Sterzare prima del punto di «non ritorno»
di Isabella Bufacchi
Il punto di non ritorno. Lo hanno attraversato la Grecia, l'Irlanda e il Portogallo. C'è chi ritiene che la crisi di liquidità di questi Paesi si sia trasformata in una crisi di solvibilità quando il rendimento dei loro titoli di Stato sul secondario ha toccato il 7%, per altri invece è stato lo sforamento della soglia dell'8% a far scattare il programma di sostegno finanziario dell'Eurozona e dell'Fmi. Il punto di non ritorno non è però un tasso puntuale, rilevato in una data ora di un dato giorno, e non concide perfettamente con il livello dell'insostenibilità del costo della raccolta per i conti pubblici. Può arrivare anche prima, come espressione dello stato d'animo dei mercati, dell'umore nero e «drammatico» (aggettivo usato ieri dal commissario Rehn sullo spread a quota 500) che non entra in nessuna equazione. I rendimenti dei BTp e BoT, anche se altissimi, sono sostenibili, lo saranno per un periodo piuttosto lungo, stando alla Banca d'Italia e non solo. Ma non è il numero dell'insostenibilità che deve preoccupare chi si trova alla guida del Paese. È più grave se il rischio-Italia dovesse scivolare inesorabilmente verso il punto di non ritorno, quando gli investitori che hanno già venduto non trovano un buon motivo per rientrare, quando i sottoscrittori che non hanno ancora venduto decidono di disinvestire, quando in asta non arrivano ordini da nuovi acquirenti attratti dagli elevati rendimenti. È la quantità del debito pubblico italiano da rinnovare e rifinanziare, il vero problema, prima ancora del tasso e del rendimento.
Lo spread tra Bund e BTp decennali, sui quali si concentrano gli acquisti Bce, è arrivato a 500: un gap già sorpassato sulle scadenze a tre e cinque anni. Ma ieri anche i BoT a 12 mesi, che andranno in asta domani, hanno toccato sul secondario un record, hanno superato la soglia del 6,5% quando questo lunedì la Germania ha collocato i BuBill a sei mesi per circa 4 miliardi al rendimento lordo dello 0,08%: con un rapporto di copertura di tutto rispetto, pari a 2,17 volte. Lunedì anche l'Olanda ha piazzato i suoi titoli a tre mesi, pagando lo 0,05 per cento. Mentre ieri la Grecia si è finanziata al 4,89% per raccogliere 1,3 miliardi a un tasso "politico" concordato con le banche greche. I mercati ieri sera alle 21:00 erano ancora aperti, traders, strategists, dealers, tutti in allerta. Non per scambiare i titoli sul secondario, ma per leggere e rileggere il comunicato del Quirinale. E per scoprire se l'Italia avesse infine trovato una formula credibile per allontanarsi dal punto di non ritorno. La buona notizia, dalla lettura dei mercati, è stata la fine dell'incertezza legata alla fragilità del Governo Berlusconi dato che il premier si è impegnato a rimettere il suo mandato al Capo dello Stato. L'altra buona notizia, per i traders, è stata quella della legge di stabilità con tutte le misure richieste dalla Commissione europea. La cattiva notizia è rimasta legata ai tempi: sarà una questione di giorni, di settimane o di mesi per uscire dall'impasse politico?