Si scommette contro la Germania! presto perderà la tripla A
Scritto il 27 aprile 2012 alle 09:45 da balrock@finanzaonline
In Germania la crisi è di ritorno, almeno secondo la stampa. Il Financial Times ha rivelato che un guru della finanza americana, lo speculatore John Paulson, scommette contro la Germania, convinto che la crisi assumerà presto un’ampiezza tale da far perdere a Berlino la tripla AA; e in secondo luogo perché, forte dei pronostici che prevedono una crescita al 2 per cento nel 2013 e con un mercato del lavoro dinamico, il governo dovrà chiedersi ancora una volta fino a che punto vale la pena aiutare i paesi più fragili dell’eurozona. La Süddeutsche Zeitung sottolinea che
è proprio questa bipartizione – le grandi economie come Francia, Spagna e Italia da una parte e il peso massimo tedesco dall’altra – che rappresenta il problema principale per il club euro: come può un’unione monetaria funzionare a lungo se le economie si allontanano sempre di più? Questa è la domanda che si pone fin dall’inizio e a cui gli stati non hanno ancora trovato una risposta. L’argomento è legato alla creazione o meno dell’Unione fiscale: i paesi forti devono aiutare permanentemente i più deboli per impedire che le differenze siano troppo grandi e la comunità si sfaldi? La risposta dipende dalla permanenza nel club di Grecia e Portogallo, ma anche della Spagna. […] Abbiamo bisogno di prese di posizione chiare. Impegni arbitrari come il patto Euro plus o deboli pacchetti per l’impiego non sono sufficienti.
L’Europa crede di poter salvare i paesi in crisi inondandoli di fondi. Ma è stata proprio la disponibilità di crediti incondizionati a portarli nella situazione in cui si trovano.
Richard Swartz
Se dobbiamo credere al quadro descritto dai politici, i nuovi aiuti che sostituiscono i precedenti dovrebbero garantire le condizioni favorevoli alle tanto attese riforme e alla crescita economica nei paesi dell’Europa meridionale. Ma questa visione del futuro assomiglia alle tante occasioni mancate del passato. Ed è difficile immaginare che ci sia qualcuno convinto che la crisi europea sia ormai alle nostre spalle. Finora ci si è limitati a spingere sul pedale del freno e a curare i sintomi della crisi e tutti, volenti o nolenti, si sono stretti la cintura.
Ancora una volta i dirigenti europei hanno fatto quello che sanno fare meglio, guadagnare tempo per promuovere la crescita economica, unico mezzo per uscire dalla crisi. Una crescita che non potrà essere raggiunta se ogni paese non si darà da fare. Questa strategia simpatica e probabilmente giusta è ripetuta come un mantra dai principali dirigenti europei.
Ma si tratta di una strategia realistica? A volte si ha l’impressione che la classe politica abbia un’idea molto vaga del modo in cui l’economia funziona realmente in diversi paesi dell’est o del sud Europa, e che parole come “riforme” o “crescita” evochino ormai solo vane speranze o pie illusioni.
Il dilemma è particolarmente evidente nell’Europa dell’est. Con il crollo del regime comunista, la vecchia economia è stata completamente abbandonata, le imprese sono state chiuse o sono fallite. Praticamente dall’oggi al domani tutti i prodotti sono stati sostituiti: dal dentifricio alla margarina, passando per gli assorbenti, i frigoriferi, i divani e le macchine.
Per i consumatori dei paesi dell’est questo cambiamento è stato una vera e propria benedizione. In poco tempo sono passati dalla penuria all’abbondanza. L’unico problema a est era la mancanza di denaro per comprare i prodotti occidentali. Di conseguenza gli abitanti di questi paesi si sono visti proporre dei crediti generosi da parte di nuove banche commerciali dell’occidente. Il risultato è stato la creazione di economie che ancora oggi producono generalmente poco e si basano solo sullo strumento precario dell’indebitamento.
Gran parte dell’Europa del sud si trova in una situazione simile: produzione ridotta, esportazioni insignificanti e forte indebitamento. Nell’Europa del sud l’introduzione dell’euro ha avuto paradossalmente degli effetti simili alla caduta del muro. Per la prima volta questi paesi hanno avuto accesso a dei “veri” crediti finanziari, per di più a buon mercato, come se il Peloponneso o l’Estremadura si trovassero in Renania o vicino alla Baviera.
Un’occasione del genere non si presenta spesso e così per quasi dieci anni un mare di crediti ha inondato l’Europa del sud. Questo denaro avrebbe potuto permettere di gettare le basi di una crescita economica in grado di autoalimentarsi – se si fosse investito in infrastrutture, nella riforma degli stati, nel risanamento di interi settori dell’industria o dell’istruzione. Al contrario, si è preferito gettare questo denaro dalla finestra.
L’arte del possibile
Oggi, nel momento in cui nuovi aiuti sostituiscono i precedenti, ci viene detto che questi capitali permetteranno di creare le condizioni necessarie alle riforme tanto attese e alla crescita economica nei paesi dell’Europa del sud. Ma questa possibilità l’abbiamo già sprecata, è ormai alle nostre spalle. La visione del futuro che ci descrivono i dirigenti europei assomiglia molto alle occasioni mancate del passato.
Gli uomini generano molti più problemi che soluzioni. Olof Palme diceva che la risoluzione di un problema – e quindi la politica – era una questione di volontà. Per Karl Marx invece la soluzione consiste nel rendersi conto di quello che è indispensabile. Ma è stato probabilmente Bismarck il più perspicace, dichiarando che la politica è “l’arte del possibile” e che quindi bisogna cercare le soluzioni con quello che si può materialmente fare.
Di fatto anche un economista o un politico mediocre sono in grado di trovare la strategia miracolosa per risolvere i problemi economici della Grecia, ma questa strategia avrà tante possibilità di essere accettata quanto quelle di trovare un caffè turco ad Atene.
Rimane il problema di sapere in che modo vivranno un certo numero di paesi europei nell’attuale contesto di globalizzazione. Nessuno sembra avere una risposta chiara, tutto quello che si sa è che si dovrà cambiare radicalmente stile di vita. Un cambiamento la cui responsabilità è molto più della Cina che della Germania. source