Tutto iniziò nel 1974 con la
“legge Piccoli” (legge 195/1974),
quando fu introdotto il finanziamento pubblico ai partiti,
affinché si contrastasse la collusione fra i partiti politici e le lobbies economiche,
proprio per evitare certi scandali come ad esempio il
caso Trabucchi.
Due tipi di finanziamento furono legiferati,
il primo riguardava il finanziamento ai gruppi parlamentari (articoli 3 e successivi),
che determinò l’obbligo di dare il 95 per cento del finanziamento ricevuto al rispettivo partito di appartenenza,
il secondo tipo invece riguardava il finanziamento dell’attività elettorale per le diverse competizioni elettorali (articoli 1-2).
In seguito fu approvata
la legge 659 del 1981 che aumentò l’importò dei finanziamenti e li riformò.
A seguito dello scandalo di
Tangentopoli e sull’onda emotiva, cavalcata artatamente da una certa classe politica,
in modo alquanto demagogico, fu promosso dai
Radicali il
Referendum nel 1993 sull’abolizione del finanziamento ai partiti.
La vittoria del “Sì” determinò l’abolizione del finanziamento ai partiti tramite i gruppi parlamentari, mantenendo però il finanziamento per l’attività elettorale.
Il finanziamento ai partiti tramite i gruppi parlamentari fu di fatto sostituito successivamente
con l’aumento dell’importo previsto per i rimborsi elettorali sancito con l’approvazione della legge 515 del 1993 e della legge 157 del 1999.
Fino a quando non arrivò il
Governo Monti che legiferò una riforma del finanziamento ai partiti in senso radicalmente restrittivo,
con la legge 96 del 2012, grazie alla quale venne ridotta in modo significativo l’entità dei rimborsi elettorali e provò a strutturarne una disciplina unitaria.
Infine con il
Governo Letta ci fu la definitiva abolizione del finanziamento ai partiti con il decreto legge 47 del 2013,
convertito in legge dalla legge 13 del 2014 ed il pagamento dei rimborsi inerenti alle precedenti elezioni proseguì, con una progressiva riduzione, fino al tutto 2016.
Oggi sono previste e legittime solo forme di finanziamento indiretto ai partiti, purché essi abbiano una rappresentanza in Parlamento.
L’articolo 15, comma 4, dei regolamenti della Camera e l’articolo 16 commi 1-2, del regolamento del Senato
prevedono dei contributi per i gruppi parlamentari, affinché essi possano finanziare le loro attività istituzionali.
Tramite i soldi pubblici vengono finanziati i fondi presenti nel bilancio della Camera e del Senato,
da cui si attinge per erogare i fondi per finanziare le sopra citate attività istituzionali dei gruppi parlamentari.
Secondo quanto riportano i rispettivi progetti di bilancio della
Camera e del
Senato,
risulta che nel 2019 la Camera darà ai gruppi parlamentari circa 31 milioni di euro,
mentre il Senato prevede di dare circa 22 milioni di euro.
Per contribuire al finanziamento dei partiti è stato previsto anche il finanziamento privato,
infatti, in base al decreto legge 149 del 2013 del Governo Letta
è stata introdotta la possibilità da parte del privato di distrarre il 2 per mille
o la piccola quota dell’Irpef dovuta allo Stato (analogamente all’8 per mille per le confessioni religiose)
a favore dei partiti in sede di dichiarazione dei redditi.
Inoltre, sono state introdotte le “erogazioni liberali”, ossia quelle donazioni private in parte detraibili fino a 30mila euro, purché esse non siano maggiori di 100mila euro.
In questa oggettiva situazione, da cui si evince una drastica diminuzione delle risorse pubbliche destinate al finanziamento dei partiti,
minando in tal modo la tenuta del sistema democratico e parlamentare che si regge costituzionalmente sulla rappresentanza dei partiti,
si è sviluppato in modo significativo il fenomeno delle fondazioni in stretta connessioni con singoli politici o partiti,
come canale alternativo funzionale al finanziamento delle attività politiche,
a causa delle quali è sorta l’esigenza di garantire un maggior obbligo di trasparenza nella raccolta dei loro fondi,
in quanto decisamente inferiore rispetto a l’obbligo di trasparenza stabilito per i partiti.
In funzione di garantire quest’obbligo di trasparenza è stata recentemente approvata la legge soprannominata
“spazza-corrotti”,
con l’equiparazione dei partiti alle fondazioni, riuscendo solo in parte nel suo scopo di garantire un’adeguata trasparenza.
Vediamo cosa succede nel
Regno Unito,
“nel sistema politico britannico il finanziamento pubblico ai partiti politici riveste tradizionalmente un ruolo marginale”,
si legge nel
dossier della Camera.
“Tali caratteristiche del finanziamento pubblico derivano dalla natura giuridica dei partiti politici,
privi di personalità giuridica e considerati al pari di organizzazioni volontarie”.
Di fatto sono previsti – a parte gli incentivi finanziari destinati a tutti i partiti (
Policy development grants) –
conferimenti in denaro solo per i partiti di opposizione,
con l’idea di compensare i vantaggi che vengono al partito di maggioranza dall’essere al Governo;
vantaggi economici, ma non solo.
Come risulta dal relativo dossier della
House of Commons,
questi conferimenti (detti
Short money) sono stati introdotti nel 1975,
vengono dati ai partiti che hanno eletto almeno due deputati (o un deputato ma più di 150mila voti) e assumono tre diverse forme:
contributo generale per lo svolgimento dell’attività parlamentare;
contributo per le spese di viaggio sostenute dai membri dei gruppi parlamentari di opposizione;
dotazione riservata all’ufficio del capo dell’opposizione.
Nel 2018/2019, ad esempio, il
Partito laburista ha ricevuto meno di 8 milioni di sterline e tutti gli altri partiti meno di un milione di sterline.
Sono poi possibili donazioni private, in un quadro di regole stringenti che garantiscono la trasparenza e la pubblicità delle operazioni.
Alla luce di quanto esposto e analizzato si può affermare che l
’abolizione del finanziamento diretto ai partiti
non ha generato più trasparenza e né ha implicato che ci fossero minori collusioni con torbidi interessi e commistioni con dinamiche illecite,
che rispondessero ad interessi lobbistici, ma ha determinato solamente un deficit di democrazia
e di rappresentanza democratica destabilizzando alla radice la funzione costituzionale dei partiti,
trasformando la politica italiana in faziosi personalismi che hanno contribuito all’attuale paralisi politica.