IL MARATONETA
Forumer storico
Grecia in default, che cosa rischia davvero l'Italia
Pier Carlo Padoan ha appena tranquillizzato gli osservatori internazionali: in caso di default greco «non ci sarebbe nessun rischio per l’Italia», perché il Paese «non è più vulnerabile».
MERCATI IN AGITAZIONE. Sarà, ma intanto ci si mette il mercato a smentire il ministro dell’Economia: da quando si sono arenate le trattative tra il governo ellenico e l’ex Troika, lo spread tra Btp e Bund è risalito sopra quota 100 punti (fino a toccare quota 134 punti), bruciando tutti i risparmi sui rendimenti ottenuti con l’avvio dei Quantitative easing (Qe).
ITALIA 'GRANDE MALATO'. Perché, come hanno spesso ripetuto l’Unione europea e i principali organismi internazionali (Ocse o Fondo monetario), l’Italia è il grande malato del Vecchio Continente visto che cresce poco ed è frenata da un altissimo debito pubblico. Ecco perché il nostro Paese deve temere per un default di Atene
La Grecia ha debiti verso l'Europa pari a 195 miliardi di euro.
BANCHE POCO ESPOSTE. Molto più bassa l’esposizione delle nostre banche sul versante ellenico: in totale 800 milioni di euro, dei quali 385 sono titoli di Stato.
Non a caso il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, ha spesso fatto notare: «Le banche italiane hanno, attualmente, una esposizione in termini di sistema sui titoli greci ben poco significativa. Il problema è più complesso e riguarda l'Europa e le possibili conseguenze di rimbalzo».
Diverso il discorso sull’impatto per il governo italiano
GREXIT E ADDIO REGOLE. Dopo aver subito un haircut (una rinegoziazione pari al 50%) dei loro titoli in portafogli, i creditori hanno imposto al governo greco di far regolare i nuovi contratti di debito secondo le norme del diritto anglosassone, in modo da poter contare sulla tutela di tribunali più inclini alle esigenze del mercato.
Ma uscendo in maniera unilaterale dall’euro - e “costretto” a tornare alla dracma - il governo greco potrebbe infischiarsene dei contenziosi internazionali, decidendo o di convertire il vecchio debito nella nuova moneta (abbassandone il valore facciale) oppure di rifiutarsi di rimborsarlo.
In questo caso l’Italia dovrebbe inserire nel proprio bilancio una perdita vicina ai 2,5 punti di Pil.
Con la Grecia fuori dall’euro l’effetto contagio verso il nostro debito pubblico sarebbe molto più rapido di quanto si possa immaginare.
Anche perché il mercato spesso finge di non vedere che l’Italia - a differenza della Grecia - è la seconda potenza manifatturiera europea dietro la Germania.
TAGLIO DEL RATING. È facile immaginare che le agenzie di rating abbasserebbero il giudizio sull’Italia.
Mentre i sottoscrittori di Btp chiederebbero al Tesoro (ma lo stesso avverrebbe con la Spagna) interessi più alti sulle scadenze a breve termine se non un rimborso anticipato.
E farebbero un doppio affare, visto che si garantirebbero cedole molto alte (cosa importante soprattutto per i fondi di risparmio gestito) su titoli comprati a prezzi molto bassi.
CHIESTA UNA RISTRUTTURAZIONE. Inutile dire che - con il debito saldamente sopra il 130% del Pil - il grosso delle risorse pubbliche sarebbe traslato dal welfare o dagli investimenti al pagamento degli interessi.
A quel punto non resterebbe che fare come la Grecia e chiedere ai propri sottoscrittori di accettare una dura ristrutturazione del debito.
In quest’ottica l’ultimo muro contro la speculazione potrebbe essere la Bce
DRAGHI AMPLIEREBBE GLI ACQUISTI. Mario Draghi ha fatto intendere che - visto il successo del programma - potrebbe ridurre la durata del Quantitative easing.
Ma di fronte all’ipotesi Grexit il presidente della Bce dovrebbe ampliare il programma di acquisti per sostenere i titoli di Stato italiani o spagnoli.
Operazione non facile, perché dovrebbe cambiare anche le regole d’ingaggio: in soldoni oggi può acquistare bond soltanto di Paesi solidi.
Non soltanto il sistema finanziario, ma anche l’economia reale risentirebbe non poco dell’uscita della Grecia dall’euro.
Le prime a essere colpite sarebbero le aziende con un forte grado di internazionalizzazione.
I nostri campioni nazionali (come Eni, Enel o Finmeccanica) vedrebbero pressioni sul loro indebitamento - soprattutto la parte regolata in diritto estero - con il risultato di dover incorrerebbe in perdite in conto capitale sempre maggiori se in tutt’Europa tornasse la voglia di battere la propria moneta.
LE FAMIGLIE NEI GUAI. Pagherebbero pegno anche le famiglie.
Con l’aumento degli spread tra Btp e Bund il governo sarebbe costretto ad aumentare le tasse e tagliare la spesa per il welfare per ripagare i creditori.
Le pressione sul debito sovrano potrebbe avere anche un effetto inflazionistico, che a sua volta indebolisce la remunerazione reale dello stock di risparmio.
Infine - e nonostante l’interscambio tra i due Paesi sia molto limitato (meno di 3 miliardi di euro) - l’uscita dall’eurozona potrebbe fare della Grecia un pericoloso concorrente dell’Italia
CONCORRENZA AGGUERRITA. Potendo usare una moneta più debole, si garantirebbe un abbassamento dei prezzi in alcuni comparti (turismo, agricoltura, alimentare) nel quale il nostro Paese è molto forte.
Se non bastasse ancora, fuori dall’influenza di Bruxelles, Atene concluderebbe le trattative già in corso con Cina e Russia per diventare - rispettivamente - la porta d’ingresso in Europa dell’ex Celeste Impero e l’hub del gas di Mosca nel mediterraneo. Progetti - basta pensare soltanto a Southstream - sui quali l’Italia ha sempre investito non poco.
Pier Carlo Padoan ha appena tranquillizzato gli osservatori internazionali: in caso di default greco «non ci sarebbe nessun rischio per l’Italia», perché il Paese «non è più vulnerabile».
MERCATI IN AGITAZIONE. Sarà, ma intanto ci si mette il mercato a smentire il ministro dell’Economia: da quando si sono arenate le trattative tra il governo ellenico e l’ex Troika, lo spread tra Btp e Bund è risalito sopra quota 100 punti (fino a toccare quota 134 punti), bruciando tutti i risparmi sui rendimenti ottenuti con l’avvio dei Quantitative easing (Qe).
ITALIA 'GRANDE MALATO'. Perché, come hanno spesso ripetuto l’Unione europea e i principali organismi internazionali (Ocse o Fondo monetario), l’Italia è il grande malato del Vecchio Continente visto che cresce poco ed è frenata da un altissimo debito pubblico. Ecco perché il nostro Paese deve temere per un default di Atene
La Grecia ha debiti verso l'Europa pari a 195 miliardi di euro.
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Di questi un quinto (precisamente 40 miliardi) sono in capo al governo italiano: sia attraverso prestiti bilaterali sia grazie ai contribuiti diretti alla capitalizzazione al Fondo salva Stati (Efsf) e dal Meccanismo europeo di stabilità (Esm) - in totale 25 miliardi - che sono serviti a questi due organismi a finanziare Atene con 140 miliardi di euro.
BANCHE POCO ESPOSTE. Molto più bassa l’esposizione delle nostre banche sul versante ellenico: in totale 800 milioni di euro, dei quali 385 sono titoli di Stato.
Non a caso il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, ha spesso fatto notare: «Le banche italiane hanno, attualmente, una esposizione in termini di sistema sui titoli greci ben poco significativa. Il problema è più complesso e riguarda l'Europa e le possibili conseguenze di rimbalzo».
Diverso il discorso sull’impatto per il governo italiano
GREXIT E ADDIO REGOLE. Dopo aver subito un haircut (una rinegoziazione pari al 50%) dei loro titoli in portafogli, i creditori hanno imposto al governo greco di far regolare i nuovi contratti di debito secondo le norme del diritto anglosassone, in modo da poter contare sulla tutela di tribunali più inclini alle esigenze del mercato.
Ma uscendo in maniera unilaterale dall’euro - e “costretto” a tornare alla dracma - il governo greco potrebbe infischiarsene dei contenziosi internazionali, decidendo o di convertire il vecchio debito nella nuova moneta (abbassandone il valore facciale) oppure di rifiutarsi di rimborsarlo.
In questo caso l’Italia dovrebbe inserire nel proprio bilancio una perdita vicina ai 2,5 punti di Pil.
Con la Grecia fuori dall’euro l’effetto contagio verso il nostro debito pubblico sarebbe molto più rapido di quanto si possa immaginare.
Anche perché il mercato spesso finge di non vedere che l’Italia - a differenza della Grecia - è la seconda potenza manifatturiera europea dietro la Germania.
TAGLIO DEL RATING. È facile immaginare che le agenzie di rating abbasserebbero il giudizio sull’Italia.
Mentre i sottoscrittori di Btp chiederebbero al Tesoro (ma lo stesso avverrebbe con la Spagna) interessi più alti sulle scadenze a breve termine se non un rimborso anticipato.
E farebbero un doppio affare, visto che si garantirebbero cedole molto alte (cosa importante soprattutto per i fondi di risparmio gestito) su titoli comprati a prezzi molto bassi.
CHIESTA UNA RISTRUTTURAZIONE. Inutile dire che - con il debito saldamente sopra il 130% del Pil - il grosso delle risorse pubbliche sarebbe traslato dal welfare o dagli investimenti al pagamento degli interessi.
A quel punto non resterebbe che fare come la Grecia e chiedere ai propri sottoscrittori di accettare una dura ristrutturazione del debito.
In quest’ottica l’ultimo muro contro la speculazione potrebbe essere la Bce
DRAGHI AMPLIEREBBE GLI ACQUISTI. Mario Draghi ha fatto intendere che - visto il successo del programma - potrebbe ridurre la durata del Quantitative easing.
Ma di fronte all’ipotesi Grexit il presidente della Bce dovrebbe ampliare il programma di acquisti per sostenere i titoli di Stato italiani o spagnoli.
Operazione non facile, perché dovrebbe cambiare anche le regole d’ingaggio: in soldoni oggi può acquistare bond soltanto di Paesi solidi.
Non soltanto il sistema finanziario, ma anche l’economia reale risentirebbe non poco dell’uscita della Grecia dall’euro.
Le prime a essere colpite sarebbero le aziende con un forte grado di internazionalizzazione.
I nostri campioni nazionali (come Eni, Enel o Finmeccanica) vedrebbero pressioni sul loro indebitamento - soprattutto la parte regolata in diritto estero - con il risultato di dover incorrerebbe in perdite in conto capitale sempre maggiori se in tutt’Europa tornasse la voglia di battere la propria moneta.
LE FAMIGLIE NEI GUAI. Pagherebbero pegno anche le famiglie.
Con l’aumento degli spread tra Btp e Bund il governo sarebbe costretto ad aumentare le tasse e tagliare la spesa per il welfare per ripagare i creditori.
Le pressione sul debito sovrano potrebbe avere anche un effetto inflazionistico, che a sua volta indebolisce la remunerazione reale dello stock di risparmio.
Infine - e nonostante l’interscambio tra i due Paesi sia molto limitato (meno di 3 miliardi di euro) - l’uscita dall’eurozona potrebbe fare della Grecia un pericoloso concorrente dell’Italia
CONCORRENZA AGGUERRITA. Potendo usare una moneta più debole, si garantirebbe un abbassamento dei prezzi in alcuni comparti (turismo, agricoltura, alimentare) nel quale il nostro Paese è molto forte.
Se non bastasse ancora, fuori dall’influenza di Bruxelles, Atene concluderebbe le trattative già in corso con Cina e Russia per diventare - rispettivamente - la porta d’ingresso in Europa dell’ex Celeste Impero e l’hub del gas di Mosca nel mediterraneo. Progetti - basta pensare soltanto a Southstream - sui quali l’Italia ha sempre investito non poco.