nell'euro è un'impresa ardua, così come prevedere lo scenario successivo all'uscita dalla moneta unica. Sputnik Italia ha raccolto due punti di vista sul rapporto tedesco intervistando Francesca Donato, presidente dell'Associazione Progetto Eurexit, e Paolo Manasse, professore di macroeconomia all'Università di Bologna.

Francesca Donato, quali sono gli effetti negativi dell'introduzione dell'Euro sull'economia italiana?
— Sono molteplici, il costo quantificato da questo studio era prevedibile e conosciuto. Gli influssi negativi dell'euro sull'economia italiana sono sicuramente aver diminuito la competitività dei nostri prodotti avendo reso il nostro cambio e la nostra valuta troppo forti e invece avendo reso artificialmente debole la valuta del nostro principale concorrente, ovvero la Germania. Mettendo alla pari la Lira italiana ed il Marco tedesco chi si è avvantaggiato è il Marco, nonostante la Germania abbia continuato ad esportare moltissimo non ha mai subito la rivalutazione del cambio che avrebbe avuto in un mercato con il cambio flessibile. Questo ha permesso alla Germania di accumulare questo altissimo surplus di export senza mai vedere una rivalutazione della propria moneta che lo avrebbe invece frenato.


In Italia come si è sviluppata la situazione invece?
— Per converso i nostri prodotti sono diventati meno competitivi ed infatti abbiamo perso nei confronti della Germania. L'unico modo per recuperare competitività è stato quello di svalutare i salari e quindi il costo del lavoro. Questo si è raggiunto con l'austerity, poiché grazie ad essa si è creata molta disoccupazione, la quale ha consentito, insieme a delle riforme fatte dalla sinistra negli ultimi anni, di ridurre i costi di produzione per unità del prodotto. Questo ha reso i nostri prodotti un po' più competitivi sul mercato, ma mai come se avessimo avuto una Lira più debole, avremmo avuto una moneta più competitiva senza pagare meno i nostri lavoratori, cosa che oggi accade nei paesi dell'UE che non hanno l'Euro.

Pensiamo ad esempio alla Polonia che ha avuto una crescita enorme del PIL perché ha avuto la possibilità di esportare molti dei propri prodotti con dei costi di partenza molto bassi, in quanto lo Zloty polacco è una valuta molto debole rispetto all'Euro. Tutto ciò ha reso i suoi prodotti molto più competitivi ed ha consentito anche a molte aziende di delocalizzare le proprie imprese lì in Polonia.

Oltretutto il danno più evidente fatto dall'Euro non è stato fatto dalla moneta in sé ma dal sistema che la regola. Parlo del fatto di aver ceduto alla Banca centrale Europea il controllo sull'emissione monetaria e soprattutto la garanzia sui titoli sovrani. Oggi la Banca Centrale non fa assolutamente nulla per aiutare l'Italia nei momenti di difficoltà, abbiamo quindi consentito alla BCE di far scendere o salire il nostro SPREAD, cosa che noi non possiamo dimostrare poiché la BCE non ci da assolutamente un report degli acquisti che fa sui BUND sovrani, è però assolutamente intuibile che questo accada.

Perché per la Germania è andata altrimenti, come riesce a guadagnare grazie all'Euro?
— Perché la Germania innanzi tutto controlla la Bce che è composta dalle banche centrali dei paesi membri con una percentuale commisurata al proprio apporto. Perciò, siccome la banca con più quote è quella tedesca, è quella che ha anche più influenza. Non solo, poi di fatto il governo tedesco ha messo i propri uomini in tutte le istituzioni che contano nell'eurozona. Non a caso la BCE si trova a Francoforte e comunque la Germania ha beneficiato moltissimo dalla perenne svalutazione della propria moneta grazie al fatto che sta nell'Euro.


Praticamente è la prima a non rispettare le regola che detta: la Germania non ha mai rispettato il vincolo di surplus nell'export superiore al 6% e non è stata sanzionata per questo.
La normativa sul bail in è stata fatta entrare in vigore dopo che la Germania aveva già speso migliaia di miliardi per salvare le proprie banche, cosa che a noi non hanno consentito.
Anche sulla gestione del proprio debito sovrano, la banca tedesca può acquistare i bund che non vengono venduti al prezzo stabilito mentre invece la nostra banca non lo fa.
Ci sono tanti aspetti tecnici che in realtà permettono alla Germania di proteggere i propri titoli sovrani, proteggere la propria impresa. La Germania ha le chiavi del potere dell'eurozona e lo usa a proprio vantaggio.


Cosa risponderebbe a chi asserisce che uscire dall'Euro comporterebbe grossi rischi come la fuga di capitali e non solo. Crede che l'Italia dovrebbe uscire insieme ad altri paesi dall'euro?
— Ad oggi non sarebbe praticabile per ragioni politiche, non c'è al governo una maggioranza che abbia concordemente intenzione di seguire questo percorso. Se però per assurdo ci fosse tale intenzione sarebbe sicuramente un passaggio difficile. Noi riteniamo che la strada migliore ad oggi sarebbe quella della riforma del sistema dell'euro per renderlo sostenibile. Qualora non ci fosse la volontà di cambiarlo, come per esempio da parte della Germania, che dall'Euro ha tratto grossi benefici, si dovrebbe decidere cosa fare: o far uscire la Germania e gestire tutti gli altri la moneta, oppure rompere l'euro in due blocchi, uno dei paesi del nord ed uno dei paesi mediterranei. Oppure si potrebbe pensare alla soluzione proposta da Stiglitz nel suo libro, ovvero quello di un Euro che abbi dei valori diversi da Paese a Paese dentro una barra di oscillazione regolando la sensibilità del cambio.

Un'altra soluzione, l'ultima, è proprio quella che vedrebbe l'uscita dall'euro di uno o più paesi. Questo sarebbe sì un passaggio faticoso, ma qualsiasi di queste soluzioni è sicuramente meglio di continuare così senza fare nulla, avremmo sicuramente un periodo iniziale di burrasca, dal quale però si recupererebbe e si ricomincerebbe a crescere. Continuando così, senza fare riforme, la sicurezza è che si continuerà ad andare sempre peggio.

Paolo Manasse, condivide la tesi secondo cui l'Italia è il Paese più penalizzato dall'introduzione dell'euro e la Germania quello che ci guadagna maggiormente?
— Non credo che sia così, qualche tempo fa feci uno studio simile assieme ad altri economisti fra cui Tommaso Nannicini, già sottosegretario all'economia. I dati da noi ottenuti furono diversi: l'Italia non ebbe conseguenze particolarmente diverse da quelle che si sarebbero manifestate se fosse rimasta fuori dall'euro, la Germania invece sarebbe cresciuta di più la metodologia del centro si concentra sugli anni immediatamente successivi all'introduzione dell'euro l'analisi può essere accettabile, se invece questa metodologia la si applica a distanza di 20 anni è chiaro che in questo periodo sono successe tante altre cose di cui lo studio non tiene conto. L'affidabilità di conclusioni del genere è molto debole soprattutto in una materia così politicamente controversa.

Quali sarebbero secondo lei i rischi maggiori se l'Italia uscisse dall'euro?
— Innanzitutto non sappiamo come sarebbe andata l'Italia fuori dall'euro, non abbiamo il cosiddetto controfattuale. La metodologia dello studio di cui parlavamo prima ricostruisce questo controfattuale presentando quindi una specie di Italia fuori dall'euro in maniera artificiale. Che cosa accadrebbe se uscissimo dall'euro è tutta un'altra domanda. Se abbiamo perso con l'introduzione dell'euro perderemmo ancora di più uscendone. In un capitolo di Carlo Stagnaro "Cosa succede se usciamo dall'euro" cerco di capire le conseguenze.

Quindi?
—Potrebbe succedere dal nulla a cose molto gravi, dove il nulla è uno scenario morbido in cui l'Italia riesce a mediare con gli altri partner dell'Unione Europea un'uscita concordata, dove si garantisce che il nostro Paese rimane nella zona del libero scambio pur facendo un passo indietro rispetto alla moneta unica. È uno scenario estremamente improbabile. Con una nuova moneta che potremmo svalutare otterremmo maggiore competitività. L'idea che gli altri Paesi ci permettano di fare una manovra a loro danno è improbabile. Avremmo delle ritorsioni e una serie di imposizioni che ci impedirebbero di effettuare la svalutazione. Questo scenario porterebbe con sé altre conseguenza poco gradevoli. Con una moneta più debole le persone cercherebbero di tutelarsi da quella che è una tassa, ritirerebbero i loro depositi dalle banche. Vedremmo quindi una corsa agli sportelli
Un altro grande problema è il nostro debito pubblico, il più grande in Europa, che è in euro. Lo Stato dovrebbe convertire quindi forzatamente i propri debiti in una valuta più debole, sostanzialmente tassando tutti coloro che ci hanno prestato dei soldi. Questo equivarrebbe ad un default, il Paese perderebbe l'accesso al mercato internazionale dei capitali. . La storia ci insegna che sui Paesi in cui c'è la crisi delle banche, un default incombe la recessione.


Le persone che propongono l'uscita dall'euro parlano anche di stampare moneta perché il Paese torni a crescere. Quest'idea è pericolosissima, perché porterebbe ad un'elevatissima inflazione, basti vedere l'esempio dell'America Latina oppure non porterebbe all'inflazione come ad esempio il Giappone
 

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