E NELLE MONTAGNE VADO A PERDERE LA MIA MENTE E A TROVARE LA MIA ANIMA

Il Futurismo è stato l’unico movimento d’avanguardia del primo Novecento italiano ad avere un respiro internazionale
e a diffondersi quindi ovunque di là dai confini patri.

E questo è un fatto storico e artistico incontrovertibile, piaccia o meno, e lo afferma chi scrive questo pezzo
e che notoriamente non ama tale movimento, non ne avrebbe mai fatto parte, ma ne riconosce l’importanza in un mondo in mutamento quale fu quello del Primo Dopoguerra.

Del resto, appare evidente come sin troppo spesso, a parlare del Futurismo siano le persone che meno ne sanno,
ma che lo incensano esclusivamente per ragioni personali o ideologici, il che è un grave danno culturale, ma tant’è.

Certo, personalmente ritengo il Novecento e dunque il realismo magico di Margherita Sarfatti qualitativamente superiore al Futurismo,
ma va altrettanto detto che l’impatto mediatico non fu lo stesso.

Quindi, lasciando da parte i gusti personali, veniamo all’ennesima manifestazione di pubblica ignoranza rasentante l’ottusità, di queste ore:


La vacua polemica è sorta immediatamente dopo la presentazione ufficiale del manifesto grafico del Gran Premio di Formula Uno 2020,
previsto per il 6 settembre prossimo, ideato dall’artista Charis Tsevis insieme con l’autodromo nazionale di Monza.

Il poster di Tsevis è chiaramente ispirato al design futurista e come tale in un inno alla velocità e al rombo dei motori di terra e di cielo, mai ne venne concepito uno migliore.

Ma ecco che subito si scatena l’ira dei benpensanti, che vedono in quell’immagine grafica,
stilizzata, aerea, apparire lo spettro – neanche troppo evanescente a dir loro – dell’apologia del regime fascista.

Ad ergersi contro questo chiaro tentativo di restaurazione ducesca è stato l’ex presidente della Provincia di Monza, Roberto Invernizzi,
che dal proprio profilo Facebook ha subito puntato il dito contro tale pericolosissima e sovversiva immagine.


Il fatto si commenterebbe da sé, perché esso stesso dimostra quale e quanto sia profondo – abissalmente insondabile –
il livello dell’ignoranza partigiana (cioè di parte) che ammorba questo Paese, dove ogni tanto qualcuno vorrebbe
non soltanto asfaltare le strade romane togliendo i sampietrini secolari,
ma abbattere i monumenti creati dal Ventennio in nome di una mai ben capita Damnatio memoriae democratica.


Il vero problema è che un passato ormai “storicizzato” qual è quello del Ventennio fascista, che dovrebbe essere ormai acquisto agli atti della Storia e non più dell’ideologia,
in realtà resta a perturbare i sonni molto più dei tanti “antifascisti” da operetta, di quanto faccia nei gruppuscoli di teste rasate e di anfibiati con bomber e tatuaggi.

Insomma, evitare almeno di cadere nel più vieto ridicolo, sia da parte dei pro, ma soprattutto da parte dei contro, non sarebbe male,
e quindi forse provare ad aprire un libro serio di storia dell’arte contemporanea, provare a leggere e a capire cosa fu un movimento culturale e artistico
come il Futurismo (che guarda un po’ piacque non poco anche nella Russia bolscevica) probabilmente salvaguarderebbe anche certuni – distratti – dal prodursi in figure barbine.


Resta, questo del prossimo Gran Premio di Monza, uno dei più riusciti, efficaci e anche belli, manifesti degli ultimi anni,
con i suoi colori acidi al limite dello spettro e della fluorescenza, con il suo richiamo a Giacomo Balla, a Umberto Boccioni e a Fortunato Depero
ma forse, soprattutto perché non conosciuto da tanti, al più grande che fu Tullio Crali, con quella pattuglia acrobatica sullo sfondo,
che fa vibrare all’unisono i reattori con il cuore dell’Italia.

E se proprio anche il Gran Premio di Monza, per qualcuno, fosse ancora “fascista”, eviti di andarci o di guardarlo,
il miglior pilota comunque correrà e vincerà lo stesso, perché lui – e chi con lui – almeno sarà vivo.
 
“Ti chiedono di indossare la mascherina anche in acqua e poi fanno sbarcare 15 mila balordi”
 
Dopo una sostanziale indifferenza mediatica, rotta talvolta dalle consuete grida populiste e demagogiche,
a proposito di taglio dei seggi parlamentari e referendum – voluti assolutamente dal Movimento 5 Stelle e sottoscritti dal Partito Democratico –
si legge da qualche parte a proposito dei “giovani turchi.

Alcuni big di base riformista, tra cui si dice ci sia anche un sindaco di primo piano di una grande città del centro Italia.

Cresce, e a vista d’occhio, il fronte del ‘No’ al referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari, dentro il Pd”.


Una scelta, a dire il vero, abbastanza tardiva, ma drastica e su cui si allinea la richiesta della libertà di coscienza
cui hanno aderito altre firme famose della gauche come Macaluso, Asor Rosa, Tronti ecc., segnalando altresì che

“senza una legge proporzionale elettorale è un dovere dire ‘No’ al referendum”

chiarendo, inoltre, che il taglio dei seggi e relativo referendum confermativo provocano un vulnus alla nostra Costituzione, “snaturandola”.

Meglio tardi che mai, intendiamoci. Ma Nicola Zingaretti?


Il silenzio di Zingaretti su questa svolta è a dir poco assordante e ritrae come in un’ennesima istantanea le debolezze e le contraddizioni di un leade
r che ha accettato ad occhi chiusi tutti o quasi i “sine qua non” di un M5s che nella totale e volgare (il “vaffa”) ignoranza politico-istituzionale
ha spacciato per riforme un miscuglio di idee strampalate e inapplicabili in qualsiasi sistema democratico e, proprio per queste finalità distruttive,
imposte ad un Pd cui andava bene tutto pur di impedire a Matteo Salvini di andare al governo.

E da allora è stato un diluvio di decreti e di referendum.


Diciamocelo: cambiare idea non è in sé condannabile purché il cambiamento non sia, detto alla latina “in peius”.

Solo che, sia nel caso del Pd che (soprattutto) del M5s, il cambiare idea non è mai seguito da una qualche seppur sottovoce richiesta di scuse,
ma, anzi, la nuova decisione – esattamente contraria alla precedente offerta in tonitruanti campagne elettorali –
viene assunta col sovrano distacco di colui che l’ha fatta propria da sempre.

Da veri professionisti del festival di cui sopra.


Esemplari, in questo senso, i diversi e opposti comportamenti di un autentico maestro del changing come Luigi Di Maio che,
catapultato alla Farnesina dopo un recente incontro fraterno con i gilet gialli francesi dove esortava ad uscire dalla Ue,
è diventato il più convinto e pugnace (a parole) assertore dell’unità europea.


Qualcuno ironizza su uno speciale festival: delle facce di bronzo.


Non è da meno, come propugnatore, sempre in campagna elettorale, del pacifismo più sfrenato, Roberto Fico,
catapultato pure lui alla presidenza della Camera dei deputati, da dove ha continuato la sua lotta moralizzatrice contro gli sprechi,
nel caso gli obbrobriosi vitalizi agli ex parlamentari vantando e sbandierando un risparmio di una quarantina di milioni.

Lo stesso Fico, tuttavia, e sempre dall’alto scranno, nei giorni scorsi è stato completamente d’accordo sulle nostre missioni militari,
delle quali, ovviamente prima, aveva chiesto la soppressione in nome della pace nel mondo.


Missioni indispensabili, va pur detto.

Missioni, come l’ultima, con un costo la cui cifra l’Italia aveva toccato il massimo col Governo Monti, ora però superato, alla grande, con i 1.155 milioni del 2020.

Fico consenziente.
 
Più stupido lui o gli amici ?


Disperso sul Resegone ma lui è … a casa.

Se non fosse che per cercarlo si sono mobilitati uomini del Soccorso Alpino e Vigili del Fuoco
che hanno lavorato per una intera notte, la vicenda avrebbe del comico.

Ma non hanno riso molto gli amici del giovane, e tantomeno i soccorritori quando hanno scoperto
che mentre loro lo stavano disperatamente cercando lui aveva già preso la via di casa.

Una vicenda assurda quella avvenuta nella notte tra sabato 8 e domenica 9 agosto a Lecco.

Tutto è iniziato poco dopo le 21 di ieri sera.

Dopo una giornata passata in montagna una comitiva di giovani stava facendo rientro dal Resegone verso i Piani d’Erna, ma un membro del gruppo mancava all’appello.

Dopo averlo cercato i ragazzi, impensieriti, hanno deciso di chiedere aiuto mettendo in moto la macchina dei soccorsi.

Così in campo sono scesi gli uomini della Diciannovesima Delegazione Lariana del Soccorso alpino e i Vigli del Fuoco
che hanno battuto palmo a palmo la zona.

Ricerche inutili.

E mentre la preoccupazione si trasformava in terrore all’alba di oggi l’incredibile scoperta.

Il giovane era vivo e vegeto e stava benissimo: dopo essersi perso aveva trovato una via alternativa a quella degli amici ed era tornato a casa!
 
Ultima modifica:
Purtroppo l'ottusità di chi sta al governo è oltre ogni limite.

A chi è andata bene, le ferie finiranno il 30 agosto.
Lunedì si torna al lavoro.

Da sempre - almeno gli asili - riaprivano al 1° settembre.

Ditemi voi la differenza fra aprire il 1° - ed agevolare i genitori che hanno lavoro -
ed il 14 settembre.


“Con l’Ordinanza del presidente della Regione Lombardia del 6 agosto,
si stabilisce che le attività dei servizi educativi (0-3 anni), per la prima infanzia possano riprendere a partire dal 1° settembre 2020,
lasciando facoltà ai soggetti gestori (pubblici e privati) di individuare altra differente data di effettiva riapertura del servizio, in relazione alle esigenze manifestate dalle famiglie.

La competenza sul segmento educativo 0-3 anni è delle Regioni.

Il segmento 3-6 è invece di competenza statale per cui il Ministero dell’istruzione ha emanato una specifica ordinanza
che ha previsto la data del 14 settembre 2020 per l’inizio delle lezioni per tutte le scuole dell’infanzia,
del primo e del secondo ciclo di istruzione appartenenti al sistema nazionale dell’istruzione”.

E’ il testo di una Nota della Regione Lombardia in risposta alla richiesta di consentire un anticipo al 7 settembre dell’inizio attività delle strutture che offrono i servizi per l’infanzia.

Asili: niente apertura anticipata al 7 settembre

La richiesta, firmata dagli assessori con delega all’Educazione di alcuni grandi Comuni lombardi insieme ai rappresentanti delle scuole private,
è contenuta in una lettera inviata venerdì al presidente della Regione Lombardia .


“Più precisamente – prosegue la Nota – l’Ordinanza del Ministro dell’Istruzione sul calendario scolastico 2020/2021
deriva da un decreto legge (art. 2, comma 1, lett.a) del D.L. 8 aprile 2020, n.22, convertito con modificazioni dalla legge 6 giugno 2020, n. 41)
che autorizza il Ministro dell’Istruzione alla definizione della data di inizio delle lezioni per l’anno scolastico 2020/2021,
d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni e che sostanzialmente ne limita l’autonomia a tutte le altre determinazioni sul calendario scolastico”.


“In sostanza, per l’anno scolastico 2020/2021 – continua la Nota – l’ordinanza ministeriale
deroga anche l’attribuzione dell’ordinaria competenza delle Regioni in merito alla definizione del calendario scolastico (art.138, comma 1, lett) d) del d.lgs. 112/98)”.


“A fronte di questo accentramento statale anche di competenze regionali nella gestione dell’emergenza COVID – spiega ancora la Nota –
la Delibera di Giunta con cui era stata disposta una diversa data di inizio della Scuola dell’infanzia risulta cedevole rispetto all’ordinanza ministeriale”.



La Nota della Regione Lombardia chiarisce che “Le giuste richieste di flessibilità per garantire un ordinato avvio dell’anno scolastico e formativo
nel migliore rispetto delle esigenze delle famiglie e degli operatori devono essere indirizzate al Ministero dell’Istruzione.
Regione Lombardia continuerà a fare la sua parte nei diversi tavoli Interistituzionali in cui continuerà ad avanzare richieste e proposte”.
 
È lecito ordinare a tutti, per legge, un vaccino?

O è, piuttosto, preferibile ricorrere a un modo più “gentile”, come direbbe il premier Conte, per proporlo, anziché imporlo?

I vaccini fanno davvero (sempre) bene?

E se, invece, fanno (talvolta) male, è giusto che il cittadino danneggiato sia risarcito?

E di questo risarcimento deve farsene carico lo Stato?

Tutte queste domande erano già scottanti prima dello tsunami Covid-19.

Oggi, alla luce di quanto accaduto, sono quesiti addirittura incendiari.

Specialmente se consideriamo la pressione mediatica a favore della vaccinazione anti-Coronavirus e gli investimenti miliardari sollecitati da Bill Gates.

E anche lo storytelling corrente secondo cui l’unico rimedio contro il maledetto virus è, per l’appunto, il vaccino che (ancora) non c’è.



Per tutte queste ragioni, è di straordinario interesse una recente sentenza della Corte Costituzionale,
la numero 118 del 23 giugno scorso, con la quale la Consulta ha dichiarato parzialmente illegittimo l’articolo 1, comma 1 della legge 25 febbraio del 1992, numero 210.

Trattasi di una norma poco conosciuta e ancor meno pubblicizzata perché smentisce platealmente la favola bella dei vaccini “innocui” per definizione.

Insomma, la vulgata secondo cui non c’è nulla da temere perché tali farmaci non provocano mai reazioni avverse.


Ciò è talmente falso che, da quasi trent’anni, il nostro Paese si è dotato di una legge – la nr. 210/1992, appunto –
che prevede indennizzi a favore di quanti hanno riportato danni a seguito di vaccinazioni obbligatorie
.

In tutto questo tempo, lo Stato ha erogato molti soldi a favore degli sventurati incappati in menomazioni di varia natura.

Ma perché la norma in oggetto è finita all’attenzione della Corte Costituzionale?

Tutto nasce dalla vicenda toccata in sorte a una donna pugliese la quale, da bambina, si era sottoposta per ben due volte, nel 2003 e nel 2004,
alla somministrazione di un vaccino contro l’epatite A: un rimedio “raccomandato” (quindi, non obbligatorio) dalla Regione ai nuovi nati e ai ragazzi fino a dodici anni.



La sfortunata protagonista di questa storia, a seguito della “puntura”, risultò affetta da “lupus eritematoso sistemico”.

Si rivolse quindi al Tribunale che riconobbe la sussistenza del nesso di causa tra le vaccinazioni e la successiva patologia e le riconobbe il diritto all’indennizzo da parte dello Stato.

La decisione è stata confermata dalla Corte d’Appello di Lecce, ma il Ministero della Salute non se n’è dato per inteso ed è ricorso in Cassazione onde far annullare la pronuncia.

Secondo il Ministero, infatti, nessun ristoro doveva essere liquidato perché il vaccino non era affatto obbligatorio, ma solo raccomandato;
e la legge 210 del 1992 riconosce il diritto, come sopra già esposto, solo a chi non ha potuto sottrarsi perché “costretto” dallo Stato.


Per tutta risposta, la Corte di Cassazione ha sollevato un’eccezione di illegittimità della legge del 1992.

Secondo la Suprema Corte, infatti, essa è contraria alla nostra Carta fondamentale.

Perlomeno laddove prevede il diritto all’indennizzo solo a beneficio di coloro i quali riportano pregiudizi a causa di un vaccino obbligatorio;
e non anche a favore di chi – a quel vaccino – si è sottoposto “spontaneamente”.

Magari sulla base di una mera “raccomandazione” della pubblica autorità.

Ebbene, come anticipato in apertura, la Corte Costituzionale ha dato ragione ai giudici del palazzaccio.


Tra l’altro, sulla base di un assunto pienamente condivisibile.

Meritevole di essere memorizzato, in particolare, da quanti hanno in mente di imporre per legge
– o anche solo di “caldamente” consigliare a tutta la popolazione italiana – una bella vaccinazione anti-Covid.

In buona sostanza, i giudici della Consulta hanno rilevato come, nel caso di specie, la cosiddetta “raccomandazione”
si era in realtà tradotta in una “ampia e insistita campagna di informazione” da parte delle autorità sanitarie.

Per effetto della quale, la giovane era stata convocata presso gli ambulatori dell’ASL mediante una missiva che presentava la vaccinazione
“non tanto come prestazione raccomandata, ma quasi come se fosse stata obbligatoria”.


In effetti, e a ben vedere, la differenza tra “obbligo” e “raccomandazione”, nella pratica medico-sanitaria, è assai minore di quella che separa i due concetti nei rapporti giuridici.



Tradotto: le chiamano raccomandazioni, ma in realtà qualsiasi cittadino le percepisce, recepisce e interpreta come coercizioni.

Soprattutto perché l’uomo della strada è portato, di regola, a riporre “affidamento nei confronti di quanto consigliato dalle autorità sanitarie”.

Tutto ciò ha condotto la Corte Costituzionale alla declaratoria di illegittimità della norma esaminata.

Anche in virtù di un principio ben preciso: il diritto all’indennizzo maturato dal paziente non risiede tanto nella circostanza dell’obbligo,
quanto piuttosto in un preciso dovere di solidarietà incombente su tutta la comunità statuale.


Se i danni sono provocati da un vaccino (imposto o raccomandato che sia) la cui somministrazione è giustificata da un interesse collettivo,
allora la collettività tutta deve farsi carico delle lesioni causate ai singoli.

Ora, è evidente come questa pronuncia aprirebbe scenari da monitorare se il Governo dovesse davvero intraprendere la strada,
da molti auspicata, di una vaccinazione di massa contro il nuovo Coronavirus.

Sia nel caso in cui si dovesse optare per un imperativo esplicito sia in quello in cui si dovesse propendere per una sorta di “moral suasion”
concepita per indurre “spintaneamente” il maggior numero di persone a vaccinarsi.


Le conseguenze, in termini di costi per lo Stato, non saranno irrilevanti se si considera che il famoso vaccino anti-Covid
– in fase di sperimentazione un po’ in tutto il mondo – potrebbe essere tutt’altro che sicuro.

A maggior ragione se messo in commercio in tempi troppo rapidi e senza una adeguata e preventiva fase di testing.

Un allarme è stato lanciato, su Affariitaliani.it, da Maria Rita Gismondo a proposito dello studio sul mRna-1273 di Moderna pubblicato sul New England Journal of medicine:

“La cosa pericolosa è che questa accelerazione possa applicarsi a un vaccino del genere, totalmente nuovo e paragonabile a tutti gli effetti a una terapia genica.
La gente deve essere consapevole di quello che sta accadendo”.


Adesso l’allarme è doppio.

Infatti, la “precipitazione” verso soluzioni frenetiche, e quindi potenzialmente micidiali,
sarà pagata non solo in termini di salute individuale, ma anche di finanza pubblica.
 
Il governo ha varato la mini-manovra più demenziale del mondo,
non solo per la dimensione non strutturale e quasi superficiale delle misure,
emesse quasi come se nulla fosse accaduto, ma perchè alcune di queste sembrano costruite Ad Hoc
per punire una parte d’Italia, tra l’altro quella più colpita, e premiarne un’altra che, bonta sua,
ha il vantaggio di essere il luogo d’origine di buona parte dei ministri.


Parliamo della decontribuzione, a carico dello stato.

Degli stipendi che vale solo per alcune regioni del Sud, e che si dimentica del Centro e del Nord che invece sono stati maggiormente colpiti.

Una misura non strutturale (durerà solo fino a fine 2020, ma può essere prorogata al 2025 se la UE approva, cosa non certa),
fatta senza un disegno strutturale (non è settoriale, non vuole premiare un certo sviluppo economico, non è un investimento diretto),
ma che sembra solo un premio locale dato per favorire la clientela ministeriale.


La cosa non è passata inosservata ed ha fatto incavolare non poco gli industriali:


Mi sento proprio un pirla ad avere gli stabilimenti in #Veneto e #Trentino! pic.twitter.com/Fkv1esugFt

— Giordano Riello (@gioriello) August 8, 2020




Squeri


siamo in due, un saluto dall’Emilia… Tra l altro Emilia, Veneto e Lombardia sono le regioni messe in più difficoltà da questa crisi. Sembra incredibile come siano state dimenticate
— Alessandro Squeri (@Ale_Squeri) August 8, 2020







Il motivo di questa assurda scelta dividente ?

Eccovelo qui


governanti.jpg



Avete letto e vi siete dati la risposta del perchè di questa costosa e demenziale manovra:


  • i ministri se ne infischiano del centro e del nord Italia;

  • i ministri capiscono di economia quanto un cavallo di fisica quantistica, cioè nulla.

Tra l’altro un governo serio, che avesse VERAMENTE voluto agire per il Sud a medio-lungo termine
avrebbe stabilito delle limitazione settoriali (per non farsi prendere a calci nel sedere da Bruxelles quando vedrà la norma),
magari legandola a nuovi investimenti, non a pioggia, rendendola meno costosa e più incentivante.

Magari avrebbe potuto anche investire direttamente per salvare qualcosa di un settore, come quello della componentistica auto,
che presto andrà letteralmente a quel paese, con decine e decine di migliaia di nuovi disoccupati, , sempre magari, creando qualcosa di veramente innovativo.

Purtroppo per fare tutto questo bisogna uscire dall’ottica di rapina che sembra imbevere l’attuale consiglio dei Ministri,
disposto anche a spezzare l’Italia pur di non mollare la poltrona per qualche mese.
 
Ma non Ti basta la sella della bici, adesso vorresti anche la poltrona? Pedala, pedala!!! Vedrai che perderai la mente e anche i kili, per l’anima quella la trovi oltre al di là del cline, continua a pedalare e pian piano ci arrivi anche Tee.:bla:
 
Ultima modifica:

Users who are viewing this thread

Back
Alto