IL DETTO "DALLA PADELLA ALLA BRACE" VERRA' SOSTITUITO CON: "DAL 2021 AL 2022"

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Oggi i giornali sono una sequela di inviti a prendere atto che il numero di contagi è troppo alto per poter proseguire con il tracciamento,
che i numeri di decessi e contagi sono errati
e che bisogna cambiare strada.

Quindi l’invito è a fare come nel Regno Unito e Spagna:

il Covid è un’influenza, se stai bene, o hai sintomi minimi, non fare test e curati come faresti con un’influenza.

Se hai un po’ di febbre stai a casa, ma non intasare i pronti soccorso,

e l’epidemia, ormai endemica, viene seguita in modo esemplificativo,

cioè campionando specifici presidi ospedalieri e valutando sulla base di questi,

come si muove il virus, se esistono varianti, la sua gravità etc.


Il problema però cessa di essere sanitario
:
se tutti sono destinati ad ammalarsi, in un modo o nell’altro, puoi controllare il processo, non puoi fermarlo.

Con 230 mila nuovi casi acclarati al giorno, cioè gente che ha fatto il test ed è positiva,
e con chissà quante persone che sono positive e non lo sanno perché asintomatiche o paucisintomatiche,
cioè pensano di avere un raffreddore, non sembra poi tanto impossibile che, in un tempo non enorme,
la parte maggioritaria della popolazione si sarà ammalata e quindi avremo l’immunità di massa,
o meglio un’iniezione endemica proprio come il raffreddore o l’influenza.


Il problema diventa però politico.
Non si può aver chiesto sacrificio enormi agli italiani,
aver mandato in malora categorie intere di lavoratori,
fomentato una lotta intestina al limite della guerra civile,
e poi dire “Ok va bene tutto superato”.


Ieri Affaritaliani postava un’idea che stava circolando, evidentemente, nelle sfere governative,
per un obbligo vaccinale duro e progressivo, con un incremento delle sanzioni
e la riduzione dell’età di obbligo prima a 40 e poi a 18 anni.

In altri paesi si potrebbe pensare alla casualità, ma non in Italia, dove si fa capire la “Exit strategy” del governo.


Appare evidente che a Roma si stiano per schiantare contro un bel muro di mattoni:

la strategia di contenimento non funziona,

rinchiudere i soli non vaccinati non è sufficiente,

i vaccini non garantiscono l’arresto del contagio,

un lockdown generale è ora improponibile.


Manca il coraggio per una decisione all’inglese o alla spagnola,
paesi che hanno le nostre stesse percentuali vaccinali, o minori.

Che fare allora , tra l’altro alla vigilia dell’elezione del capo dello stato,
unico passaggio che interessa alla guerra per bande burocratica della capitale?


Ecco cosa proporranno:

“Lo scambio”

obbligo vaccinale generale in cambio di fine delle misure di contenimento e di tracciamento.



Un obbligo a fronte di quella che, comunque, è una scelta obbligata,
dalla quale non si potrà scappare, ma che verrà ad essere una specie di alibi
dietro il quale si nasconderà il governo Brunetta – Speranza.


Una botta di paternalismo
“Vi siete comportati bene, allora vi lascio giocare fino a tardi”.

Non il frutto di una scelta ragionata, ma il solito tirare a campare, infischiandosene, ovviamente della democrazia,
ma sempre sotto la scrosciante pioggia di applausi da parte dei media.


Questo, purtroppo, è il vero male dell’Italia.
 
Claudio Borghi interviene sui dati diffusi dal presidente Draghi nella recente conferenza stampa.

Sulle ultime misure anti covid, dati che erano vecchi e non corretti,
tali da mostrare una situazione non vera,
cioè che il problema del covid sia costruito solo dai non vaccinati,
e comunque non adeguati a prendere delle decisioni ora.

Degli errori talmente evidenti per cui perfino noi ce ne siamo accorti.


Claudio Borghi si fa una domanda molto chiara:

i dati sono sbagliati per superficialità ?

oppure sono stati dati sbagliati apposta per poter confondere la gente e confermare delle tesi pre-convezionate?


Secondo Borghi i dati sono stati dati sbagliati

proprio perché dovevano sostenere un’idea preconcetta di Locatelli e d
el CTS, appoggiata da una parte del governo.


Il problema in Italia è proprio questo.

In Italia nessuno, o pochissimi, hanno il coraggio di leggere i dati per quello che sono
e non solo nella sanità, ma anche in economia.


Per cui si continuano a fare delle scelte sbagliate, sempre.
 
La gestione dell’emergenza sanitaria si sta rivelando un fallimento di dimensioni colossali,
abbiamo solo una sola e ultima opportunità prima del disastro finale,
del quale la politica ed i virologi da salotto dovranno rendere conto.

Riassunto veloce per capirci subito
Il nostro è un ordinamento giuridico liberale e democratico incentrato sulla “persona”,
nessuno può essere coartato a “proteggere” gli altri al prezzo di mettere a repentaglio la propria incolumità personale.

Soprattutto se si è giovani e sani, senza rischi nel caso di malattia Covid-19,
ma con rischi gravi, nel caso di somministrazione di vaccini/farmaci sperimentali,
che possono causare eventi avversi gravi o fatali.

Inoltre abbiamo già verificato che i vaccini non evitano di contagiarsi e soprattutto non evitano i contagi.

Quindi, è caduta anche la giustificazione giuridica per usare i vaccini sperimentali
in situazione di emergenza onde prevenire la diffusione del virus.

A tal fine, è molto più utile favorire l’immunità naturale generata dal virus nelle persone giovani e/o non malate,
che non patiscono conseguenze gravi dalla malattia.

Siamo in piena stagione invernale, periodo notoriamente di massima diffusione delle malattie legate ai virus influenzali.

Quando, tra un mese, avremo gli ospedali saturi e saranno positivi sia i vaccinati che i non vaccinati,
la politica sarà accusata di non aver gestito correttamente questa emergenza.

Autorizzare la circolazione ed il contatto tra persone vaccinate con il super green pass
(notoriamente contagiabili e potenzialmente contagiose)
è una follia di cui la politica dovrà rendere conto al paese.


Premessa sull’impraticabilità costituzionale di un obbligo vaccinale

Proviamo a spiegare perché il vaccino anti-Covid può essere, allo stato attuale delle cose,
al più rubricato al rango di obbligo “morale” (Mattarella dixit), ma mai e poi mai alla stregua di un obbligo giuridico.

Partiamo dall’articolo 32 della Costituzione che già mette un bel paletto:

“Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.
La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.


Quindi, solo il Parlamento, a maggioranza, ha facoltà di deliberare in proposito,
ma incontra il succitato, non oltrepassabile, limite della dignità umana.


Cosa significa esattamente?

Lo sa benissimo, e potrebbe spiegarlo al premier Draghi, il ministro della Giustizia, Marta Cartabia.

A quest’ultima (più precisamente nel periodo in cui era la vicepresidente della Corte Costituzionale), dobbiamo la sentenza nr. 5 del 2018.

Tale pronuncia si muoveva, a sua volta, nel solco di una giurisprudenza risalente
nella quale si annoverano almeno due precedenti pronunce del Giudice delle Leggi: la numero 307 del 1990 e la numero 258 del 1994.


Con la seconda, la Corte ebbe a occuparsi proprio della questione cruciale sul tappeto:
fino a che punto si può esigere, da un cittadino, un contegno “solidaristico”
– chiamiamolo pure, come il Capo dello Stato, “dovere morale” –
a tutela del benessere della collettività?

Ebbene, la risposta è inequivocabile.

Tale sacrificio è ammissibile solo se, e nella misura in cui, esso non implichi un correlato e serio rischio per la salute individuale.

Altrimenti detto: non è giuridicamente possibile obbligare chicchessia a un trattamento sanitario
in nome di una esigenza “pubblica” laddove vi sia il rischio, per il singolo, della perdita della propria salute o della propria vita.

La parola chiave è “contemperamento” tra il diritto alla salute del singolo
ed il coesistente e reciproco diritto di ciascun terzo consociato,
nonché di entrambi i diritti con il benessere della collettività nel suo insieme.

Da rimarcare che il diritto del singolo va rettamente inteso anche nel suo contenuto negativo:
di non assoggettabilità, cioè, di nessun uomo a trattamenti sanitari non richiesti o non accettati.

Per la precisione, secondo l’insegnamento dei giudici della Consulta,
la legge impositiva di un trattamento sanitario è compatibile con l’art. 32 della Costituzione
solo a tre condizioni
(l’ultima delle quali è la più importante, aggiungiamo noi):
  • se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri;

  • se – nell’ipotesi di danno ulteriore alla salute del soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio,
  • ivi compresa la malattia contratta per contagio causato da vaccinazione profilattica – sia prevista comunque la corresponsione di una equa indennità;

  • se vi sia “la previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato,
  • salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario e, pertanto, tollerabili”.
Ora, è sufficiente una lettura dei bugiardini dei prodotti vaccinali anti-Covid più diffusi
per avere contezza della gravità (e, dunque, intollerabilità) delle controindicazioni predicabili in caso di somministrazione di tali farmaci.


E basta uno sguardo agli ultimi dati del nono rapporto sulla sorveglianza dei vaccini Covid-19,
pubblicato il 26 settembre scorso dall’AIFA, per ricevere un’ulteriore inequivocabile conferma.

Dal suddetto report emerge che si sono, ad oggi,
registrati 101.110 casi di sospette reazioni avverse al vaccino
(su un totale di 84.010.605 dosi somministrate),
il 14,4 per cento dei quali gravi.

Ma soprattutto, si sono avuti 608 casi di decesso, 16 dei quali sicuramente correlabili al vaccino
.



Ciò basta a mettere fine, prima ancora di aprirlo, al dibattito sulla fattibilità giuridica di un vaccino anti-Covid obbligatorio in Italia.

In tal senso, ancora più chiara e indiscutibile è la motivazione della succitata pronuncia della Consulta, nr. 307 del 1990:

“Il rilievo costituzionale della salute come interesse della collettività non è da solo sufficiente a giustificare la misura sanitaria.
Tale rilievo esige che in nome di esso, e quindi della solidarietà verso gli altri, ciascuno possa essere obbligato,
restando così legittimamente limitata la sua autodeterminazione, a un dato trattamento sanitario,
anche se questo importi un rischio specifico, ma non postula il sacrificio della salute di ciascuno per la tutela della salute degli altri”.


Il nostro è un ordinamento giuridico liberale e democratico incentrato sulla “persona”,
non un regime dispotico basato sul “collettivo”.

Nessuno può essere “chiamato” né, peggio ancora, coartato
– neppure sulla base di slogan tanto apparentemente “altruistici” quanto sostanzialmente manipolatori –
a “salvare” o “proteggere” gli altri al prezzo di mettere a repentaglio la propria incolumità personale.

A maggior ragione se si tratta di intervenire su soggetti assolutamente sani,
giovanissimi e con una prospettiva nulla di morire della nota malattia;
ma suscettibili, invece, di riportare pregiudizi fisici irrimediabili, o addirittura fatali,
per effetto della somministrazione di un farmaco sperimentale.
 
Nel 2020 potevamo capirlo, ma è andata com’è andata

Nel 2020 è scoppiata una pandemia con la diffusione del virus Sars-CoV-2.

Il virus si è diffuso rapidamente soprattutto nel centro-nord Italia,
molto meno nel sud e nelle isole, ma ha generato la malattia Covid-19 principalmente in persone anziane e già malate.

Essendo un virus con conseguenze un po’ più gravi di un normale virus influenzale,
andava affrontato con le seguenti contromisure:
  • prevenzione attraverso l’uso di integratori specifici per il sistema immunitario;
  • isolamento per i soggetti più a rischio anziani e già malati;
  • cure precoci domiciliari, all’insorgenza dei sintomi;
  • niente tachipirina e vigile attesa;
  • eventuale vaccinazione solo per soggetti più a rischio ma senza malattie controindicate;
  • libera circolazione di persone giovani e sane, per ottenere (e veicolare) rapidamente una immunità naturale di massa;
  • aumento della ricettività ospedaliera nelle regioni più a rischio;
  • potenziamento della medicina del territorio;
  • incremento esponenziale dei posti di terapia intensiva per aumentare la resilienza del sistema alla recrudescenza o al ritorno del virus.
Nel 2020 questi sistemi non sono stati adottati, se non in minima parte,
ma anzi sono stati avversati nell’attesa dell’arrivo del vaccino salvifico.

Diciamo, per essere buoni, che l’arrivo di un virus nuovo e diverso dai precedenti, ha preso tutti alla sprovvista.

Per essere molto buoni.


Nel 2021 fiducia cieca nella scienza e nella tecnologia

Nel 2021 è iniziata la diffusione delle varianti al virus Sars-CoV-2,
molto più contagiose ma anche meno gravi nello sviluppo della malattia.

All’inizio del 2021 in tutto il mondo civilizzato sono arrivati i vaccini
che avrebbero dovuto immunizzare la popolazione per evitare la diffusione del virus.

Con questa motivazione, cioè evitare di contagiarsi e di contagiare,
il vaccino è stato imposto progressivamente a quasi tutta la popolazione,
utilizzando anche lo strumento del green pass.


L’analisi dei fatti e della realtà ha dimostrato in modo chiaro che il vaccino:
  • non evita alle persone di contagiarsi e soprattutto di contagiare,
  • quindi non è sterilizzante (presupposto principale di TUTTE le politiche ad oggi messe in campo dal Governo) ;
  • non è per sempre; cioè, dopo alcuni mesi la protezione scema a livelli minimi e richiede un rinforzo;
  • attenua la malattia solo nelle persone anziane e non in tutte;
  • espone i giovani ad eventi avversi, anche se il virus non provoca loro praticamente alcune effetto, e tantomeno la malattia grave.
L’analisi di fatti ha altresì dimostrato che:
  • il super green pass dà la falsa illusione di immunità e quindi favorisce la diffusione dei virus;
  • il super green pass impedisce lo sviluppo dell’immunità naturale che elimina il virus;
  • il super green pass è gravemente lesivo dell’arti. 32 della Costituzione
  • che esplicitamente vieta ogni trattamento sanitario obbligatorio
  • quando esso viola il rispetto della dignità della persona umana:
  • orbene, non vi è dubbio che privare del lavoro, e del sostentamento,
  • un cittadino per non essersi sottoposto a un trattamento sanitario
  • è un atto ignobile che si colloca ben oltre la soglia del rispetto della dignità umana.
Diciamo, nella migliore delle ipotesi, che la realtà ha dimostrato che la soluzione vaccinale non funziona
come tutti gli studi e le ricerche della scienza finanziata dalle Big Pharm aveva certificato.

Nella più che migliore delle ipotesi.


Nel 2022 ultima opportunità prima del disastro

Mi rivolgo a tutte le persone sane di mente e libere da conflitti d’interessi.

Abbiamo una sola e ultima opportunità di far cambiare la rotta a questa emergenza sanitaria,
per ricondurla nell’ambito di una delle tante malattie che affrontiamo e curiamo ogni giorno.

Consapevoli che non è neanche tra le più gravi e che le conseguenze dei vaccini e delle politiche restrittive sono ben peggiori.

Nel 2022 si sta diffondendo una variante del virus Sars-CoV-2, la Omicron,
che è sicuramente molto più contagiosa ma è anche molto più lieve nello sviluppo della malattia.


Quindi, è ora di invertire la tendenza, puntando sulle strategie che sono utili in questi casi:

  • prevenzione attraverso l’uso di integratori specifici per il sistema immunitario;
  • isolamento per i soggetti più a rischio anziani e già malati, anche vaccinati;
  • cure precoci domiciliari all’insorgenza dei sintomi;
  • divieto tassativo del protocollo di tachipirina e vigile attesa;
  • libertà su vaccino e richiami, consigliandoli solo per chi è a rischio e senza controindicazioni;
  • libertà di circolazione per le persone giovani e sane, per ottenere velocemente,
  • e sicuramente, l’immunità naturale nonché, possibilmente e sperabilmente, quella di gregge;
  • aumento della ricettività ospedaliera nelle regioni più a rischio;
  • aumento precauzionale delle terapie intensive.
In questo modo, possiamo fare opera di pacificazione e di rasserenamento della popolazione,

evitare la controproducente politica del terrore,

sedare il panico da virus,

uscire velocemente dal picco stagionale influenzale

e, soprattutto, dall’emergenza sanitaria permanente,

concentrando i nostri sforzi per far ripartire finalmente l’economia ed il paese.


Chi lo farà, avrà la gratitudine di tutta la popolazione.
 
I prezzi dei metalli delle terre rare utilizzati per la produzione delle batterie
sono aumentati vertiginosamente negli ultimi giorni
in correlazione con la spinta nell’elettrificazione dei veicoli,
che costringe le case automobilistiche ad aumentare le forniture.

Il nichel, uno dei componenti chiave delle batterie agli ioni di litio,
ha toccato il massimo degli ultimi sette anni martedì,
salendo del del 3,5% per sfiorare i 22 dollari a tonnellata.

A scatenare il prezzo è stata la notizia che Tesla
ha firmato un accordo di fornitura di nichel con il progetto della miniera di Tamarack di Talon Metals Corp in Minnesota.
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Si noti come il commercio di nichel sul London Metal Exchange aumenti
mentre le scorte continuano a diminuire a causa dell’aumento della domand,a
a causa dell’accelerazione della produzione di auto elettriche.

Lunedì, i prezzi del litio hanno raggiunto un nuovo record.

Il commercio di carbonato di litio in Cina è stato di circa 300.000 yuan (poco più di $ 47k per tonnellata),
con un aumento di circa sei volte rispetto a gennaio 2021.

I prezzi in aumento arrivano quando i produttori di auto elettriche, come Tesla,
segnalano una crescita esponenziale negli Stati Uniti, in Europa, e Cina.
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Litio, nichel e cobalto sono gli elementi essenziali nella tecnologia delle batterie
che alimentano i veicoli elettrici che sostituiscono costantemente i motori a combustione.

Michael Widmer, capo della ricerca sui metalli presso la Bank of America, ha detto a Bloomberg:

“abbiamo così tante storie che puntano tutte nella stessa direzione”,

indicando che “le persone si rendono conto che c’è potenzialmente una mancanza di fornitura in corso,

e questo sta prendendo i prezzi del nichel alla fine sono più alti”.


Anche se i prezzi dei metalli delle terre rare sono in aumento,
i costi complessivi dei pacchi batteria rimangono relativamente economici rispetto a un decennio fa,
tuttavia, il 2022 sarà il primo anno dopo anni in cui i prezzi dei pacchi batteria aumenteranno leggermente.


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Potrebbe essere in atto un tipo molto diverso di superciclo delle materie prime,
guidato da una rivoluzione verde, non dall’economia industriale cinese, come avvenuto in precedenza.

Nello stesso tempo un aumento dei prezzi troppo alto
potrebbe portare a un rallentamento dell’ elettrificazione del settore auto,
legato all’eccesso di costi dei pacchi batterie.


Politiche troppo forzate raggiungono i risultati opposti a quelli desiderati.
 
L’Arabia Saudita prevede di sviluppare le sue grandi reti di giacimenti di uranio
al fine di sostenere il suo nascente programma nucleare e di vendere sul mercato mondiale,
ha dichiarato il 12 gennaio il ministro dell’Energia, il principe Abdulaziz bin Salman,
mentre il principale esportatore mondiale di petrolio greggio
sembra diversificare il proprio mix energetico e la propria economia allontanandosi dagli idrocarburi.


“Abbiamo un’enorme quantità di risorse di uranio, che vorremmo sfruttare e lo faremo nel modo più trasparente”,
ha detto il principe Abdulaziz al Future Minerals Summit di Riyadh.

Il Future Minerals Summit è la prima conferenza mineraria dell’Arabia Saudita,
con il regno che ha identificato il settore come una componente importante della sua roadmap di diversificazione economica Vision 2030.

“Porteremo partner e sfrutteremo quella risorsa… e ci svilupperemo fino alla “Torta gialla” (Yellow Cake)
e monetizzeremo commercialmente quella risorsa”, ha aggiunto.

La “Torta gialla” è un termine che si riferisce a una polvere concentrata di uranio
ottenuta dalla lavorazione intermedia dei minerali del minerale radioattivo.

È un passaggio fondamentale per l’arricchimento dell’uranio per la fissione nucleare nei reattori sia per uso civile che per armi.

Non ci sono dati ufficiali pubblicati sulle riserve di uranio saudite.

Nel 2018, il principe ereditario Mohammed bin Salman
ha affermato in un’intervista che il regno deteneva oltre il 5% delle riserve mondiali.

Nel 2020, un rapporto del quotidiano britannico The Guardian, basato su documenti interni trapelati,
ha stimato i “depositi dedotti” del regno a circa 90.000 tonnellate, che equivarrebbero a circa l’1,4% delle attuali riserve globali.


L’Arabia Saudita attualmente non ha produzione di energia nucleare,
ma ha affermato che aggiungerà circa 17 GW di capacità nucleare entro il 2040
e ha l’ambizione di portare in linea due reattori con una capacità combinata di 3,2 GW entro il prossimo decennio.

Il regno ha discusso con la Cina per sviluppare la tecnologia nucleare
ed in precedenza ha tenuto colloqui con gli Stati Uniti sotto l’amministrazione dell’ex presidente Donald Trump
per assicurarsi un cosiddetto “accordo 123” che gli consentirebbe di ottenere tecnologia dagli Stati Uniti.

L’accordo limiterebbe l’arricchimento dell’uranio a scopo bellico.


Cosa spinge l’Arabia a questa scelta?

I timori che la conversione ecologica energetica occidentale possa portare a una decadenza epocale del Regno,
che da sempre fonda la propria ricchezza sull’esportazione del petrolio.

In questo modo l’Arabia cerca di assicurarsi il proprio futuro energetico ed economico.


L’anno scorso l’Arabia Saudita ha presentato i piani
in vista della conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici a Glasgow
per raggiungere l’azzeramento delle emissioni nette entro il 2060.

I suoi obiettivi si applicano solo alle emissioni interne del paese
e non coprono i gas serra rilasciati dall’uso del suo petrolio al di fuori del suo territorio.

La società statale Saudi Aramco, la più grande compagnia esportatrice di petrolio al mondo,
punta a zero emissioni nette entro il 2050.


Nel frattempo però l’Arabia sta preparando i propri progetti per l’”Idrogeno Blu”

da esportare, tramite gasdotti, direttamente verso l’Europa.
 
Capisco che fosse una funzione di Stato, capisco che fosse persona conosciuta,
ma oggi - le regole covid -proprio non c'erano. Valgono solo per la plebe.

Noi dobbiamo stare attenti a questo e quello ed a quell'altro,
gli stadi - all'aperto - riempiti con 5000 spettatori, quando ce ne stanno 80000
al funerale di mia madre - lo scorso anno - e stai attento a questo e quello ed a quell'altro

Qui ho visto - anzi abbiamo visto - un migliaio di persone in una basilica
e non certo distanziate, abbiamo visto strette di mano, abbracci e quant'altro,
persino baci.

Le regole valgono per molti, le eccezioni per pochi........
 
Mercoledì nel corso di “Zona bianca”,
programma di approfondimento condotto su Rete 4 da Giuseppe Brindisi,
quest’ultimo l’ha fatta, come si suol dire, fuori dal vaso.

Sul tema infinito del Covid-19, nei riguardi del quale lo stesso giornalista mantiene una linea ultraortodossa,
ha interrotto bruscamente l’intervento di Mario Adinolfi,
in cui quest’ultimo stava elencando un numero impressionanti di Paesi
che non hanno neppure lontanamente adottato le nostre allucinanti misure restrittive,
con in testa la Svezia, con queste parole:

“Mario, ti informo che la Svezia sta per chiudere”.


Ora, dal momento che si tratta dell’ennesima balla spaziale su questo modello di democrazia,
in primis sarebbe il caso di spiegare al prode Brindisi,
come ha ampiamente dimostrato Mario Giordano sulla stessa rete televisiva,
mandando in onda il giorno precedente un lungo ed esauriente servizio sulle libertà svedesi ai tempi del Coronavirus,
che il grande Stato scandinavo non ha mai adottato alcun lockdown.

In realtà, a parte alcune limitatissime restrizioni, attualmente quasi tutte revocate,
il Governo svedese si è sempre limitato a impartire al suo popolo una serie di semplici raccomandazioni.

Ed è assai grave che il noto conduttore, che con la faccia di bronzo si lamenta spesso delle cosiddette fake news dei presunti No-vax,
si permetta il lusso di raccontare in diretta televisiva una simile panzana.

Panzana, come sopra accennato, clamorosamente smentita da un reportage trasmesso nel suo medesimo canale televisivo.


Io comprendo bene la tendenza giornalistica dei nostri giorni,
caratterizzata da una ricerca spasmodica della notizia sensazionale.


Tuttavia, egregio collega,
continuando a terrorizzare la popolazione con queste raffiche di balle spaziali,
non facciamo certo un buon servizio alla causa di una corretta ed equilibrata informazione.
 
La questione dell’uso dei beni comuni in ambito condominiale,
trova la sua principale fonte normativa nell’articolo 1102 del Codice civile,
il quale prevede, in particolare, che

“ciascun partecipe può servirsi della cosa comune,
purché non ne alteri la destinazione e non impedisca ad altri partecipanti di farne parimenti uso”.

In particolare, di recente, ci siamo occupati di quest’ultimo divieto (cfr. Cn novembre 2020).

Ciò che interessa, ora, è approfondire, invece, l’altro limite posto dalla norma:
il divieto di alterazione della destinazione del bene comune.


Occorre, allora, aver presente che secondo la giurisprudenza sussiste “alterazione” dei beni comuni
solo allorché le modificazioni apportate a tali beni rendano impossibile
o comunque pregiudichino apprezzabilmente la loro funzione originaria,
e non già quando l’utilità tratta dal singolo condòmino si aggiunga a quella originaria,
cioè quando il godimento del singolo condòmino, pur potenziato e reso più comodo,
lasci immutata la consistenza e la destinazione originaria
(in tal senso, cfr., fra le altre, Cassazione, sentenza n. 11936 del 23.10.1999).

Sul punto la dottrina ha anche sottolineato come non sia indispensabile che la cosa sia attualmente in funzione,
in relazione alla sua destinazione, qualora persista la possibilità di ripristinarne l’originaria funzionalità.

Quanto alla “destinazione” che ciascun partecipe non può alterare,
secondo i giudici questa deve essere determinata attraverso elementi economici, giuridici e di fatto
(Cassazione, sentenza n. 4397 del 22.11.1976).


In argomento la dottrina ha tenuto a precisare come non possa ragionarsi in astratto della destinazione della cosa,
per sindacarne l’uso fattone dai condòmini, occorrendo, invece, vedere quale destinazione,
in concreto, i condòmini le abbiano riconosciuta ed impressa.


In particolare, è stato osservato come questi, d’accordo tra di loro,
possano sempre validamente imprimere alle parti comuni una destinazione specifica,
anche non conforme alla normale funzione economico-sociale della cosa,
e come ogni condòmino, allorché ciò accada, abbia diritto di fare uso della cosa comune in conformità ad essa.

Va pure precisato, però, che l’uso della cosa comune da parte del singolo condòmino trova un ulteriore limite,
oltre che in un regolamento di condominio di origine contrattuale
(nonché nell’ovvia e fondamentale esigenza di non pregiudicare i diritti degli altri comproprietari su beni di loro esclusivo godimento),
anche nel disposto dell’articolo 1120 del Codice civile, quarto comma.
 

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