DAL 4 MAGGIO USCIREMO SCAGLIONATI. SECONDO ME C'E' UNA VOCALE SBAGLIATA

Evviva, oggi il petrolio WTI è tornato in territorio positivo…. si… ma non proprio in modo deciso.

Vediamo come è andata :

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Si, il petrolio WTI è tornato positivo, ma sotto i 10 dollari…. Mai si sono visti dei salti simili nel mercato dell’energia:

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Se però pensate che il WTI sia pazzerello, che tutto uesto sia dovuto solo al roll over mancato dei contratti future,
vi invitiamo a vedere il prezzo del petrolio Brent, quello di riferimento europeo:

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Siamo andati al di sotto dei 20 dollari al barile, ma il Brent è un prezzo di riferimento che viene, solitamente, scontato.

La Russia offre uno sconto standard di 2 dollari al barile, l’Arabia ne fa recentemente ben 8, quindi il prezzo reale pagato è molto più basso.

Perchè questo disastro:

  • il mondo reale dell’economia bussa alla porta della finanza, quindi senza domanda prospettiva di un bene questo può avere, in teoria, tutto il valore potenziale dle mondo che, in pratica , vale zero. Ogni proiezione, prima o poi, si incontra con la realtà. La realtà è che si va verso la più crisi deflazionistica della storia recente, e forse anche degli ultimi 650 anni (a voi comprendere a cosa mi riferisco);
  • i dilettanti hanno imparato, sulla loro pelle, che se si vuole “Comprare al minimo” (Buy the deep) bisogna essere sicuri che questo sia veramente il minimo, e che non c’è alcun algoritmo che te lo può indicare, soprattutto perchè, invece che l’analisi tecnica, bisogna fare due conti con la realtà
Le conseguenze di questa situazione?

  • la Russia aveva fatto ottimi calcoli di resistere al petrolio a 25 USD al barile. Come va con i 20 dollari? E con i 18?
  • Che succederà ad una serie di società petrolifere, Aramco in testa? Anche se il petrolio saudita è fra quelli con minori costi di estrazione al mondo, quanto può reggere?
  • Trump sarà costretto, con la scusa del Coronavirus a qualche forma di salvataggio di tutto il settore energetico USA. Nascerà una Holding Federale per il petrolio?
 
Gualtiero Ricciardi, noto col nome di Walter, è una figura poliedrica finita al centro delle polemiche
per un tweet a dir poco offensivo nei confronti del presidente Usa, Donald Trump.

Finora nessun consulente del governo, sia di quello attuale sia dei precedenti,
si era mai permesso di ingaggiare uno scontro politico con i leader dell’opposizione.

“C’è un paese come gli Usa, che dona decina di milioni di euro di aiuti all’Italia"
e "un signore che lavora per il governo mette un tweet dove c’è gente che prende a pugni un pupazzo con la faccia di Trump",

Dopo quel tweet, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha preso le distanze da Ricciardi.

Nel corso di un’intervista rilasciata a Rainews24 Ranieri Guerra, direttore aggiunto dell’Oms, ha precisato che Ricciardi
“è un supercampione della sanità pubblica nazionale, ma non parla a nome dell’Agenzia”.

Il consulente del governo Conte ha dovuto, quindi, specificare meglio il suo ruolo:
“Io sono il rappresentante italiano nel Comitato esecutivo dell’Oms, designato dal governo per il periodo 2017-2020.
Non sono cioè un dipendente dell’Oms”.

Una precisazione doverosa che ha posto fine a un fraintendimento durato mesi.

“Per ragioni di precisione chiedo a tutti i media italiani di definire la mia qualifica membro italiano del comitato esecutivo dell’Oms
e consigliere del ministro Speranza per il coordinamento con le istituzioni sanitarie internazionali".

Il medico napoletano, che da bambino ha recitato nella serie I ragazzi di padre Tobia
e da ragazzo in alcuni film accanto a Mario Merola, nel 2018 si è dimesso da presidente dell’Istituto Superiore di Sanità
per contrasti con i membri del primo governo Contei.

Quelle dimissioni erano state presentate anche a seguito di un’interrogazione presentata dalla grillina Paola Taverna
sulla base di un’inchiesta svolta da Le Iene su presunti conflitti di interesse con alcune case farmaceutiche.

Che le idee politiche di Ricciardi fossero diametralmente opposte a quelle sovraniste della Lega o a quelle populiste del M5S era noto da tempo.

Nel 2013, infatti, tentò di entrare in politica candidandosi con i montiani di Scelta Civica in quota Italia Futura, la fondazione di Luca Cordero di Montezemolo.
La stessa fondazione da cui proviene anche Carlo Calenda, attuale leader di Azione, partito al quale Ricciardi si è avvicinato sin dalla sua nascita.

Insomma, Ricciardi, già professore ordinario della facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università Cattolica,
si è sempre contraddistinto per essere un liberal di sinistra.

Lasciato l’Istituto Superiore di Sanità, nell’ottobre 2019 si è consolato con la nomina a Presidente del “Mission Board for Cancer”,
un programma di ricerca e innovazione istituito dalla Commissione Europea per valutare i progetti di ricerca da finanziare in ambito oncologico.

Nel momento più cruciale della sua carriera sembra aver toppato non solo dal punto di vista comunicativo ma anche nel merito dell’emergenza coronavirus.
Un’epidemia che il 6 febbraio scorso, intervistato dal Sole24ore, definì “meno pericolosa” dell’influenza stagionale
e criticò, inoltre, la decisione del governo di bloccare i voli dalla Cina.


Lo stesso governo per il quale lavora attualmente, sebbene non sia ancora stato reso noto il suo compenso per l’incarico di consulente di Speranza.

Nella sezione amministrazione trasparente del sito del ministero della Salute non compare ancora tale dato
e da Fratelli d’Italia arriva la notizia dell’imminente presentazione di un’interrogazione parlamentare per far luce sulla faccenda.

Il deputato Giovanni Donzelli, uno dei firmatari dice:

“È ormai chiaro che il governo pensa solo alle poltrone e poco alla salute dei cittadini e al destino delle imprese e del lavoro.
Hanno nominato così tanti esperti come consulenti per l'emergenza coronavirus - ad ora ci sono 15 task force composte da ben 450 collaboratori -
e, guarda caso, si fa fatica a trovare sul sito del governo i loro curriculum e i loro compensi”.

E maliziosamente aggiunge: “Chissà in quale cunicolo li avranno nascosti”.

Secondo Donzelli “nonostante il momento di emergenza sarebbe opportuno non rinunciare alla trasparenza degli atti”
e, pertanto, intende vederci chiaro sulla nomina del professor Walter Ricciardi
“che ha millantato in tutte queste settimane di emergenza l'appartenenza diretta all'Oms,
quando invece è solo il membro nominato dal governo italiano nel Consiglio esecutivo”.


Dopo una vicenda del genere avrebbe dovuto semplicemente dimettersi”, conclude il meloniano Donzelli.
 
Il dibattito in Europa si è ormai cristallizzato.
Per superare la crisi del covid-19 i governi europei sembrano infatti divisi su due sole opzioni: Coronabond o Mes.

Nient’altro sembra essere all’orizzonte dei tavoli di Bruxelles.

Eppure questa impasse che vede contrapposti due schieramenti opposti e apparentemente inamovibili sulle loro posizioni,
potrebbe essere il preludio del collasso dell’intera struttura europea.

L’esecutivo italiano ha già per esempio dichiarato a più riprese che senza i coronabond, l’Italia farà da sola.


Dunque occorre chiedersi, per quale motivo le cancellerie europee si sono concentrate su due posizioni apparentemente inconciliabili,
quando in realtà ne esisterebbe una terza più semplice e immediata?

Sembra essere infatti sparita dai radar della politica e dell’informazione la Banca centrale europea,
quell’istituzione che per parole della sua massima rappresentante aveva garantito qualche settimana fa
tutte le azioni indispensabili per far superare la crisi da coronavirus agli Stati membri.

Una sorta di ripetizione di quel “whatever it takes” pronunciato da Draghi nel 2012.

Ecco dunque svelata la terza opzione per gli stati membri per uscire dalla crisi:
immettere sul mercato una grande quantità di titoli di stato, con la garanzia che la Bce ne acquisterà in quantità pressoché illimitata
presso il mercato secondario (secondo lo statuto la Bce non può infatti effettuare acquisti diretti dei titoli dei Paesi membri).

Il programma di acquisto dei titoli che non c’è
Con questa semplice quanto efficace garanzia si potrebbero evitare infatti lunghi e inconcludenti dibattiti su coronabond e Mes.

Come riporta il Sole 24 Ore infatti la monetizzazione del debito “ è espressione del patto sociale
che lega i cittadini allo Stato in un rapporto di fiducia, e che può (e deve) anche consentire allo Stato di agire sottraendosi al condizionamento del mercato”.

D’altronde tale soluzione è quella intrapresa da altri Paesi, come gli Stati Uniti e il Regno Unito che,
come ci ricorda nuovamente il Sole 24 Ore, anche nel 2008 ricorse alla monetizzazione del debito attraverso la sua Banca centrale,
raddoppiando, senza conseguenze, il debito pubblico, passato dal 40% all’80% sul Pil.

Perché quindi non utilizzare questo strumento?

La risposta potrebbe arrivare osservando l’andamento dei tassi d’interesse sui Btp italiani.

Se da una parte è stato infatti ben visibile il primo intervento della Bce, subito dopo l’annuncio di Christine Lagarde,
con l’acquisto di circa 15 miliardi di euro di titoli detenuti dalla Banca d’Italia, tale azione sembra essere ora rallentata, se non del tutto interrotta.

Spaventa infatti il rialzo improvviso dello spread tra i Btp italiani e i Bund tedeschi,
dovuto all’aumento deciso del tasso d’interesse dei primi, come riportato su Money.

La pressione della Bce per arrivare al Mes?
L’economia insegna che il tasso d’interesse dei titoli aumenta solo quando la domanda degli stessi cala.

In sostanza sembra che in questo momento ci sia più difficoltà da parte del Tesoro italiano a vendere i titoli sul mercato.

Ora esiste una sola spiegazione possibile di fronte a tale situazione: a meno di non credere che le banche europee non si fidino della Bce
(e sarebbe un grosso problema), l’istituto di Francoforte ha inspiegabilmente rallentato l’acquisto dei titoli italiani, come invece aveva promesso.

Sembra quindi che l’attuale dibattito tra coronabond e Mes sia in qualche modo stato forzato dall’azione, che attualmente non c’è, della Bce.

In sostanza l’esecutivo italiano potrebbe essersi reso conto di non potersi fidare della sola parola di Christine Lagarde
e avrebbe quindi optato per intraprendere una lunga, e forse infruttuosa battaglia, per ottenere i coronabond.

D’altronde la prudenza è quantomeno dovuta di fronte ad una persona come Christine Lagarde
che nei momenti più neri della crisi da covid-19 aveva espressamente detto che “la Bce non ha la funzione di far scendere gli spred”.

Una dichiarazione che ebbe conseguenze disastrose per i titoli e la borsa italiana.

Ora, la domanda finale da porsi è dunque la seguente: il rallentamento dell’acquisto di Btp da parte della Bce
è in qualche modo un atto studiato a tavolino per mettere pressione ad un Paese come l’Italia che, finora, ha fatto muro rispetto all’utilizzo del Mes?

L’andamento dello spread dei prossimi giorni ci potrà dare una risposta.
 
Un colpo alla botte ed uno al cerchio. Il tutto ed il nulla.

Intervenuta ieri sera alla trasmissione “Di Martedì” su La7, la "famosa" virologa Ilaria Capua
torna a parlare di Coronavirus, e lancia un importante quesito:

perché gli studi sulle sequenze italiane del virus non sono state ancora pubblicate?

Un interrogativo che preoccupa, quello della scienziata, e che fa sorgere dei sospetti.

Intervistata da Giovanni Floris, la Capua è stata per prima cosa chiamata ad esprimere un parere sulla tanto attesa ripartenza del Paese,
previsto per il prossimo 4 maggio.

“Mi sembra che stiamo andando meglio”, commenta la virologa, osservando i dati attuali sul Covid-19 in Italia.
“Sono dati incoraggianti, quindi le misure di sanità pubblica che sono state messe in pratica stanno funzionando.
Questo è merito di tutti gli italiani, ai quali voglio dire grazie”.

E sulla cosiddetta Fase 2? “Siamo un po' in ritardo, secondo me”, continua la Capua.
“Non abbiamo un'idea chiara di come l'infezione si sia diffusa in Italia.
È chiaro che questa è una malattia multifattoriale, dipende da tanti fattori.
Dipende dall'inquinamento, o dalla rete dei trasporti (dove si fa maggior uso di mezzi di trasporto, ci si ammala di più).
Manca capire come è realmente messo il Paese, quindi. Non è detto che l'Italia si trovi ovunque nelle medesime condizioni”.

Poi la conversazione si sposta sull'importanza delle figure preposte a guidare la nazione in questo periodo di emergenza.

“Non si può parlare una lingua sola, non può esserci solo il 'politichese' o lo 'scientifico stretto'.
Le decisioni devono essere prese in collaborazione. Bisogna prima di tutto ascoltare le ragioni della salute,
poi quelle dell'economia, del tessuto sociale e delle altre determinanti che ci porteranno verso la nuova normalità”.

E come arrivare a questa ripartenza?

“Prima di tutto capire quanti italiani sono entrati in contatto col Coronavirus. Quindi un test sierologico rappresentativo su base nazionale.
Un test che sarebbe opportuno ripetere dopo una ventina di giorni, così da avere un senso della dinamica della diffusione.
Questo perché purtroppo i dati che abbiamo in questo momento, essendo stati raccolti ognuno in modo diverso, con test diversi,
non danno un chiaro quadro di ciò che sta succedendo”, spiega la dottoressa.

“Altro importante punto di svolta sarà quello di riavere gli ospedali in piena funzione.
Alcuni sono stati messi sotto grandissimo sforzo, ma ci sono tanti pazienti che hanno bisogno di ricevere cure anche per altre patologie.
Quindi, per prima cosa, bisogna fare un test sierologico per la ricerca di anticorpi.
Deve essere un esame riconosciuto, validato e che dia realmente le informazioni di cui abbiamo bisogno.
Il tampone ci dice soltanto se il paziente è infetto nel momento stesso in cui viene effettuato l'esame, non dà un quadro completo.
Non può dirmi, ad esempio, se la persona si è infettata un mese prima. Questo virus”, continua la Capua, “è un virus completamente nuovo.
Non sappiamo come si comporterà, come si evolverà. Ci sono Coronavirus propri dei mammiferi che oltre a dare patologie respiratorie,
possono provocare delle gastroenteriti. Chi ci dice che, fra qualche anno, non potrà causare delle gastroenteriti, magari nei bambini?”,
aggiunge la virologa, parlando del futuro del virus.

“Dobbiamo stare attenti. Bisogna trovare una soluzione che permetta al Paese di ripartire, ma allo stesso tempo usare il buon senso.
Questo problema non possono risolverlo gli scienziati, né i politici o i giornalisti. Lo risolveranno le persone.
Ormai sappiamo cosa bisogna fare, conosciamo i fattori di rischio. Le norme di sanità pubblica messe in atto funzionano.
Dobbiamo essere consapevoli che conviveremo con il virus, come abbiamo imparato a fare.
Non significa però che la quarantena dovrà durare in eterno. Uscire lentamente, un po' per volta, non tutti insieme”, aggiunge.

Una seconda ondata? “Innanzi tutto, questo non è un virus trasmesso da vettori, quindi le zanzare
(in arrivo, data l'avvicinarsi dell'estate) non rappresentano un problema. Una seconda ondata? Potrebbe esserci.
Specialmente se la cosiddetta immunità di gregge non è in grado di arginare la diffusione del virus”.

Poi, l'interrogativo, che arriva mentre la virologa parla delle mutazioni subite dal Covid-19.

“Possiamo dire poco per quanto riguarda l'Italia. Ho controllato: ci sono 10mila sequenze, di cui 40 italiane.
È una faccenda sulla quale molti colleghi si interrogano: come mai queste sequenze italiane non si pubblicano?
È importante avere una fotografia globale di come questo virus si muove, altrimenti non potremo mai combatterlo ad armi pari.
C'è bisogno di studiarlo con tutte le forze che abbiamo”, commenta.
 
Che bel paese. Che bei politici. Che bei tecnici. Che bei magistrati e che bei funzionari.
Ma se questo è "clandestino" come fa a vivere in un'abitazione ? Ha un regolare contratto d'affitto registrato ?
Come fanno i figli ad andare a scuola se non ha la residenza ? E se non ha la residenza, come fa ad avere
il documento d'identità ? E la patente ? Ma se fa l'aiuto cuoco è stato assunto ? E come ?
Oppure lavora in nero ? E la moglie che fa la domestica ? Sempre in nero ?
Ma se hanno 2 lavori, come fanno ad avere problemi di alimentazione ? Eh già.........troppe domande.

Una sentenza che farà discutere. Il tormentone "prima gli italiani" questa volta non vale. Non funziona.
Qui c’è di più: il diritto primario all’alimentazione e alla salute.


Il tribunale di Roma approva un ricorso che permetterà probabilmente anche gli immigrati irregolari
di accedere ai buoni spesa.

La delibera del comune di Roma che chiede la residenza anagrafica come requisito per il buono spesa,
escludendo così tutti i migranti irregolari, sarebbe discriminatoria.


Il provvedimento, destinato a fare da apripista, è della giudice Silvia Albano.

La decisione accoglie in via d’urgenza il ricorso di un immigrato filippino di 38 anni, assistito dall’avvocato Salvatore Fachile,
che ha contestato, davanti al giudice della sezione diritti e immigrazione, la delibera che disciplina l’erogazione dei ticket.
Questa decisione, come detto, farà discutere.

Solo i cittadini italiani hanno diritto al sussidio straordinario nato dall’emergenza da coronavirus? Sembra di no.

Questi sono i fatti. L’immigrato era giunto in Italia nel settembre del 2016 insieme alla compagna e ai due figli della donna rimasta vedova.
Dalla loro relazione era poi nato un figlio in Italia e la coppia era diventata titolare di permesso di soggiorno per sei mesi.
Scaduta l’autorizzazione, però, la famiglia è rimasta a vivere, studiare e lavorare nella capitale.

Lui sbarca il lunario come aiuto cuoco. Lei come domestica. I figli vanno regolarmente a scuola.

L’extracomunitario aveva chiesto al Municipio XIV il contributo, specificando la propria condizione economica
per effetto del lockdown e la situazione di irregolare, privo della residenza.

Ma proprio per questi motivi è stato escluso dal buono spesa.

L’avvocato del cittadino filippino ha le idee chiare:
"Attualmente il ricorrente e la sua famiglia non riuscirebbero neppure a regolarizzarsi
essendo al momento chiusi gli uffici Immigrazione delle questure e sospese le procedure di rilascio dei permessi".

Argomentazione accolta dal giudice che nelle dieci pagine del provvedimento rileva:

"Il buono spesa è stato istituito nell’emergenza sanitaria in atto per garantire alle persone più vulnerabili
la possibilità di soddisfare un bisogno primario e un diritto fondamentale quale il diritto all’alimentazione".

Richiamando la dottrina della Corte costituzionale e le norme internazionali, il magistrato spiega che nel caso di specie
non si discute dell’accesso a prestazioni assistenziali ordinarie, ma dell’accesso a una misura emergenziale.

Un provvedimento teso a fronteggiare le difficoltà dei soggetti più vulnerabili a soddisfare i propri bisogni primari,
a causa della situazione eccezionale determinata dalla pandemia.

In queste condizioni sarebbe quindi sufficiente che la famiglia abbia dimostrato di abitare effettivamente a Roma
attraverso la documentazione scolastica e le certificazioni vaccinali dei figli minori.

E di aver certificato la condizione di disoccupazione senza accesso ai benefici della cassa integrazione previsti per i titolari di contratto regolare.

Anche i clandestini, stando a questa sentenza, avrebbero diritto a un aiuto dello Stato.

E chissà cosa ne pensa il Tesoro. Chissà se ci sarà davvero spazio per tutti in quest'Italia che naviga a vista nella tempesta.
 
Ahahahahahah eccoli qui i buffoni di corte.........mmmmm conte.

Ancora una volta il Conte bis ha dimostrato di predicare bene e razzolare male.

Il Governo ha lavorato con il favore delle tenebre a confezionare il pacchetto delle nomine ai vertici delle grandi aziende partecipate dallo Stato.

Soltanto a cose fatte sappiamo com’è andata:

il Partito democratico ha preso il grosso della posta sugli amministratori delegati,

mentre sotto l’etichetta Cinque stelle sono finiti la maggior parte dei presidenti.

Un bel risultato per un movimento che è nato dichiarando di non volersi sporcare le mani con i giochi di potere.

Invece, i grillini se le sono sporcate.

Intendiamoci, dal punto di vista formale i pentastellati hanno partecipato da protagonisti al banchetto sui vertici dei colossi di Stato.

Facendo spallucce alla logica dell’emergenza, che avrebbe consigliato un coinvolgimento responsabile
delle forze dell’opposizione nelle scelte più rilevanti, i soci del Conte-bis hanno svuotato la dispensa.

Ma non in eguale misura.

Il Pd ha badato a tenersi stretti gli amministratori delegati concedendo ai grillini di mettere becco nella scelta dei presidenti.

C’è differenza.

Comparando le funzioni operative degli amministratori delegati a quelle dei presidenti dei Consigli di Amministrazione
si comprende benissimo dove sia riposto il maggior peso decisionale.

Ed è lì che i “dem” hanno vinto.

Nella giostra degli amministratori delegati il Cinque stelle comunque si aggiudica le poltrone di seconda fila.

La posizione di ad in Terna, la società delle rete di energia elettrica, va a Stefano Donnarumma, giunto dalla nidiata di manager del Comune di Roma.
Donnarumma è ad di Acea, la municipalizzata di Roma per elettricità, gas e acqua, come pure il nuovo Ceo di Enav,
la società di gestione del traffico aereo, Paolo Simioni, personaggio vicino alla sindaca Virginia Raggi
per conto della quale ha amministrato l’Atac, azienda della mobilità di Roma capitale, con risultati discutibili.

Eppure, a scorrere la lista dei presidenti nominati in capo alla componente grillina qualcosa non torna.

In palio vi erano le posizioni in Poste Italiane, Enel, Eni, Leonardo.

La casella della presidenza di Poste italiane rimane occupata da Maria Bianca Farina.
Manager che proviene dal mondo cattolico.
Nominata nel 2014 da Papa Francesco membro del Consiglio direttivo dell’Aif, Autorità di Informazione Finanziaria e di Vigilanza della Santa Sede.
Dal settembre 2015, nel Consiglio direttivo della Fondazione “Bambino Gesù Onlus” e Consigliere di Amministrazione di “Save the Children”;
in precedenza, Farina ha avuto un’esperienza all’interno della galassia “Poste” da Amministratore delegato di Poste Vita Spa e Poste Assicura Spa.
Quindi, dal curriculum si evince che non nasca grillina.

Ugualmente il generale di corpo d’armata della Guardia di Finanza Luciano Carta, designato al ruolo di presidente del Gruppo Leonardo.
Uomo dello Stato, Carta lascia la direzione dell’Aise (Agenzia informazioni e sicurezza esterna) dopo una lunga carriera militare.

Chi lo conosce lo descrive con caratteristiche che lo accomunano a molti uomini pubblici venuti dalla sua terra d’origine, la Sardegna: rigoroso, riservato, tenace.

L’indicazione del suo nome per sostituire Gianni De Gennaro alla testa dell’azienda che si occupa della costruzione
di apparati di difesa e di aero-spazio sarebbe venuta dal presidente del Consiglio al quale, secondo fonti de Il Sole 24 ore,
lo accomunerebbe la devozione per Padre Pio.

Alla presidenza dell’Enel approda Michele Crisostomo. Leccese, avvocato specializzato nell’assistenza a banche e assicurazioni.
La più importante stella sul suo curriculum è stata la vittoria contro l’Ue nel ricorso alla Corte di giustizia dell’Unione europea
per la vicenda dell’acquisto di Banca Tercas (ex Cassa di Teramo) da parte della Banca popolare di Bari.
È stato consigliere di amministrazione di Ansaldo Sts, in rappresentanza del socio Elliott
che nella cosmogonia del grillismo delle origini sarebbe il diavolo.

Poi c’è la presidenza dell’Eni, il bersaglio grosso della trattativa, che è andata a Lucia Calvosa.
Docente di diritto commerciale all’Università di Pisa, la professoressa Calvosa è membro indipendente
del Consiglio di amministrazione della società per azioni che edita Il Fatto Quotidiano.
Ad essere puntigliosi bisognerebbe dire che la nomina sia riconducibile non al Cinque Stelle
ma al suo sponsor principale che è il giornale “manettaro” di Marco Travaglio.

Una scelta che dovrebbe indignare i duri e puri del partito degli onesti, perché propone un conflitto d’interessi gigantesco.

L’Eni ha avuto dai tempi di Enrico Mattei un fortissimo ascendente sulla politica italiana.
Parte del mondo dell’informazione è stato condizionato dall’influenza di potere della principale azienda di Stato
che è stata proprietaria di testate giornalistiche l’Agenzia giornalistica Italia (Agi) appartiene ancora oggi al gruppo Eni.

Ora però avviene il contrario: un giornale mette le mani su una fonte inesauribile di potere.

Se una cosa del genere l’avesse solo pensata Silvio Berlusconi, provando a dare la presidenza di Eni
a un membro del Consiglio di amministrazione di Mediaset, si sarebbe scatenato il finimondo.

Neanche immaginiamo la veemenza con cui il direttore de “Il Fatto” avrebbe aizzato la magistratura
per fermare il supposto attentato alla libertà dell’informazione.

Oggi accade l’impensabile e tutti zitti.

Ma Il Fatto non è solo lo strumento di guida politica e morale dei Cinque stelle, è soprattutto il “giornale delle Procure”.

È la cassa di risonanza di quella parte della magistratura che ha scelto di contrastare la politica
con metodologie d’indagine alquanto aggressive, se non sfacciatamente faziose.


Ha ragione Piero Sansonetti che dalle colonne de Il Riformista dello scorso 18 aprile denuncia che:

“questo legame strettissimo con le Procure più aggressive conferisce al Fatto una grande potere.
Sulla politica e sugli altri giornali. Tutti temono Il Fatto. Naturalmente questo potere si moltiplicherà per dieci e per cento
se Il Fatto aggiungerà nella cassetta dei suoi attrezzi di potere anche l’Eni. Ci troveremo di fronte a un giornale
che è espressione del governo, della magistratura e dell’Eni”.

Da ciò si deduce che non i grillini ma il gruppo del Fatto sia entrato nella stanza dei bottoni e abbia opzionato il tasto più potente.

Non si pensi però che i Cinque stelle siano una banda di sprovveduti.
Non si sono sporcati le mani per niente o per fare regali agli amici degli amici.

Luigi Di Maio è riuscito a piazzare un suo uomo nel Consiglio di amministrazione di Leonardo Spa.
Si tratta di Carmine America, conterraneo ed amico personale nonché collaboratore del ministro degli Esteri.


È ipotizzabile che il ruolo assegnatogli nella principale azienda del comparto Difesa
non sia quello di tenere alta la bandiera dei sacri furori anti-militaristi dei grillini
ma di presidiare le scelte strategiche dell’azienda, in particolare riguardo al sito industriale Leonardo-Finmeccanica di Pomigliano d’Arco,
dove lo scarso anno sono confluiti 130milioni di euro di investimenti per rilanciare la produzione.

E Di Maio, come l’alieno E.T., quando sente nominare Pomigliano d’Arco risponde: casa.

L’aver ceduto il grosso della torta in palio al Pd ha consentito al partito di Beppe Grillo di affondare i denti sul boccone ghiotto:
la guida di Monte dei Paschi di Siena.
Con la designazione in quota M5s di Guido Bastianini, ex vicedirettore di Capitalia, presidente di Banca Profilo
e, nel 2017, ad di Banca Carige, e la presenza consolidata in Cassa depositi e prestiti,
si consolida l’assalto grillino al cielo della grande finanza italiana.

Oggi Beppe Grillo potrà rispondere affermativamente alla medesima domanda che, nel 2005, l’allora segretario dei Ds Piero Fassino
rivolse, in una telefonata che non gli portò bene, a Giovanni Consorte, ad di Unipol: “Abbiamo una banca?”.

Questa tornata di nomine è stata politicamente strategica perché servirà ad avvelenare i pozzi alla prossima maggioranza governativa.

Anche se tra sei mesi o un anno si dovesse tornare a votare e i Cinque stelle venissero ridotti al lumicino,
un nuovo Governo della destra plurale dovrà affrontare una fatica ciclopica per mandare avanti il Paese
avendo nei posti chiave dell’industria di Stato e della cassaforte pubblica gli alfieri dei “dem” e dei “grillini”.

E allora sarà davvero dura cambiare il mondo.
 
I giallo-rossi macinano nefandezze a tutta manetta.
Ma ci sono o ci fanno ?

Io penso che lo facciano apposta, perfettamente consapevoli di dove vogliono andare a parare.

Di fronte a sondaggi che li danno elettoralmente spacciati e a scenari economico-socio-sanitari da incubo, il loro piano è lampante: consegnare una montagna di macerie al futuro governo di centro-destra !

Solo così possono sperare che i loro avversari politici vengano travolti da uno tsunami di povertà, degrado e ribellione sociale.
Solo così possono sperare di ritornare in sella tra alcuni anni, con la verginità ripristinata dall'essere stati all'opposizione nel periodo più tragico della crisi.

Ma allora, non sarebbe meglio che il centro-destra trovasse il modo per sottrarsi a quel disegno grillo-piddino ?
Non sarebbe meglio lasciare a loro la patata bollente di una Italia devastata e furibonda ?

A volte, sedersi in riva al fiume e aspettare che passi il cadavere del nemico, può essere la strategia più saggia in assoluto.
 
Prendo spunto dall’ottima riflessione, in cui si mette il dito in una della tante piaghe che ci stanno affliggendo in questi giorni,
cioè il tentativo più o meno smaccato di usare il Covid-19 come drammatica levatrice
per far nascere “un italiano nuovo e più virtuoso”


In questo senso concordo con Arturo Diaconale quando sottolinea la ridicola enfasi con cui molti
arruffapopoli da strapazzo hanno dipinto lo spettacolo folcloristico, ad essere buoni, di tanti cittadini che cantavano l’inno nazionale,
sventolando il Tricolore dai loro balconi.

Ma tutto ciò ovviamente avveniva solo all’inizio di questa vera e propria follia collettiva,
innescata da un bombardamento mediatico che, raccogliendo le indicazioni e i messaggi provenienti dall’attuale comitato di salute pubblica,
formato da Governo e luminari pluridecorati, ha rappresentato una seria pandemia come se fosse una sorta di Armageddon.


Oggi però, dopo una lunghissima reclusione in casa, la quale non trova confronti in nessun Paese democratico
(per sincerarsene basta farsi un giro su Internet per comprendere, con dovizia di immagini e reportage,
che pure sul piano di questa emergenza sanitaria noi siamo del tutto anomali rispetto al mondo avanzato),
è ragionevole ritenere che molti di questi entusiasti della prima ora, nella guerra senza quartiere alla pandemia
condotta nelle trincee delle loro abitazioni, non abbiano più tanta voglia di festeggiare.

Soprattutto coloro i quali hanno cominciato a togliersi la mortadella dagli occhi,
documentandosi su alcuni studi molto interessanti usciti in questi ultimi giorni,
stanno ingrossando a dismisura l’esercito degli scettici e degli indignati.

A tale proposito piuttosto illuminante mi è sembrata una ricerca pubblicata alcuni giorni orsono dal Giornale di Milano,
in cui uno dei maggiori esperti tedeschi nel campo della virologia, Hendrik Streeck, direttore dell’Istituto di Virologia dell’Università di Bonn,
dopo un’accurata indagine su un campione piuttosto vasto, ha concluso quello che già l’illustre Ilaria Capua
aveva più volte dichiarato in alcuni interventi televisivi:

il Coronavirus si diffonde essenzialmente in luoghi chiusi e quando le persone si trovano a distanza ravvicinata per un tempo relativamente lungo.
Mentre all’aperto, soprattutto quando si mantengono le distanze, il contagio è praticamente impossibile.
Tant’è che nella stessa Germania, precisamente in Baviera, l’obbligo delle mascherine è previsto solo nei locali aperti al pubblico
e nei mezzi di collettivi di trasporto.
E prendendo atto che in questo Paese quella che da noi è ancora dipinta come la morte nera è stata letteralmente stroncata in una dozzina di giorni,
personalmente tenderei a prendere per valide sia le conclusioni del professor Streeck e sia la loro applicazione pratica,
con una obbligazione precauzionale ragionevole.


Noi invece, che oramai abbiamo fatto passi da gigante nella creazione di un imbecille di tipo nuovo,
così come in un magnifico libro di Giancarlo Lehner e Francesco Bigazzi sulla tragedia dei comunisti italiani finiti nei gulag sovietici,
vengono mirabilmente definiti i rozzi burocrati, totalmente privi di coscienza critica, con cui il regime stalinista
aveva asservito un popolo di oltre 150 milioni di abitanti, continuiamo ad essere i più bravi di tutti nel campo delle misure restrittive.


Sembra infatti che con la tanto attesa Fase 2, invocata con crescente disperazione da un tessuto produttivo agonizzante,
ci verranno imposti anche all’aperto e a prescindere dal nostro grado di solitudine mascherine a guanti,
così da non arrecare eventuali danni virali ai tanti animaletti che in primavera si muovono all’interno di parchi e prati.

Misure accettabili, almeno per ciò che concerne la mascherina, se previste per i luoghi chiusi e affollati;
misure assolutamente inutili, e dunque umilianti e vessatorie, se rese obbligatorie manu militari
per chi esce di casa singolarmente per correre, passeggiare o per far riposare la mente
dopo così tante settimane di martellante propaganda di un regime sanitario in stile orwelliano.

Occhio signori, farsi irreggimentare da surrogati di divise maoiste, così come qualcuno potrebbe considerare l’uso erga omnes
e in ogni ambito di strumenti di protezione, non è molto rassicurante.


Ogni cittadino che crede realmente nei valori della Costituzione, la stessa che molti chiacchieroni solo ieri esaltavano,
mentre oggi stanno muti, non dovrebbe accettare con leggerezza costrizioni puramente precauzionali
che non abbiano una assoluta fondatezza scientifica.


E i guanti di lattice, oltre che malsani se portati a lungo, non si comprende quale salvaguardia possano offrire rispetto alla nostra pelle,
visto che comunque noi umani non respiriamo con le mani.
 
Non è vero affatto che l’emergenza imposta dal coronavirus con il suo carico di morti e di restrizioni abbia migliorato, educato ed elevato la società italiana.

Chi pensava che una prova così dura e lunga nel tempo avrebbe costretto gli italiani a non badare più al proprio particulare
diventando di colpo tutti meno egoisti e solidali e avrebbe forgiato un modello di italiano nuovo più virtuoso
di tutti i modelli di italiani comparsi negli ultimi tremila anni deve oggi constatare che la sua idea,
come tutte le pretese di forgiare l’umanità facendola passare attraverso le fornaci delle guerre, delle crisi economiche e sanitarie, è totalmente fallita.

A meno di non credere che cantare sui balconi sia stata una dimostrazione di quanto gli italiani siano diventati modello di etica e di solidarietà,
bisogna incominciare a prendere atto che il coronavirus non solo non ha migliorato la società nazionale,
ma ha iniettato al suo interno dosi di ferocia e di intolleranza di cui non si avvertiva alcun bisogno.

Non c’è bisogno di tirare in ballo l’esempio del pacifico cittadino che correva tutto solo per la strada
e che è stato malmenato in quanto colpevole di non aver rispettato la rigida chiusura imposta dal governo
per concludere che la prova suprema non ci ha migliorato ma ci ha reso peggiori.

L’esempio più evidente di questo effetto negativo si manifesta in maniera addirittura eclatante sul terreno politico.

L’unità nazionale, con cui si sarebbe dovuta fronteggiare la pandemia, si è rivelata una vana illusione.

Non perché non sia nato un governo formato da tutte le forze politiche come da più parte era stato proposto
ricordando come in passato le emergenze hanno sempre prodotto formule politiche ispirate alla solidarietà nazionale.

Ma perché la spaccatura politica che in questi quaranta giorni si è verificata nel Paese è talmente larga e profonda
che sembra ricordare quelle che in altre epoche hanno alimentato forme di guerra civile magari non conclamata ma estremamente diffusa nell’intera penisola.

Lo scontro istituzionale e politico tra governo centrale e governatori regionali non è solo la pietra tombale su un regionalismo sbilenco
realizzato da modifiche costituzionali realizzate solo per motivazioni politiche contingenti.

È il segno inequivocabile della lacerazione in atto nel tessuto sociale e politico nazionale, lacerazione che non potrà non essere accentuata
dalle tensioni che le prossime elezioni amministrative, sia che si celebrino in estate o in autunno, fatalmente porteranno.

Lo scontro tra i partiti al governo centrale, che puntano a ribaltare a proprio vantaggio gli equilibri politici delle regioni governate dal centrodestra,
è già durissimo e lo sarà ancora di più.

Chi voleva approfittare del coronavirus per rifare gli italiani prenda finalmente atto che il suo proposito è fallito.

E che proprio a causa di tale proposito c’è il rischio di scivolare non solo verso la recessione economica ma anche verso nuove forme di guerra civile.
 
“L’abbraccio tedesco costringerà i paesi del
continente europeo, presto o tardi, a una nuova
morsa letale!”

“Un suo insuccesso (dell’unione monetaria ndr)
comporterebbe gravi ripercussioni sul funzionamento
del sistema monetario internazionale e
sulle possibilità di avanzamento della costruzione
economica europea”

(citazioni tra il 1978 ed il 1988)

Giorgio Napolitano un uomo chiamato ‘voltafaccia’
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Giorgio Napolitano, ritratto di Costantino Rover ©

Eccoci al secondo appuntamento della saga de I TRADITORI DELL’ITALIA.
Dopo il ritratto di Mario Monti, un nuovo e illustre traditore del Paese: Giorgio Napolitano

Apre con due citazioni, il ritratto di Giorgio Napolitano, l’uomo capriola, l’uomo voltafaccia,
il trasformista che ha sempre vissuto di Stato, come molti altri, soprattutto della sua generazione.

Questa storia non può che cominciare da metà, cioè da quando il Napolitano comunista
ha già alle spalle una lunga carriera politica e di militanza nel Partito Comunista italiano.

Partiamo da qui perché questo punto di partenza ci aiuterà ad unire i puntini di una storia che nessuno è riuscito a capire prima che fosse troppo tardi.

Solo così possiamo comprendere come l’Italia sia stata abbandonata al destino che in tempi di coronavirus si svela come il più triste.
A dire il vero tutta l’evidenza della trappola in cui l’Italia è caduta già decenni fa,
era emersa con il lavoro di retrospettiva svolto dal primo movimento sovranista.

Attenzione non stiamo parlando dei partiti populisti.
Vi sto parlando di qualcosa di cui nessuno di voi ha probabilmente mai sentito parlare prima di ora.
Si tratta di un movimento spontaneo (davvero quella volta) nato dalla detonazione della MMT,
vera e propria bomba assemblata in Italia, dopo averne importato pezzi dagli Stati Uniti, dal Canada e dalla Francia, da Paolo Barnard.

Il sovranismo di fatto in Italia è nato lì (e morto non appena entrato in contatto con la politica, compresa quella che vi raccontano essere nata dal basso).

Chiusa la partentesi: sul tema trovate tutto in rete.

Ma ciò che si trova in rete, così come nella emeroteca, è anche la storia di Giorgio Napolitano.
E si trovano tutti i pezzi del puzzle, già assemblati, ora che se ne è quasi uscito di scena.

Giorgio Napolitano contro l’Euro
Anzitutto va ricordato che la circolazione dell’ Euro è iniziata il 1 gennaio 2002,
ma l’Italia aveva aderito al tasso di cambio “irreversibile” con le altre monete europee già nel 1998.

Trascorsi i 3 anni di parità con le altre monete aderenti all’Euro, ha finalmente aderito al sistema di circolazione della stessa moneta.

“Si cambi rotta, poiché l’Europa a guida tedesca rischierà di farci sbattere contro gli iceberg:
o ci salviamo tutti o affonderemo insieme.”


Tuonava Giorgio Napolitano riferendosi all’ineluttabile unione monetaria europea.

I passaggi che portarono l’Italia nell’Euro
– Capitolo lungo, quello sulla moneta unica, ma fondamentale per comprendere il tradimento di Napolitano –

Bisogna dire però che l’adesione all’Euro è la conseguenza di scelte fatte in precedenza.
Queste furono: l’adesione al Sistema Monetario Europeo (SME) del 1979, l’Atto Unico Europeo del 1986 e il Trattato di Maastricht del 1992.

Nel 1972, dopo la decisione di Nixon di sganciare il dollaro dalla convertibilità con l’oro,
alcuni Paesi europei (esclusa l’Inghilterra) decisero di dar vita ad un sistema di cambi semirigidi, chiamato Serpente monetario Europeo (Sme).
Ciò comportava che le valute dei paesi aderenti avrebbero oscillato entro determinati margini attorno ad una parità centrale, l’Ecu (unità di conto europea).

Questa parità veniva calcolata come un paniere delle loro monete.
Insomma una cosa tipo le 1936,27 lire a cui fu il cambio con l'Euro.

L’Italia aderì inizialmente a questa parità centrale, ma ne uscì due anni dopo.

Allora da noi era particolarmente forte il conflitto sociale, e non si riteneva utile ancorare la Lira alle altre valute europee.
In Italia, anziché soffocare il conflitto sociale con l’adesione ad una moneta forte, si preferì realizzare una politica di compromesso
e di riforme simboleggiata dalla politica del Compromesso storico.
Essa vide per la prima volta il Partito Comunista partecipare alla co-decisione politica e poi anche la partecipazione alla maggioranza di governo.
Questa politica, pur per certi versi criticata, vide anche la realizzazione di molte riforme, quali l’istituzione delle Regioni
(prime elezioni nel ’75), la concessione del divorzio, l’aborto, la realizzazione del Servizio Sanitario Nazionale.

Nasce il problema (per gli americani) del compromesso storico
Il compromesso storico e la compartecipazione del Pci al governo italiano, destarono la forte preoccupazione del Governo USA.
Del resto occorre ricordare che in questo periodo siamo ancora in piena guerra fredda.

Questo straordinario evento di fatto era la concretizzazione delle famose “convergenze parallele” teorizzate da Aldo Moro.

Infatti Moro “pur rifiutando il totalitarismo comunista” aveva determinato uno spostamento l’Italia più a sinistra
(leggi vicino alle istanze del Partito comunista italiano che viveva sotto l’egida dell’URSS, l’Unione Sovietica).

Il 1978 fu un anno di forti conquiste sindacali e vide anche l’ultima diminuzione del debito pubblico senza privatizzazioni.
Tuttavia il forte movimento sindacale sviluppato in Italia aveva portato anche all’erosione della capacità di profitto delle classi capitalistiche,
e il conflitto si era manifestato, come sempre succede, con una forte inflazione.

Dato che l’Italia aveva iniziato uno spostamento a sinistra, nasceva perciò l’esigenza, per le classi dominanti,
di trovare uno strumento per “disciplinare” la forza lavoro,
le cui conquiste erano ritenute responsabili dell’inflazione.
La necessità di “combattere l’inflazione” fu sostenuta da chi voleva l’adesione al Sistema monetario Europeo,
i cui effetti previsti erano i medesimi che si sono venuti a verificare con l’Euro.

Uno dei principali era sicuramente la compressione salariale come leva per il mantenimento della competitività nel mercato comune.

La sinistra capì bene i rischi che si celavano dietro alla scelta di adesione ad una moneta forte.

L’Italia vuole aderire ad una moneta unica?

Quando, il 12 dicembre 1978, Andreotti si presenta in Parlamento per presentare l’intenzione di aderire immediatamente al sistema monetario europeo.
Eppure, solo poche settimane prima lo stesso Andreotti aveva respinto le richieste della Francia, che invece voleva l’immediato ingresso dell’Italia.
il Pci si riunisce per formulare la propria risposta che verrà comunicata il giorno seguente.
I comunisti giudicheranno l’atto di Andreotti come un tentativo di fare cadere il Governo (e il compromesso storico).

Il no di Giorgio Napolitano

Sarà proprio Giorgio Napolitano a presiedere quella storica riunione.
Ecco cosa emerge dai verbali:

Per dire il nostro sì allo Sme, scrive Napolitano, chiedevamo tre condizioni:
“Garanzia sui tassi di cambio” (cioè riallineamento periodico del valore delle monete);
“garanzie sui prestiti del Fmi” e “misure di trasferimento di risorse a favore delle economie più deboli”.


Infatti, da che il cambio sarebbe stato a svantaggio delle economie più deboli, questo sarebbe dovuto essere pagato da chi ci avrebbe guadagnato
(cioè dalle economie più forti).

Qui Giorgio Napolitano profetizza:

“Inserendoci in quest’area, nella quale il marco e il governo tedesco hanno un peso di fondo,
dovremo subire un apprezzamento della lira
e un sostegno artificiale alla nostra moneta.
Nonostante ci sia concesso un periodo di oscillazione al 6%, saremo costretti a intaccare l’attivo della bilancia dei pagamenti.
Lo Sme determinerà una perdita di competitività dei nostri prodotti e un indebolirsi delle esportazioni.
C’è un attendibile pericolo di ristagno economico”.


Una previsione che più azzeccata non si può.



Giorgio-Napolitano-1.jpg

Giorgio Napolitano nel Pci

Il 13 dicembre 1978, il Partito Comunista Italiano votò contro l’adesione immediata allo Sme, insieme all’estrema sinistra,
mentre il partito socialista si divideva fra favorevoli, contrari e astenuti.

Purtuttavia l’indomani Andreotti confermerà l’ingresso dell’Italia nello Sme.
I giornali tedeschi festeggeranno.

Ancora Giorgio Napolitano:

“Si è finito per mettere il ‘carro’ dell’accordo monetario davanti ai ‘buoi’ di un accordo per le economie”,
anche per “le sollecitazioni pervenuteci dai governi amici”.


Gli “amici” sottintesi, sono i tedeschi.

E aggiunse che se qualcuno avesse voluto,

“far leva sulle gravi difficoltà che possono derivare dalla disciplina del nuovo meccanismo di cambio per porre la sinistra
e il movimento operaio dinanzi alla proposta di una politica di deflazione e di rigore a senso unico,
diciamo subito che si tratta di un calcolo irresponsabile e velleitario, non meno di quelli che hanno spinto pezzi della Dc
a premere per l’ingresso immediato nello Sme in funzione di meschine manovre anticomuniste, destinate a sgonfiarsi rapidamente”


Questa conclusione, purtroppo fu molto meno azzeccata.

Nel 1986 l’Atto Unico Europeo stabilirà il principio della libera circolazione di “persone, merci, servizi e capitali” entro l’Unione Europea.
La novità fondamentale erano le ultime due, perché il Mercato Comune per le merci già esisteva.

Da fascio a comunista, Napolitano a tempo di record
Si addormenta fascista e si risveglia comunista.
È accaduto sul serio quando, ormai rassegnato alla caduta dei suoi compari di camicia (nera) si converte in tempo record al comunismo.

Nato da famiglia liberale si era tosto infatti iscritto ai gruppi universitari fascisti (GUF), in cui veste i panni del critico teatrale.
Anni dopo avrà il coraggio di simulare che in realtà quella sarebbe stata una recitazione nel ruolo dell’infiltrato antifascista nel fascismo.

Ma quando le sorti del fascismo sembrano ormai segnate, Napolitano ha un “grave tormento autocritico”.
Ops! Significa che sta per far accadere qualcosa di grosso!
Infatti entra in contatto con un gruppo di comunisti napoletani e diventa attivista.



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Giorgio Napolitano giovane fascista

È il 1945 quando Giorgio Napolitano si iscrive al Partito Comunista Italiano.
Èd è sempre in questo periodo che, dopo lo sbarco degli americani a Napoli, e fa il volontario nella croce rossa americana.
Incontra Henry Kissinger che di lui in seguito dirà: “È il mio comunista preferito“.
Attenzione ai concatenamenti.
I puntini già cominciano ad unirsi.

Di lì in poi il passo è breve a diventare staliniano.
Intanto appena 8 anni dopo, nel 1953 diventa deputato.

La svolta definitiva
Nel 1956 quando l’URSS invade l’Ungheria con i carri armati. Giorgio Napolitano commenterà così:

l’Urss ha evitato “che nel cuore d’Europa si creasse un focolaio di provocazioni”
ha impedito “che l’Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione” e in definitiva ha salvato “la pace nel mondo”


Poco importa dei 3.000 morti ungheresi. Giorgio Napolitano esportatore di democrazia ante litteram insomma.

Delle dittature comuniste ancora nel 1972, dirà che sono:

“straordinario elevamento del livello di civiltà e di cultura delle masse”

Nonostante ciò nel 1975 chiede di poter andare negli Sati Uniti.
Il permesso gli viene negato “per non dare un attestato di credibilità al comunismo” ma, nell’aprile 1978, Giorgio Napolitano,
su raccomandazione del repubblicano Ugo la Malfa e la mediazione di Andreotti, ci riesce: va negli USA.
Giorgio Napolitano diventa così il primo comunista italiano in terra d’America.
A preparare il suo viaggio è Enrico Berlinguer.

Ufficialmente è un tour di conferenze nelle università americane.
L’allora ambasciatore Richard Gardner racconterà invece di aver avuto quattro incontri segreti con lui.
Del resto era già dal 1969 che l’ambasciata americana a Roma aveva creato contatti con il Partito Comunista Italiano,
in vista di una sempre più probabile salita al governo.

Capito perché serviva il gancio o meglio il pontiere verso il Pci?

Giorgio Napolitano è in America per recapitare il messaggio che il compromesso storico non intrancerà in alcun modo gli interessi degli Stati Uniti
. Parola di corrispondente dagli USA.

Princeton, Harvard, Yale, Georgetown e John Hopkins University, con il “meeting” al Council on Foreign Relations, l’associazione di affaristi privati.

In quel consesso dirà:

Il Pci non si oppone più alla Nato come negli anni Sessanta,
mentre lo scopo comune è quello di superare la crisi,
e creare maggiore stabilità in Italia»


L’appoggio ai capitali finanziari
Tornato in Italia, Napolitano darà vita alla corrente interna al Pci dei miglioristi.
Una corrente che su molti punti osteggerà Berlinguer portando di fatto alla spaccatura del partito,
portandolo a rigettare le anacronistiche posizioni rivoluzionarie e riposizionandolo sull’asse della NATO.

Sul finire degli anni 80 il Pci chiuderà i battenti. Nel 1991 gli succederà il Partito Democratico della Sinistra (PDS).

D’improvviso diventerà questo il maggior riferimento politico degli interessi, anche finanziari USA in terra italiana.
Con Napolitano filo europeista anche i potentati economici infatti avranno un aiuto in più nel convergere
verso un mercato europeo destinato a seguire la strada della globalizzazione.

È un fatto prodromico delle riforme nell’ordinamento dello Stato e del mercato del lavoro.

Mani pulite
Ma è anche una sorta di salvacondotto per quella sinistra, per passare indenne dall’inchiesta di Mani Pulite
che in pochi mesi, a partire dal gennaio del 1992, spazzerà via un’intera classe politica, quella della Prima Repubblica:
corrotta sì, ma anche troppo autonoma rispetto ai grossi interessi internazionali.

Sembra fatta, ormai il varco per entrare nel mercato italiano svendendo a pezzi il Paese sembra aperto.

Ma a parte le privatizzazioni di grosse fette del patrimonio pubblico e di tutto l’intero settore bancario nazionale,
fatte, ci raccontano, per entrare in Europa, il sacco dell’Italia riesce a metà.
Ci vorranno ancora dei decenni per finire il lavoro (ancora oggi incompiuto), perché in mezzo si frappone l’imprevisto Silvio Berlusconi,
più dedito agli interessi personali che a quelli internazionali.

Verrà eletto a Presidente del Consiglio a scapito della nomeclatura della sinistra che si era appena allineata ai potentati finanziari provenienti dagli Stati Uniti.

Lui intanto, Giorgio Napolitano, viene premiato da una fulgida carriera politica.
Diventa, prima presidente della camera nel 1992, ministro dell’interno nel governo Prodi del 1996 e presidente della Repubblica 10 anni più tardi, nel 2006.

Dal 1978 in avanti quindi, Napolitano diventa l’uomo degli americani piazzato a sinistra in Italia e, da Wikileaks:

“miglior amico di Israele in Europa”
 

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