il ritorno di razzi...........dammi la 500 euro amico caro fatti una banca centrale tua

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La nostra ignoranza è la LORO forza.
Mi piace questa Pagina"Mi piace" aggiunto alla Pagina · 7 luglio 2015 ·





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La nostra ignoranza è la LORO forza.
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Ezra Pound (1972-1992)

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HELICOPTER MONEY. LE SOLUZIONI NASCOSTE, MA NON TROPPO, NEI "POTERI IMPLICITI"

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(Questo post potrà avere altre versioni ove dovesse essere pubblicato in altre sedi, più scientifiche o più divulgative....)
1. Ho conosciuto Carlo Clericetti all'ultimo Goofynomics-4 e mi ha fatto un'ottima impressione, riferendosi al panorama "tipico" dei giornalisti italiani di economia e finanza.
Clericetti, in un articolo su Repubblica.it, (il che è tutto dire), commenta l'uscita di Tabellini relativa all'adozione, da parte della BCE, della "estrema misura" (reflattiva, ma non si deve dire "troppo") contemplata dalla teoria monetarista: lo "Helicopter Money", secondo la celebre metafora usata dallo stesso Milton Friedman (e endorsed by Ben Bernanke", tanto da farlo definire "Helicopter Ben").
L'articolo ci ragguaglia sulla portata concreta della proposta appoggiata da Tabellini e si attesta su una visione pragmatica, confortata dalla citazione di questo post di Alberto Bagnai, circa il fatto che la monetizzazione non è causa di inflazione incontrollata (l'ennesima mitologia tecno-pop che ha fornito la corda cui si sono volentieri impiccati i governi dell'eurozona).
2. Intendiamoci, Draghi ha negato di aver "alluso" a tale soluzione, limitandosi, a quanto pare, a non affermarne l'assurdità logico-economica.
D'altra parte, "il dibattito" è palesemente già aperto sul punto: il che è indice di una certa qual disperazione nel campo dei neo-liberisti in cerca di affannose conferme che se le cose non vanno è perché non si sono fatte abbastanza riforme deflattive del lavoro e "liberalizzatrici" sul lato dell'offerta (che provvede immancabilmente a se stessa, secondo l'augusta legge di Say).
Aveva dato il via, almeno nella risonanza mediatica, la nostra vecchia conoscenza Peter Praet (quello che negava che la deflazione fosse una minaccia attuale, avendo poi, peraltro, una incrollabile fiducia nel QE), che essendo un membro del Board della BCE, non può dirsi un estraneo che dà fuoco alle polveri:
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3. Ma pure il FMI, nel suo "piccolo", pone all'ordine del giorno una proposta di taglio della pressione tributaria finanziata dall'elicotterismo, formulata da Adair Turner. L'idea è che l'alternativa di lasciare alle polveri bagnate delle politiche monetarie non convenzionali delle BC, e ai tassi di interesse in territorio negativo, la soluzione (fallita) dei problemi, presenti ormai dei rischi di instabilità finanziaria più che temibili.
Krugman, a sua volta, nel considerare l'ipotesi ci ha già regalato un'icastica formula descrittiva delle sue ("BC credibilmente irresponsabili", in relazione all'esigenza che l'allargamento della base monetaria, rifornendo direttamente gli Stati, debba essere necessariamente permanente, cioè, appunto, una monetizzazione attuata non solo acquistando i titoli, ma rinnovando gli acquisti, per tale ammontare, ad ogni futura scadenza) e ne parlano apertamente anche i commentatori del Wall Street Journal.
4. Sia detto subito che, anche voci orientate alla contrarietà teorica su misure del genere, suggeriscono che l'acquisto, corredato dalla sua permanenza, potrebbe essere effettuato dalla BCE, quale banca centrale indipendente "pura", sul mercato secondario, cioè senza violare il divieto di acquisto diretto all'emissione posto dall'art.123 TFUE.
Tenendo conto di questo quadro di opinioni qualificate (per la loro provenienza dal campo avverso alle teorie keynesiane) già assommatesi sul punto, l'articolo di Clericetti descrive, per lo statuto giuridico dell'eurozona, uno scenario di difficoltà quasi del tutto insormontabili. Sicuramente dal punto di vista politico, dato che ci si dovrebbe imbarcare in una modifica dei trattati: persino l'aggiramento formale dell'art.123, con l'acquisto sul mercato secondario, avrebbe difficoltà a essere attuato, dato che il board BCE che delibera l'avvio del programma di acquisto, non può garantire la continuità di questo orientamento alle varie scadenze, che sarebbero affidate, per non vanificare l'effetto di una vera monetizzazione, alla composizione, impronosticabile, di futuri board successori dell'attuale, che non sarebbero normativamente obbligati a confermare la decisione intrapresa in precedenza.
5. Clericetti, riassume le difficoltà tecnico-normative evidenziate da Tabellini e poi conclude con una nota, certamente sensata, di scetticismo:
"...ci sono due problemi. Il primo è che così la banca centrale sconfinerebbe nella politica fiscale, che non è tra i suoi compiti; e il secondo è che ciò le farebbe perdere la sua indipendenza. Ma "l’indipendenza e legittimità della banca centrale possono essere pienamente preservate, in questo modo: in circostanze eccezionali, la banca centrale può dichiarare che ha esaurito gli strumenti convenzionali, e che pertanto effettuerà un trasferimento permanente a favore del governo (o dei governi nell’area euro). L’importo trasferito è scelto discrezionalmente dalla banca centrale, può essere diluito nel tempo, ed è motivato dalle circostanze economiche. Il governo (o i governi) non possono in alcun modo interferire con la decisione unilaterale della banca centrale, ma scelgono liberamente come disporre della somma trasferita: se e come distribuirla ai cittadini, se usarla per finanziare particolari voci di spesa, o per ritirare debito pubblico o semplicemente se accantonarla per il futuro. Naturalmente, se davvero le circostanze sono eccezionali, la pressione politica costringerebbe i governi a distribuire o spendere questa somma, raggiungendo così l’obiettivo di un effettivo coordinamento tra politica monetaria e fiscale". Tutto ciò richiederebbe una modifica del Trattato di Maastricht, ma, conclude Tabellini, non c'è una ragione valida per non cambiarlo.
"...Comunque questi "elicotteristi" sanno di parlare al vento. La proposta, chiamata col suo nome e realizzata come si deve, sarebbe più che sensata, ma questo non le dà più probabilità di essere adottata delle tante altre proposte sensate che sono state fatte negli ultimi anni e di cui non s'è fatto nulla per l'opposizione della Germania e dei suoi satelliti. I tedeschi hanno in testa la loro idea di come debba funzionare l'Unione europea e non ci rinunciano, non cedono di un millimetro e anzi rilanciano con nuove proposte deleterie per evitare ogni più lontano rischio che si crei una situazione che richieda un intervento solidale dei paesi membri, cioè di usare anche "i loro soldi". Certo, in questo modo rendono sempre più probabile che si arrivi a una rottura traumatica, ma evidentemente sono convinti di avere da perdere, in quel caso, meno degli altri. Continuiamo così ad andare avanti tra i proclami che ci vuole "più Europa" mentre stiamo facendo di tutto per distruggere quella che c'è."
6. Nonostante questa conclusione sia in linea di massima quasi obbligata e ampiamente condivisa ("la Germania si sa..."), potremmo fare due obiezioni. La prima è interna alla riferita opinione dominante, di scetticismo sulla realizzabilità della monetizzazione per via del divieto, o sulle difficoltà normative comunque e senza dubbio insite nei trattati.
E cioè, affermare che i trattati siano o meno veramente immodificabili, politicamente, è qualcosa che presuppone una verifica che, però, non giunge mai a concretizzarsi: e cioè presuppone che qualcuno, cioè uno o più Stati-membri dell'eurozona, attivi il relativo procedimento di revisione.
Nessuno impedisce di farlo all'Italia, alla Francia o alla Spagna (anche messe insieme come proponenti congiunte): la formazione di maggioranza, come abbiamo visto, non basta, occorrendo l'unanimità, ma nondimeno, questa volontà maggioritaria avrebbe effetti notevoli, potendo innescare un processo di "conta" che, a sua volta, se veramente lo si sostenesse con queste ferme intenzioni, potrebbe condurre la Germania a più miti consigli.
Se non altro perché la ripresa dei redditi e dei consumi interni, andando proporzionalmente alla stessa Germania la fetta più grande di liquidità "regalata dall'elicottero" (cosa che, tra l'altro, la farebbe rientrare in deficit spending rispetto alla situazione attuale), certo non farebbe male né alla sua domanda interna né alle sue esportazioni; anche se forse farebbe "meglio" alle importazioni dagli altri Stati in Germania.
Oppure, magari, il ritrovarsi in stabile minoranza di fronte ai partners più importanti (rispetto al suo ostinato mercantilismo), potrebbe condurla a prendere atto di "non capirsi" con tutti gli altri €uropei e a lasciare l'eurozona con un ragionevole negoziato.
7. Ma la seconda alle predette conclusioni obiezione è più pratica.
In realtà, di fronte a una forte volontà politica, - chiamiamola così e non fingiamo che l'indipendenza della banca centrale sia "apolitica", laddove è piuttosto solo avulsa dal processo elettorale (cioè democratico)-, la cosa potrebbe rivelarsi attuabile sfruttando le già esistenti prese di posizione di quello che, in chiave di ordinamento UE, è l'organo che, secondo la (pur atipica) rule of law dell'eurozona ha l'ultima parola e che, in qualche modo, l'ha già espressa. Cioè la Corte di giustizia UE.
Difatti, come abbiamo visto nel post a commento della sentenza CGUE sulla OMT, la Corte ha affermato due cose in sé non proprio coerenti tra di loro, ma che hanno il pregio di essere state affermate, cioè di costituire uno stare decisis che l'ordinamento europeo considera di livello normativo, cioè integrante le stesse fonti del proprio "diritto".
La Corte, in un complesso viluppo di argomentazioni, certamente soggette a una buona dose di incertezza interpretativa (ma tale "vaghezza" è una sua strategica e consolidata tradizione), ha sostanzialmente già affermato, abbiamo detto, due cose (le riassumo con un certo riduzionismo, consapevole che una lettura completa esige una consapevole conoscenza delle teorie economiche e dell'ordinamento giuridico europeo, che difficilmente sono compresenti in qualsiasi interprete, perciò vi dovrete fidare delle mie conclusioni):
a) che le politiche monetarie rientrano (abbastanza ovviamente) nella competenza esclusiva della BCE ma che, ed è questo il "punto forte" del ragionamento desumibile dalla sentenza, esse includono il garantire l'efficacia dei meccanismi di trasmissione monetaria e, quindi, è obiettivamente desumibile una serie di poteri impliciti della BCE (implied powers che sono una prerogativa "ontologica", secondo altre pronunce della Corte, insita nella mission di ogni istituzione europea), che travalicano le forme comuni e "convenzionali" di politica monetaria;
b) che, comunque, anche se così non fosse, sul piano del rigore delle norme dello Statuto BCE, misure eccezionali per garantire i meccanismi di trasmissione monetaria, sono adottabili in un quadro di accordo congiunto degli organi europei competenti.
Infatti:
"Le caratteristiche specifiche del programma OMT non consentono di affermare che esso sia equiparabile a una misura di politica economica.
Per quanto riguarda il fatto che l’attuazione del programma OMT è subordinata al rispetto integrale, da parte degli Stati membri interessati, di programmi di aggiustamento macroeconomico del Fondo europeo di stabilità finanziaria (FESF) o del Meccanismo europeo di stabilità (MES), non si può certo escludere che tale caratteristica abbia incidenze indirette sulla realizzazione di taluni obiettivi di politica economica. Tuttavia, simili incidenze indirette non possono implicare che il programma OMT debba essere considerato come
una misura di politica economica, poiché risulta dai Trattati dell’Unione che, fatto salvo l’obiettivo della stabilità dei prezzi, il SEBC contribuisce alle politiche economiche generali nell’Unione".

8. Per quanto riguarda il primo punto, cioè il concetto "mobile", o meglio "espandibile" di politica monetaria, il limite della coerenza con la scienza economica, - che in pratica è quello di un univoco intendimento della teoria monetarista, che appare obiettivamente richiamata dalla Corte, essendo alla base della concezione della BCE e dei trattati-, non ha ormai soverchia importanza: le politiche monetarie, per Friedman, coincidono essenzialmente con le politiche economiche, avendo il solo complemento esterno di limitati interventi supply side da parte degli Stati, ma poco importa.
Ormai, l'OMT (che è un atipico QE che rompe l'unità centralizzata della politica monetaria affidata alla BCE), nonostante la sua sostanziale inattuazione, è stata definita nell'alveo delle politiche monetarie e, d'altra parte, questa lettura vale a ricomprendere, per espressa affermazione (normativa) della CGUE, l'intera attivazione della gamma composita dei meccanismi di trasmissione monetaria.
Tra questi meccanismi, indubbiamente, per quanto circondato da una definizione "pittoresca" e da una certa ironia crepuscolare sullo stesso monetarismo, rientra l'escogitazione dell'Helicopter Money: operabile, col precisato carattere di permanenza, sul mercato secondario per non violare l'art.123 fatidico.
9. Circa il secondo punto b) (adozione di misure "monetarie" in accordo con le istituzioni competenti), è qui che la sentenza della CGUE rivela il suo carattere aperturista alla monetizzazione: una volta entrata (con non meno diritto dell'OMT) nell'alveo delle politiche monetarie, la sua attuazione dipende, non tanto, e in modo abbastanza ovvio, dalla conformità ai programmi di aggiustamento FESF o MES, che non entrano per definizione in gioco in questo caso, ma dall'orientamento che, su questi programmi, volessero assumere gli organi comunitari che predeterminano i contenuti di tali programmi (cioè da parte degli effettivi decidenti).
In pratica è raggiungibile, senza dover intraprendere alcuna procedura di revisione dei trattati, un accordo coordinato tra BCE, raggiungendosi nel suo Board la dovuta maggioranza, Eurogruppo, che in base al combinato disposto degli artt.136 e 238, par.3, lett.a) del TFUE può deliberare in modo vincolante con la maggioranza del 55% dei voti ponderati dei membri dell'eurozona purché rappresentino il 65% della popolazione interessata, e Commissione (sempre che questa possa raggiungere una maggioranza in contrasto con la volontà della Germania).
10. Si tratta evidentemente di un accordo che richiede una forte convinzione e coesione degli Stati maggioritari (per voto ponderato e per popolazione), tale da riflettersi coerentemente, ma non impossibilmente, in tutte e tre tali sedi istituzionali.
Il presupposto, esplicitato dalla CGUE, è peraltro che tali organismi, tutti insieme, decidano che i programmi di aggiustamento macroeconomico, - dettati dalla varie decisioni del Consiglio e dell'Eurogruppo, ribaditi nel monitoraggio sui bilanci da parte della Commissione, e di frequente apertamente "consigliati" dalla BCE (in "lettere" e dichiarazioni pubbliche)-, siano considerati sufficientemente rispettati e non ulteriormente inaspribili: almeno nel senso che la monetizzazione sia, allo stato, considerata una misura politico-monetaria e fiscale prioritaria su ogni altra, nel garantire un meccanismo di trasmissione della politica monetaria ritenuto a questo punto indispensabile.
11. Insomma, volendo, dipende tutto da "loro": se si mettessero d'accordo e volessero intraprendere una via emergenziale, dovrebbero soltanto ammettere che questa è alternativa alla prosecuzione dell'applicazione "condizionale" del fiscal compact.
Certo, sconfessando se stessi in modo piuttosto evidente: ed è questo forse il principale ostacolo psicologico e culturale. Cioè politico: ammettere di essersi sbagliati, per fare qualcosa che, però, salvi l'eurozona.
Uno strano dilemma, che esige di agire "come se" le Costituzioni e la democrazia esistessero, coi loro vincoli sostanziali, ma dandogli una veste che non rinneghi il monetarismo (e non riaffermi la democrazia). Correrebbero mai questo rischio?
Forse, se lo facessero prima altre banche centrali importanti, come la Fed o la BOE...




Pubblicato da Quarantotto a 11:20
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2 commenti:
 
  • I piani segreti per creare gli Stati Uniti d'Europa
    Posted:2016-04-28 18:32:50 UTC+02:00
    Francia, Italia e Lussemburgo hanno firmato una dichiarazione a Roma a settembre nella quale si propone la creazione di una "Unione Generale degli Stati"


    Se attuato, nella pratica il piano darebbe ancora più potere ai burocrati dell'Unione Europea (UE) a Bruxelles (capitale belga) sugli Stati membri in una serie di aree che "non dovrebbero essere limitate al campo economico o alle questioni di bilancio, al mercato interno e alla politica agricola", afferma la dichiarazione, come ha rivelato (24 aprile 2016) il quotidiano britannico Times.
    "Dovrebbe comprendere tutte le questioni relative all'ideale europeo: questioni sociali e culturali, così come la politica estera, di sicurezza e di difesa", dice il documento.
    "Crediamo che l'integrazione europea dovrebbe ricevere un nuovo impulso. Crediamo che abbiamo bisogno di più Europa, e non meno per affrontare le sfide che abbiamo di fronte" (sic!), secondo la dichiarazione. Secondo gli Stati firmatari, la situazione attuale è l'occasione per "avanzare" verso l'integrazione politica europea, ed è anche esplicitamente menzionato che il processo in questione "potrebbe portare ad un'unione federale degli Stati".


    Leggi tutto...
 
LA CRISI EUROPEA SPIEGATA E GLI ERRORI DELLE POLITICHE FISCALI SOLO DAL LATO DELL’OFFERTA (di “The Statistical Intruder”)



A scenarieconomici siamo sempre in attesa di uno paper scientifico che mostri i vantaggi per l’Italia della permanenza nell’Euro, mentre piovono paper sul danno causato all’economia da questa moneta forzata ed assurda. un nostro carissimo amico, che per il suo ruolo pubblico ed accademico non può usare il proprio nome e che noi chiamiamo “The statistical intruder”, ci ha mandato questo ottimo paper. Prendetevi il giusto tempo e leggetevelo con calma, perchè potrete capire la verità circa la spesa pubblica europea ed italiana e , soprattutto, comprenderete i legami fra questa e la crescita nazionale. Buona lettura.

La teoria economia non riesce a generare alcuna conclusione univoca sull’impatto della spesa pubblica sulle performance economiche. Vi sono situazioni in cui una spesa pubblica più bassa può aiutare la crescita mentre in altre circostanze sarebbe desiderabile un più forte intervento dell’operatore pubblico. Anche la cattiva allocazione del denaro pubblico può influire negativamente sull’apporto della spesa al PIL. Negli anni ’30 dello scorso secolo, John Maynard Keynes affermò invece che la spesa pubblica è particolarmente utile nei periodi di forte depressione della domanda per incrementare il potere d’acquisto dei cittadini. Secondo Keynes il settore pubblico potrebbe bloccare la crisi economica prendendo a prestito dal settore privato ed in seguito ridando i soldi al settore privato attraverso vari programmi di spesa. Questo non significa che il settore pubblico debba essere necessariamente “grande”, ma che spenda bene i soldi in settori particolarmente utili e che sia pronto a ridurre la spesa non appena l’economia riparte in modo da calmierare un possibile effetto sull’inflazione. Tutto questo (e almeno dall’approvazione dei parametri di Maastricht), all’interno dell’Eurozona non è semplicemente possibile senza contravvenire a regole divenute nel corso del tempo insostenibili. Le regole dell’Eurozona hanno infatti visto prevalere l’argomento della pericolosità dei deficit di bilancio per l’incremento dei tassi d’interesse che riducono le risorse pubbliche disponibili per l’investimento produttivo e quindi per la crescita di lungo periodo.

Il rapporto fra spesa pubblica e PIL in Italia è cresciuto dal 47,2 al 51,3 per cento fra il 2003 e il 2014. Più precisamente la spesa a numeratore è aumentata in maniera molto più consistente rispetto al PIL al denominatore essenzialmente nel 2009 (anno di caduta del PIL corrente del 3,6 per cento rispetto al 2008), mentre la spesa pubblica crebbe del 3,1 per cento a causa dell’incomprimibilità di alcune voci. Una situazione assolutamente similare si è verificata nel corso del 2012, con un PIL nominale in ulteriore caduta di circa l’1,5 per cento (a causa della recessione indotta per ridurre lo squilibrio della bilancia dei pagamenti nei confronti di altri partner dell’Eurozona), mentre la spesa pubblica comprensiva degli interessi risultò in aumento di circa l’1,9 per cento. È opportuno notare che in Italia la spesa pubblica primaria (al netto degli interessi) è aumentata usualmente di più (o diminuita usualmente di meno) di quella comprensiva degli interessi sui titoli del debito pubblico tranne che per gli anni 2007-2008 e 2011-2012. In particolar modo, nel 2011, la spesa al netto degli interessi era scesa dello 0,5 per cento, mentre quella totale era invece salita dello 0,5 per cento come conseguenza di un aumento degli interessi dell’11 per cento rispetto al 2010, interessi aumentati fortemente nel timore degli operatori in bond di un’uscita dall’Eurozona di varie nazioni fra cui la nostra. Il rischio di ridenominazione dei titoli di stato in divisa diversa rispetto all’euro ebbe infatti come conseguenza l’incremento della remunerazione che gli investitori chiedevano per continuare ad acquistare titoli pubblici (e privati) italiani. In effetti non aumentavano solo i tassi sulle emissioni, ma anche il valore delle assicurazioni contro la bancarotta Credit Default Swap. Tuttavia, i fondamentali finanziari della Repubblica erano migliori rispetto a quelli di altre nazioni coinvolte, sicché sembra essere avvalorata la tesi dell’effetto panico-contagio che coinvolse il nostro paese in mancanza di un effettivo prestatore di ultima istanza vietato dai regolamenti BCE (De Grauwe, 2012).

In verità, i dati mostrano che l’incremento della spesa per interessi nel 2011 riguardò anche Francia e Germania: tuttavia in Italia e Spagna esso continuò anche almeno fino al 2012 sino all’intervento di Draghi sul futuro dell’Eurozona nel luglio di quell’anno (in realtà la spesa per interessi in Spagna è continuata fino almeno al 2014, ultimo anno disponibile della serie storica). Solo la Germania, è riuscita a stabilizzare il rapporto fra spesa pubblica e PIL, praticamente dall’inizio dell’Eurozona attorno al 45 per cento, nonostante il picco unico raggiunto nella crisi del 2009. In Spagna, l’incremento del PIL degli ultimi tempi è fortemente correlato al forte e apparentemente permanente incremento della spesa pubblica che passa dal 38 al 45 per cento. Francia e Italia presentano andamenti piuttosto similari, con una differenza stabile attorno ai 5 punti percentuali1. Ovviamente, la stabilizzazione del rapporto tedesco dipende dalla migliore performance in termini di PIL ottenuta attraverso una politica di crescita quasi esclusivamente export-led anche e soprattutto a discapito di altre grandi partner dell’Eurozona.

Spesa pubblica totale: % sul PIL



Elaborazione su dati Eurostat.

Al contrario, come si può notare dai due grafici comparati, i paesi del Sud Europa (ed in particolare Grecia, Italia, Portogallo) tendono ad avere una maggiore spesa pubblica totale rispetto al PIL piuttosto che una maggiore spesa primaria. In entrambi i grafici genera particolare interesse lo scostamento della media irlandese del periodo 2009-2014 rispetto a quella del periodo precedente. L’incremento è evidentemente dovuto ai sostenuti salvataggi bancari.

Spesa pubblica primaria % sul PIL



Elaborazione su dati Eurostat.

Dal punto di vista pro capite, a valori concatenati (anno di riferimento 2010) la spesa pubblica italiana è scesa da un massimo di 13660 euro nel 2009 a 12950 nel corso del 2014. Lo stesso è avvenuto in Spagna (da 10700 a 9900 euro pro capite). Come si può vedere, l’Italia scende al di sotto della media dell’Eurozona a 18 paesi a partire dall’inizio della crisi (2008). Ciò dimostra come la mancanza di spazio fiscale abbia giocato un ruolo molto potente sulla forza e isteresi della crisi stessa nonostante tale quoziente sia influenzato da un piuttosto marcato (per gli standard europei) incremento di popolazione avvenuto per il 2013 e il 2014, soprattutto nel nostro paese e Lussemburgo2.

Spesa pubblica pro capite deflazionata (anno di riferimento 2010)



Elaborazione su dati Eurostat. I paesi sono posti in ordine decrescente in base ai valori dell’anno 2014.

In maniera del tutto analoga, la spesa pubblica primaria corrente pro capite si è abbassata in Spagna ed è rimasta sostanzialmente ferma in Italia. L’efficacia della politica di austerità è ancora dubbia, visto che il rimbalzo spagnolo in termini reali è fortemente dovuto all’effetto della forte deflazione.

Andamento spesa pubblica primaria corrente pro capite per 4 paesi





Elaborazione su dati Eurostat.

È quindi evidente che un cambio di passo è necessario. E questo cambio di passo può solo avvenire ammettendo che la crisi non è solo dovuta a strozzature dal lato dell’offerta (come sembrano invece sempre ricordarci i leitmotiv delle consuete, annuali Country Specific Reccomendations, CSRs) ma soprattutto ad una tremenda caduta della domanda, resasi necessaria per la riduzione degli squilibri di bilancia dei pagamenti. L’allentamento quantitativo di 80 miliardi di euro al mese posto in essere dalla Banca Centrale Europea (Quantitative Easing, QE) non sembra da solo poter tirar fuori l’Eurozona dalla secca, poiché i tassi d’interesse sono troppo vicini a zero e quindi la liquidità che la BCE crea non passa facilmente verso l’economia reale ma viene accumulata in attesa di rinvenire tassi di rendimento più attraenti. Molte istituzioni finanziarie infatti preferiscono accumulare la liquidità extra creata dalla BCE senza far molto di più. Il superamento di questa situazione di trappola della liquidità può avvenire in due modi: in primo luogo attraverso il cosiddetto “helicopter money”, cioè dando denaro direttamente ai cittadini che però – come le banche – potrebbero essere talmente sfiduciati nel futuro da comportarsi come quelle, decidendo quindi di accumulare (risparmiare) il denaro, piuttosto che spenderlo. In secondo luogo attraverso un forte apporto pubblico nella formazione di capitale lordo necessario perché il settore privato è troppo avverso al rischio e per raggiungere obiettivi di più lungo periodo stabiliti anche all’interno di documenti programmatici UE come Europa 2020. Tale apporto non si è manifestato3: anzi, esso si è ridotto dappertutto perché è ovviamente più facile per i governi indotti a tagliare spese, ridurre laddove le resistenze sono meno forti: ovvero nella spesa in conto capitale, sia nella componente investimenti che in quella trasferimenti. In altri termini, sono ancora troppi i paesi stretti nella morsa dell’austerità. Toppo spesso le autorità europee hanno enfatizzato il ruolo delle riforme strutturali per far partire la crescita, ma recenti studi (FMI 2015, De Grauwe e Ji 2015) hanno mostrato che la loro efficacia non è enorme.

D’altra parte anche la CE ha confermato l’importanza dell’investimento, con l’adozione del testo sul cosiddetto Piano Juncker avvenuta il 24 giugno del 2015 istitutivo del Fondo europeo per l’investimento strategico (FEIS)4.

Dunque, così come i valori percentuali rispetto al PIL, anche i valori pro capite concatenati (anno di riferimento 2010) degli investimenti pubblici mostrano un decremento: per l’Italia dai 920 euro del 2009 ai 560 euro del 2014, mentre sembrano crescere solo in paesi di dimensioni più ridotte e per altro solo nell’ultimo anno disponibile della serie (Belgio, Slovenia, Irlanda, Slovacchia). Particolarmente depressa è la situazione dell’investimento pubblico in Spagna dove esso in pochi anni si è più che dimezzato. Appare difficile credere in una duratura crescita di lungo periodo senza che tale componente fondamentale sia riavvivata.

Formazione fissa di capitale lordo pro capite deflazionata (anno di riferimento 2010)



Elaborazione su dati Eurostat. I paesi sono posti in ordine decrescente in base ai valori dell’anno 2014.

L’altra componente della spesa in conto capitale pro capite mostra valori molto alti negli anni e nei paesi coinvolti dai più consistenti salvataggi bancari (Irlanda 2009-2011, Grecia 2013, Slovenia 2013, Cipro e Portogallo 2014) che spesso entrano nei trasferimenti di capitale5. Le banche erano infatti andate in crisi per lo scoppio della bolla immobiliare, o per la perdita di valore dei titoli di stato che avevano acquistato o per un mix delle due cose. A differenza di quanto previsto dalle teorie neoclassiche, il libero movimento dei capitali all’interno di un’area monetaria unica spinge in un primo momento a finanziare i settori più tradizionali (ovvero quelli a più bassa produttività del lavoro e totale dei fattori) dei paesi deboli – essenzialmente il settore delle costruzioni – attraverso credito in eccesso favorito dall’abbassamento dei tassi d’interesse e dall’annullamento del rischio di cambio, con contestuale abbassamento degli standard per ottenere i prestiti. Il boom delle costruzioni porta però ad incremento di prezzi insostenibile che si trasferisce anche a tutti gli altri settori dell’economia, determinando una forte riduzione della competitività intra-area nei confronti dei paesi più forti (da dove i capitali inizialmente provengono). La perdita di competitività deteriora fortemente la bilancia dei pagamenti del paese debole e il meccanismo si rovescia. La bolla scoppia e i prezzi si sgonfiano più o meno velocemente, mentre il flusso di capitali si blocca lasciando economia reale e banche domestiche nei guai6. Queste ultime devono necessariamente essere ricapitalizzate attraverso l’intervento dello Stato, che diviene basilare soprattutto in piccole nazioni in cui il settore finanziario è too big to fail.

In Irlanda, ad esempio, le ricapitalizzazioni bancarie nei 3 anni in questione ammontarono rispettivamente a 11, 44,8 e 24 miliardi di euro. Il settore pubblico (che aveva ottenuto la liquidità necessaria mediante il programma finanziario di aiuto UE-FMI) partecipò con 64 miliardi (40 per cento del PIL, Schoenmaker FMI 2015), mentre altri 15,5 miliardi furono ottenuti dagli obbligazionisti subordinati e da qualche azionista7. L’esperienza cipriota invece fu caratterizzata dall’avvio della clausola di bail in che costituisce sostanzialmente in un taglio dei depositi oltre una certa soglia che si rende necessario per salvare gli istituti di credito8.

Trasferimenti di capitale pro capite deflazionati (anno di riferimento 2010)

 
Elaborazioni su dati Eurostat. I paesi sono posti in ordine decrescente in base ai valori dell’anno 2014.

La spesa in trasferimenti di capitale pro capite italiana era invece molto più in linea con quella degli altri grandi paesi e soprattutto estremamente simile a quella francese (entrambe poco al di sopra i 300-350 euro a testa tenendo come anno di riferimento il 2010).

In definitiva i dati parlano chiaramente. L’austerità ha determinato una caduta dell’investimento pubblico, ovvero della tipologia di spesa più facile da tagliare ma che avrebbe più effetti positivi per combattere una crisi di domanda ormai resa strutturale, mentre in alcuni anni le altre tipologie di spesa in conto capitale del settore sono spesso cresciute per salvare istituti finanziari privati che erano divenuti a rischio a causa degli effetti sopra descritti. Non riusciamo a capire perché si voglia colpire il settore pubblico così pesantemente, tanto più che ha avuto un’indubbia utilità nel (cercar di) salvare le banche. La verità è che non c’è ancora la forza politica per rimuovere le cariatidi di Maastricht perché non rispettarle significherebbe metter di in gioco il totem dell’euro.

1 I dati sugli andamenti temporali per ciascuna delle 19 nazion

i dell’Eurozona sono disponibili su richiesta.

2 I primi dati per il 2015 mostrano invece un decremento della popolazione residente in Italia di circa 120 mila unità.

3 L’apporto pubblico è scoraggiato dalle stesse regole che i membri dell’Eurozona si sono imposti, ovvero che l’investimento pubblico non possa essere finanziato attraverso emissione di titoli pubblici ma solo attraverso entrate fiscali. Ad oggi, molte nazioni dell’Eurozona possono prendere a prestito preziose risorse finanziare quasi gratis e per durate piuttosto lunghe. E ovviamente vi sono progetti d’investimento con tassi di rendimento interni sicuramente superiori a zero in cui quei soldi potrebbero esser spesi. Se i tassi di rendimento di un progetto superano il costo del capitale, essi renderanno più facili i pagamenti del debito (FMI, 2014). In altri termini, ciò che conta non è il debito lordo ma quello netto che si riduce se il tasso di rendimento supera quello d’interesse.

4 Il FEIS cerca di risollevare l’investimento caduto addirittura di 300 miliardi di euro (10 punti percentuali) rispetto al suo trend di lungo periodo (ovvero ad esclusione delle bolle speculative). Tuttavia esso non costituisce assolutamente un piano d’investimenti pan-europeo finanziato attraverso la BEI o gli stati membri (inserendo una volta per tutte la clausola d’esenzione degli investimenti pubblici dalle regole fiscali senza condizionalità alcuna in momenti di grave carenza di domanda aggregata), mediante un diverso utilizzo del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) o anche mediante qualche società veicolo creata ad hoc. I fondi destinati all’iniziativa purtroppo ammontavano a soli 8 miliardi di euro provenienti da una variazione del bilancio comunitario per il periodo 2015-2020, di cui 2,2 provenienti da Horizon 2020, 2,8 da CEF, 3 miliardi dal margine di bilancio. Essi rappresentano il 50 per cento di ciò che la CE si era impegnata a stanziare – ovvero altri 8 miliardi risultavano senza coperture. Altri 5 miliardi provengono invece dai profitti della BEI. Sui 5 miliardi provenienti da H2020 e CEF vi sono degli evidenti costi-opportunità. Il giudizio del piano non è molto positivo poiché la BEI è contraria a prendere rischi importanti e seleziona i progetti in maniera molto prudente, investendo in attività di qualità molto alta. Essa dovrebbe poi accettare una posizione meno dominante all’interno del progetto, concedendo il finanziamento di una quota più piccola per evitare di spiazzare gli investitori privati. È stato calcolato (Bruegel, 2015) che per ottenere un moltiplicatore pari a 15 la quota di finanziamento della BEI dovrebbe scendere da circa il 40 per cento medio al 20 per cento. Da ultimo, essa ha la precedenza nel rimborso dei capitali investiti, elemento questo che non incoraggia l’entrata di altri investitori. Nel complesso l’atteggiamento della BEI appare eccessivamente prudente poiché essa è già garantita da tutti gli stati membri oltre a godere di una buona capitalizzazione. Inoltre né investitori privati né governi potranno iniettare fondi aggiuntivi ma potranno partecipare solo come cofinanziatori dei progetti d’investimento attraverso le banche nazionali di sviluppo (per l’Italia Cassa Depositi e Prestiti). La partecipazione delle banche di sviluppo non può esser considerata un investimento aggiuntivo ma mero utilizzo di fondi stornati da altre iniziative. In definitiva, il piano potrebbe aver successo solo se la BEI finanziasse piani che non sarebbero stati finanziati altrimenti; se fosse meno avversa al rischio; se il numero dei cofinanziatori fosse molto alto (cosa alquanto improbabile viste le aspettative molto depresse), se i progetti finanziati avessero un TIR sempre piuttosto alto e più alto dei progetti tralasciati.

5 Dal punto di vista della contabilità nazionale Eurostat fornisce le linee guida secondo le quali una ricapitalizzazione è da considerare un trasferimento di capitale (e quindi destinata ad aumentare il deficit pubblico.) o mera acquisizione di capitale proprio, costituente transazione finanziaria e quindi non avente impatto sul deficit pubblico. Sovente, lo Stato fornisce capitali alle banche creando degli organismi specifici chiamati “banche cattive” (bad banks) con l’obiettivo di gestire separatamente le attività danneggiate. Il trattamento statistico delle banche cattive è comunque diverso dalla questione relativa alle ricapitalizzazioni bancarie. Quando il settore pubblico acquista azioni quotate di un’istituzione finanziaria, senza prenderne il controllo, è obbligatorio osservare la differenza fra prezzo pagato dal settore pubblico e prezzo prevalente sul mercato. Se tale differenza è positiva, essa dev’essere considerata trasferimento di capitale. Quando invece il settore pubblico fornisce fondi sotto forma di altri strumenti considerati capitale, e comunque all’interno della definizione “Tier 1” (come l’acquisto di azioni privilegiate a tasso di rendimento fisso, che soddisfano le regole UE sugli aiuti di Stato) allora la ricapitalizzazione è considerata transazione finanziaria.

6 Questo meccanismo è stato ben spiegato dagli economisti Roberto Frenkel e Martin Rapetti (Iniciativa para la Transparencia Financiera, Buenos Aires Argentina). Essenzialmente il cosiddetto ciclo di Frenkel è l’equivalente minskyano in economia monetaria internazionale. Quando il cambio è fissato una volta per tutte e i movimenti di capitale sono liberi, il rischio di deprezzamento/apprezzamento ovviamente diviene nullo. La riduzione di questa fonte d’incertezza accresce l’euforia nel mercato del credito transfrontaliero. Ecco spiegata l’espansione creditizia da paesi centrali dotati di ampia disponibilità di capitali, l’iniziale meccanismo di catching-up che si avvia nei paesi più deboli che registrano però – come già accennato nel testo – anche una più forte crescita dei prezzi, dovuta anche all’effetto euforia anche nelle intermediazioni commerciali. A ciò seguono però fallimenti inattesi, liquidazioni, panico quando il ciclo si rovescia. In tale situazione spesso accade anche che i debitori non riescono a pagare più i prestiti ipotecari anche perché la riduzione di prezzo degli edifici, case, appartamenti acquistati diviene talmente forte che il collaterale giunge ad avere un valore inferiore al mutuo da restituire (underwater debtors).

7 Nel 2008, le attività totali bancarie irlandesi erano pari a 1672 miliardi di euro di cui 625 miliardi dal resto dell’UE e 130 dal resto del mondo. Nel 2013 esse erano scese a 972 miliardi di euro di cui 279 dal resto dell’UE e 103 dal resto del mondo (Schoenmaker FMI 2015).

8 Ad inizio 2013, le banche cipriote avevano attività pari ad 8 volte il PIL della piccola repubblica. Nel 2012 esse avevano perso 4 miliardi di euro a causa dalla riduzione del valore facciale del debito pubblico greco che detenevano in gran quantità. Una delle 3 banche principali, la Banca Laiki, fu aiutata dal supporto statale con 1,8 miliardi di euro, ma subito dopo anche il settore pubblico cominciò ad affrontare difficoltà nel proprio rifinanziamento e quindi dovette richiedere aiuto a CE-BCE-FMI così com’era già stato fatto da Irlanda, Grecia e Portogallo. Ma l’aiuto non poté essere utilizzato per i salvataggi bancari poiché sarebbe stato considerato aiuto di stato proibito dalle regole UE. In definitiva i depositanti presso le banche cipriote parteciparono al salvataggio e persero circa 3 miliardi di euro. Al bail-in non parteciparono i numerosissimi depositanti greci perché la BCE e la CE forzarono le banche cipriote a vendere le loro sedi greche in modo tale da salvaguardare i depositanti ellenici dallo shock finanziario dell’isola, tanto più che il Meccanismo Europeo di Stabilità aveva appena dato 40 miliardi di aiuti alla Grecia. Fu creato quindi un vero e proprio euro-cipriota con buona pace dei diritti di proprietà.
 
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Come le centrali della NATO controllano la politica dell’UE sui rifugiati


aprile 28, 2016 1 commento

F. William Engdahl New Eastern Outlook 27/04/2016
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Un fiume incontrollato di profughi di guerra da Siria, Libia, Tunisia e altri Paesi islamici destabilizzati dalle rivoluzioni colorate della ‘primavera araba’ di Washington, ha creato il più grande caos sociale nell”UE, dalla Germania alla Svezia alla Croazia, dalla fine della seconda guerra mondiale. Ormai è chiaro che più di qualcosa di sinistro è in corso, minacciando di distruggere il tessuto sociale del nucleo della civiltà europea. Pochi si rendono conto che l’intero dramma è orchestrato non dalla cancelliera tedesco Angela Merkel, o dagli anonimi eurocrati della Commissione UE di Bruxelles. È orchestrato dalla cabala di think tank della NATO. L’8 ottobre 2015 tra il grande flusso di centinaia di migliaia di rifugiati inondanti la Germania da Siria, Tunisia, Libia e altri Paesi, una nuova e sicura di sé cancelliera tedesco Angela Merkel proclamava in un popolare programma televisivo tedesco che “ho un piano”, occasione per una frecciata tagliente ai partner della coalizione guidatu dal capo della bavarese CSU, Horst Seehofer, critico verso la posizione di accoglienza dei profughi di Merkel nella primavera 2015, che ha visto più di un milione di rifugiati entrare in Germania solo l’anno scorso. Da quel momento, con determinazione di ferro, la cancelliera tedesca ha difeso il criminale regime di Erdogan in Turchia, partner essenziale del suo “piano”. La maggior parte del mondo ha visto con stupore come abbia ignorato i principi della libertà di parola e deciso di perseguire pubblicamente un noto comico della TV tedesca, Jan Boehmermann, per le sue osservazioni satiriche sul presidente turco. Era stupita da come il simbolo della democrazia europea, la cancelliera tedesca, abbia scelto d’ignorare l’imprigionamento da parte di Erdogan dei giornalisti e la chiusura dei media dell’opposizione, procedendo nei piani per imporre di fatto la dittatura in Turchia. Era perplessa per come il governo di Berlino abbia scelto d’ignorare le prove schiaccianti di come Erdogan e la famiglia materialmente favoriscano i terroristi dello SIIL in Siria, in realtà creatori della crisi dei rifugiati. Era stupita di vedere spingere l’UE a consegnare miliardi di euro al regime di Erdogan per il presunto accordo sul flusso di rifugiati dai campi profughi turchi alla vicina UE passando per la Grecia e non solo.

Piano Merkel
Tutte queste azioni apparentemente inspiegabili della una volta pragmatica leader tedesca, sembrano risalire all’adozione di un documento di 14 pagine preparato da una rete di gruppi di riflessione pro-NATO, sfacciatamente intitolato “Piano Merkel”. Ciò che la neo-sicura di sé cancelliera tedesca non disse alla sua ospite Anne Will o ai telespettatori fu che “il suo” piano le era stato consegnato solo quattro giorni prima, il 4 ottobre, come documento dal titolo Piano Merkel, da un neonato think-tank internazionale, ovviamente ben finanziato, chiamato Iniziativa per la Stabilità Europea o ESI. Il sito dell’ESI indica avere uffici a Berlino, Bruxelles e Istanbul, Turchia. Il sospetto è che gli autori de piano ESI l’abbiano intitolato come se provenisse dall’ufficio della Cancelliera tedesca e non da loro. Più sospetto è il contenuto del Piano Merkel dell’ESI. Oltre ad accogliere già più di un milione di rifugiati nel 2015, la Germania dovrebbe “accettare di concedere asilo a 500000 rifugiati siriani registrati in Turchia nei prossimi 12 mesi“. Inoltre, “la Germania dovrebbe accettare le richieste provenienti dalla Turchia… e fornire un trasporto sicuro ai candidati… già registrati presso le autorità turche…” E infine “la Germania dovrebbe accettare di aiutare la Turchia ad avere esenzioni sul visto di viaggio per il 2016“. Il cosiddetto piano Merkel è un prodotto dei think tank legati a NATO-USA e a governi dei Paesi membri della NATO o potenziali soci. La massima “seguire il denaro” è istruttiva in questo caso, per vedere chi realmente dirige l’Unione europea oggi.

ESI
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L’ESI nasce dai tentativi della NATO di trasformare il Sud-Est Europa dopo la guerra istigata dagli USA in Jugoslavia negli anni ’90, portando alla balcanizzazione del Paese e la creazione di una importante base USA e NATO, Camp Bondsteel in Kosovo. L’attuale presidente dell’ESI, direttamente responsabile del documento finale Piano Merkel è il sociologo austriaco residente ad Istanbul Gerald Knaus. Knaus è anche membro del Consiglio europeo per le relazioni estere (ECFR) e dell’Open Society. Fondato a Londra nel 2007, l’ECFE è un’imitazione dell’influente Counsil on Foreign Relations di New York, il think-tank creato dai banchieri Rockefeller e JP Morgan nel corso dei colloqui di pace di Versailles del 1919, per coordinare la politica estera globale anglo-statunitense. Significativamente, il riccone creatore dell’ECFR è il miliardario statunitense e finanziatore delle rivoluzioni colorate George Soros. Praticamente ogni rivoluzione colorata è stata sostenuta dal dipartimento di Stato degli USA dal crollo dell’Unione Sovietica, come in Serbia nel 2000, Ucraina, Georgia, Cina, Brasile e Russia. George Soros e le propaggini delle sue Open Society Foundations finanziano di nascosto ONG e attivisti per la “democrazia” per insediare regimi pro-Washington e filo-NATO. I membri scelti, chiamati membri del Consiglio o associati dell’ECFR londinese comprendono il co-presidente Joschka Fischer, ex-ministro degli Esteri del Partito dei Verdi tedesco che spinse il suo partito ad appoggiare l’illegale bombardamento di Bill Clinton della Serbia nel 1999, privo del sostegno del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Gli altri membri del Consiglio del think tank Counsil on Foreign Relations europeo di Soros includono l’ex-segretario generale della NATO Xavier Solana, il falsificatore ex-ministro della Difesa tedesco caduto in disgrazia Karl-Theodor zu Guttenberg; Annette Heuser, direttrice esecutiva del Bertelsmann Stiftung di Washington DC; Wolfgang Ischinger, presidente della Conferenza sulla sicurezza di Monaco di Baviera; Cem Ozdemir, presidente dei Buendnis90/Die Gruenen; Alexander Graf Lambsdorff, deputato del partito liberale tedesco (FDP); Michael Sturmer, corrispondente Capo del Die Welt; Andre Wilkens, direttore della Fondazione Mercator; il difensore della pederastia al Parlamento europeo Daniel Cohn-Bendit. Cohn-Bendit, noto come “Danny il Rosso” nelle rivolte studentesche francesi del maggio 1968, fu membro del gruppo autonomista Revolutionaerer Kampf (Lotta Rivoluzionaria) a Ruesselsheim, in Germania, insieme al suo stretto alleato e ora presidente dell”ECFR Joschka Fischer. I due continuano ari trovarsi nell’ala “Realo” dei Verdi tedeschi. Le Open Society Foundations è la rete che “promuove la democrazia” esentasse creata da George Soros per promuovere il “libero mercato” pro-FMI dopo il crollo dell’Unione Sovietica, per liberalizzare il mercato delle economie ex-comuniste aprendo le porte al sistematico saccheggio dell’inestimabile patrimonio minerario ed energetico di quei Paesi. Soros fu l’importante finanziatore del team economico liberale di Boris Eltsin, tra cui l’economista da “Terapia d’urto” di Harvard Jeffrey Sachs e il consigliere liberale di Eltsin Egor Gajdar. Già è chiaro che il “Piano Merkel” è il Piano Soros in effetti. Ma c’è di più, se vogliamo comprendere l’ordine del giorno più oscuro dietro il piano.

I finanziatori dell’ESI
L’Iniziativa per la Stabilità Europea, il think-tank di Gerald Knaus collegato a Soros è finanziato da un impressionante serie di donatori. Il suo sito web li elenca; oltre alle Open Society Foundations di Soros, vi è la Mercator Stiftung tedesco legato a Soros, e la Robert Bosch Stiftung. Altro finanziatore è la Commissione europea. Poi, curiosamente la lista dei finanziatori del piano Merkel comprende un’organizzazione dal nome orwelliano, l’United States Institute of Peace. Alcune ricerche rivelano che l’Istituto della Pace degli Stati Uniti non ha nulla a che fare con la pace, essendo presieduto da Stephen Hadley, ex-consigliere dell’US National Security Council dell’amministrazione guerrafondaia neo-con di Bush-Cheney. Il suo consiglio di amministrazione comprende Ashton B. Carter, l’attuale falco neo-con segretario della Difesa dell’amministrazione Obama; il segretario di Stato John Kerry; il Maggiore-Generale Federico M. Padilla, presidente della National Defense University degli Stati Uniti. Questi sono alcuni architetti molto stagionati della strategia del Dominio a Pieno Spettro del Pentagono per il dominio militare mondiale degli USA. Gli autori del “Piano Merkel” dell’Iniziativa per la Stabilità Europea, oltre alla generosità delle fondazioni di George Soros, indica come ‘primo’ finanziatore il German Marshall Fund* degli Stati Uniti. Come ho descritto nel mio libro, il think tank German Marshall Fund è tutt’altro che tedesco; “E’ un think tank statunitense di Washington DC. Di fatto, la sua agenda è la distruzione della Germania del dopoguerra e più in generale degli Stati sovrani dell’UE per adattarli al programma di globalizzazione di Wall Street“. Il German Marshall Fund di Washington è coinvolto nell’agenda del cambio di regime mondiale degli Stati Uniti d’America in combutta con il National Endowment for Democracy finanziato dagli Stati Uniti, le fondazioni Soros e la facciata della CIA chiamata USAID. Come descrivo nel libro, “Il principale obiettivo del German Marshall Fund, secondo la sua relazione annuale del 2013, è sostenere l’agenda del dipartimento di Stato nelle cosiddette operazioni di costruzione della democrazia nei Paesi ex-comunisti dell’Europa orientale e sud- orientale, dai Balcani al Mar Nero. Significativamente il loro lavoro include l’Ucraina. Nella maggior parte dei casi, collabora con l’USAID, ampiamente identificata quale facciata della CIA collegata al dipartimento di Stato, e la Stewart Mott Foundation che finanzia la National Endowment for Democracy finanziata dal governo degli Stati Uniti“. In particolare, la stessa Stewart Mott Foundation finanzia il Piano Merkel dell’ESI, come anche il Rockefeller Brothers Fund. Tutto questo dovrebbe far riflettere da chi e per quali obiettivi è stato firmato l’accordo Merkel-Erdogan sulla crisi dei rifugiati nell’UE. La fazione Rockefeller-Bush-Clinton negli Stati Uniti intende usarlo quale grande esperimento d’ingegneria sociale per creare caos e conflitti sociali nell’UE, mentre allo stesso tempo le loro organizzazioni non governative, come NED, Freedom House e fondazioni Soros, si agitano in Siria, Libia e nel mondo islamico? La Germania, secondo l’ex-consigliere del presidente degli Stati Uniti e amico intimo dei Rockefeller, Zbigniew Brzezinski, è il “vassallo” degli Stati Uniti nel mondo post-90? Finora, c’è la prova abbastanza netta che sia così. Il ruolo dei think tank collegati a Stati Uniti e NATO è fondamentale per comprendere come la Repubblica Federale di Germania e l’Unione europea siano in realtà eterodirette da oltre Atlantico.
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*Il German Marshall Fund è anche l’ente che ha creato e promosso l’orrido mostriciattolo nazipiddino euroatlantista Federica Mogherini. NdT.

F. William Engdahl è consulente di rischio strategico e docente, laureato in politica alla Princeton University, è autore di best-seller su petrolio e geopolitica, in esclusiva per la rivista online “New Eastern Outlook“.

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
 

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