Stavo giusto per postare un'intervento di Alfonso Tuor sul fiscal compact europeo, quando ho letto l'interessante contributo di paal
L'Unione Europea inscena una grande farsa
di Alfonso Tuor
Accordo a Bruxelles su un Patto fiscale che molti Paesi europei non saranno mai in grado di rispettare
Il vertice tenutosi lunedì scorso a Bruxelles pone grandi interrogativi: perché i Capi di Stato e di Governo europei (ad eccezione di quello britannico e di quello ceco) hanno sottoscritto il Patto fiscale voluto dalla Germania, pur sapendo che molti Paesi non potranno mai rispettarlo? E perché la Germania ha voluto questa intesa, pur sapendo che molti Paesi la trasgrediranno? Il vertice europeo può essere considerato una grande farsa. Ma procediamo con ordine.
L’intesa sul Patto fiscale è stata sottoscitta dal Primo Ministro greco, Luca Papademos, sebbene il Governo di Atene non solo non è in grado di riportare i conti pubblici in pareggio in un futuro prevedibile e ancor meno di ridurre il debito pubblico nel giro di venti anni al 60% del PIL, ma sta ancora negoziando con i rappresentanti delle banche la ristrutturazione del proprio debito e con la troika composta da Unione Europea, Fondo Monetario Internazionale e Banca centrale europea le condizioni indispensabili per il varo del secondo pacchetto di salvataggio della Grecia. In altre parole, il Governo greco si impegna a rispettare i vincoli del Patto fiscale, sebbene non sia stato e non sia in grado di rispettare tempi e obiettivi del primo pacchetto di salvataggio del Paese. A tal punto non è in grado da spingere la Germania a chiedere la nomina di un Commissario europeo che amministri le finanze pubbliche del Paese per garantire il rispetto dei termini dell’eventuale secondo pacchetto di salvataggio del Paese. Giustamente di fronte a questo diktat tedesco, il Governo greco si è inalberato, sostenendo che non accetterà mai un simile affronto alla propria dignità nazionale. Sta di fatto, ed è quanto ci interessa in questa sede, che la Grecia conferma la teoria, secondo cui di troppa austerità si muore. Infatti l’economia greca negli ultimi quattro anni si è contratta del 20% e la cura lacrime e sangue imposta al Paese non ha prodotto i risultati sperati per quanto riguarda il risanamento delle finanze pubbliche. Anzi, il Paese è oramai appeso agli aiuti europei e del FMI per evitare una dichiarazione di insolvenza. Se non vi sarà il fallimento della Grecia, sarà solo perché l’Europa teme l’effetto contagio sugli altri Paesi europei deboli. Quindi, la sottoscrizione del Patto fiscale da parte di Atene appare non avere un reale valore, poiché la Grecia non è in grado di rispettare il Patto fiscale.
Lo stesso vale per il Portogallo. Il governo Di Lisbona ha fatto per bene i compiti a casa, che gli sono stati imposti al momento dell’approvazione del pacchetto di salvataggio di 78 miliardi di euro, ma il timore che diventi una seconda Grecia gli continua ad impedire l’accesso al mercato dei capitali. Il disavanzo pubblico portoghese è ammontato l’anno scorso al 4% del PIL, inferiore al 5,9% pattuito con la troika, ma il debito pubblico portoghese è salito al 112% del PIL, poiché l’economia lusitana è in recessione da tre anno e quest’anno si dovrebbe contrarre (stando al Fondo Monetario Internazionale) del 3%. La recessione dovrebbe continuare anche l’anno prossimo. Quindi, anche il Portogallo resta appeso agli aiuti internazionali. Anzi, un fallimento della Grecia farebbe precipitare la situazione del Portogallo. Non si capisce quindi, viste le condizioni economiche del Paese, come il Governo di Lisbona abbia potuto sottoscrivere un Patto fiscale che ben difficilmente riuscirà a rispettare.
Altrettanto vale sia per l’Italia sia per la Spagna. Questi Paesi hanno anch’essi sottoscritto un Patto fiscale che non riusciranno mai a rispettare. Basti pensare che l’Italia l’anno prossimo dovrebbe centrare l’obiettivo di conti pubblici in pareggio e a partire dal 2014 dovrebbe attuare ogni anno manovre di risparmio di ben 45 miliardi di euro per rispettare l’obiettivo di ridurre il debito pubblico italiano al 60% del PIL nel giro di 20 anni. La Spagna, dal canto suo, ha appena varato un’altra manovra di austerità, poiché il nuovo Governo conservatore di Madrid ha scoperto che il deficit pubblico dell’anno scorso ammonta all’8% del PIL e non al 6%, come concordato con Bruxelles. Madrid ha inoltre cercato di rinegoziare l’obiettivo per quest’anno, che è di un deficit del 4%, sostenendo che altre stangate aggraverebbero la recessione spagnola, ma ha ottenuto un secco Nein da parte della Germania.
Il governo italiano presieduto da Mario Monti si è dichiarato soddisfatto dell’intesa, poiché spera che la sottoscrizione del Patto fiscale induca la Germania ad accettare l’emissione di Eurobonds, ossia di obbligazioni garantite da tutti i Paesi europei, che dovrebbero ridurre i tassi di interesse che oggi l’Italia è costretta a pagare per rifinanziarsi sui mercati. Si tratta solo di una speranza, poiché il Governo della Signora Merkel non ha mai promesso di essere disposto a dare il via libera all’emissione degli Eurobond in cambio del Patto fiscale.
Il tutto appare come una grande farsa, in cui, da una parte, i Paesi deboli si impegnano a rispettare vincoli che sanno che non rispetteranno mai e, dall’altra, la Germania fa finta di credere che essi rispetteranno questo Patto. In realtà, si tratta di un vero e proprio braccio di ferro: da una parte, vi è una Germania che non vuole pagare più di quanto ha già fatto e che attende con ansia che qualche Paese debole getti la spugna per uscire dall’euro; dall’altra, vi sono i Paesi deboli che volenti o nolenti devono stare al gioco, poiché non hanno alternative. Di questa partita le vere vittime sono le economie e le popolazione dei Paesi deboli, che devono subire gli effetti di politiche di austerità inutili, poiché non rimetteranno in ordine i loro bilanci. In questo modo l’euro diventa sempre più una camicia di forza che conduce l’economia europea verso una depressione. E’ quindi auspicabile che questo gioco al massacro finisca al più presto con l’uscita della Germania dall’euro e con la formazione di un euro di Serie A con Germania, Olanda, Finlandia, Austria e Lussemburgo e di uno di Serie B con gli altri Paesi appartenenti all’Unione Monetaria Europea.