HELICOPTER MONEY. LE SOLUZIONI NASCOSTE, MA NON TROPPO, NEI "POTERI IMPLICITI"
(Questo post potrà avere altre versioni ove dovesse essere pubblicato in altre sedi, più scientifiche o più divulgative....)
1. Ho conosciuto Carlo Clericetti all'ultimo Goofynomics-4 e mi ha fatto un'ottima impressione, riferendosi al panorama "tipico" dei giornalisti italiani di economia e finanza.
Clericetti, in un
articolo su Repubblica.it, (il che è tutto dire), commenta l'uscita di
Tabellini relativa all'adozione, da parte della BCE, della "estrema misura" (reflattiva, ma non si deve dire "troppo") contemplata dalla teoria monetarista: lo "Helicopter Money", secondo la celebre metafora usata dallo stesso Milton Friedman (e
endorsed by Ben Bernanke", tanto da farlo definire "Helicopter Ben").
L'articolo ci ragguaglia sulla portata concreta della proposta appoggiata da Tabellini e si attesta su una visione pragmatica,
confortata dalla citazione di questo post di Alberto Bagnai, circa il fatto che la monetizzazione non è causa di inflazione incontrollata (l'ennesima mitologia tecno-pop che ha fornito la corda cui si sono volentieri impiccati i governi dell'eurozona).
2. Intendiamoci,
Draghi ha negato di aver "alluso" a tale soluzione, limitandosi, a quanto pare, a non affermarne l'assurdità logico-economica.
D'altra parte, "il dibattito" è palesemente già aperto sul punto: il che è indice di una certa qual disperazione nel campo dei neo-liberisti in cerca di affannose conferme che se le cose non vanno è perché non si sono fatte abbastanza riforme deflattive del lavoro e "liberalizzatrici" sul lato dell'offerta (che provvede immancabilmente a se stessa, secondo l'augusta legge di Say).
Aveva dato il via, almeno nella risonanza mediatica, la nostra vecchia conoscenza Peter Praet (
quello che negava che la deflazione fosse una minaccia attuale, avendo poi, peraltro, una incrollabile fiducia nel QE), che essendo un membro del Board della BCE,
non può dirsi un estraneo che dà fuoco alle polveri:
3. Ma pure il FMI, nel suo "piccolo", pone all'ordine del giorno una proposta di taglio della pressione tributaria finanziata dall'
elicotterismo, formulata da
Adair Turner. L'idea è che l'alternativa di lasciare alle polveri bagnate delle politiche monetarie non convenzionali delle BC, e ai tassi di interesse in territorio negativo, la soluzione (fallita) dei problemi, presenti ormai dei rischi di instabilità finanziaria più che temibili.
Krugman, a sua volta, nel considerare l'ipotesi ci ha già regalato un'icastica formula descrittiva delle sue ("BC
credibilmente irresponsabili", in relazione all'esigenza che l'allargamento della base monetaria, rifornendo direttamente gli Stati, debba essere necessariamente permanente, cioè, appunto, una monetizzazione attuata non solo acquistando i titoli, ma rinnovando gli acquisti, per tale ammontare, ad ogni futura scadenza) e ne parlano apertamente
anche i commentatori del Wall Street Journal.
4. Sia detto subito che,
anche voci orientate alla contrarietà teorica su misure del genere, suggeriscono che l'acquisto, corredato dalla sua
permanenza, potrebbe essere effettuato dalla BCE, quale banca centrale indipendente "pura", sul mercato secondario, cioè senza violare il
divieto di acquisto diretto all'emissione posto dall'art.123 TFUE.
Tenendo conto di questo quadro di opinioni qualificate (per la loro provenienza dal campo avverso alle teorie keynesiane) già assommatesi sul punto, l'articolo di Clericetti descrive, per lo statuto giuridico dell'eurozona, uno scenario di
difficoltà quasi del tutto insormontabili. Sicuramente dal punto di vista politico, dato che ci si dovrebbe imbarcare in una modifica dei trattati: persino l'aggiramento formale dell'art.123, con l'acquisto sul mercato secondario, avrebbe difficoltà a essere attuato, dato che il board BCE che delibera l'avvio del programma di acquisto, non può garantire la continuità di questo orientamento alle varie scadenze, che sarebbero affidate, per non vanificare l'effetto di una vera monetizzazione, alla composizione, impronosticabile, di futuri board successori dell'attuale, che non sarebbero normativamente obbligati a confermare la decisione intrapresa in precedenza.
5. Clericetti, riassume le difficoltà tecnico-normative evidenziate da Tabellini e poi conclude con una nota, certamente sensata, di scetticismo:
"...ci sono due problemi.
Il primo è che così la banca centrale sconfinerebbe nella politica fiscale, che non è tra i suoi compiti; e il secondo è che ciò le farebbe perdere la sua indipendenza. Ma "l’indipendenza e legittimità della banca centrale possono essere pienamente preservate, in questo modo: in circostanze eccezionali, la banca centrale può dichiarare che ha esaurito gli strumenti convenzionali, e che pertanto effettuerà un trasferimento permanente a favore del governo (o dei governi nell’area euro). L’importo trasferito è scelto discrezionalmente dalla banca centrale, può essere diluito nel tempo, ed è motivato dalle circostanze economiche.
Il governo (o i governi) non possono in alcun modo interferire con la decisione unilaterale della banca centrale, ma scelgono liberamente come disporre della somma trasferita: se e come distribuirla ai cittadini, se usarla per finanziare particolari voci di spesa, o per ritirare debito pubblico o semplicemente se accantonarla per il futuro. Naturalmente, se davvero le circostanze sono eccezionali, la pressione politica costringerebbe i governi a distribuire o spendere questa somma, raggiungendo così l’obiettivo di un effettivo coordinamento tra politica monetaria e fiscale".
Tutto ciò richiederebbe una modifica del Trattato di Maastricht, ma, conclude Tabellini, non c'è una ragione valida per non cambiarlo.
"...Comunque
questi "elicotteristi" sanno di parlare al vento.
La proposta, chiamata col suo nome e realizzata come si deve,
sarebbe più che sensata,
ma questo non le dà più probabilità di essere adottata delle tante altre proposte sensate che sono state fatte negli ultimi anni e di cui non s'è fatto nulla per l'opposizione della Germania e dei suoi satelliti. I tedeschi hanno in testa la loro idea di come debba funzionare l'Unione europea e non ci rinunciano, non cedono di un millimetro e anzi rilanciano con nuove proposte deleterie per evitare ogni più lontano rischio che si crei una situazione che richieda un intervento solidale dei paesi membri, cioè di usare anche "i loro soldi". Certo, in questo modo rendono sempre più probabile che si arrivi a una rottura traumatica, ma evidentemente sono convinti di avere da perdere, in quel caso, meno degli altri. Continuiamo così ad andare avanti tra i proclami che ci vuole "più Europa" mentre stiamo facendo di tutto per distruggere quella che c'è."
6. Nonostante questa conclusione sia in linea di massima quasi obbligata e ampiamente condivisa ("
la Germania si sa..."),
potremmo fare due obiezioni. La prima è interna alla riferita opinione dominante, di scetticismo sulla realizzabilità della monetizzazione per via del divieto, o sulle difficoltà normative comunque e senza dubbio insite nei trattati.
E cioè, affermare che
i trattati siano o meno veramente immodificabili,
politicamente, è qualcosa che presuppone una verifica che, però, non giunge mai a concretizzarsi:
e cioè presuppone che qualcuno, cioè uno o più Stati-membri dell'eurozona, attivi il relativo procedimento di revisione.
Nessuno impedisce di farlo all'Italia, alla Francia o alla Spagna (anche messe insieme come proponenti congiunte): la formazione di maggioranza, come abbiamo visto, non basta, occorrendo
l'unanimità, ma nondimeno, questa
volontà maggioritaria avrebbe effetti notevoli, potendo innescare un processo di "conta" che, a sua volta, se veramente lo si sostenesse con queste ferme intenzioni,
potrebbe condurre la Germania a più miti consigli.
Se non altro perché la ripresa dei redditi e dei consumi interni, andando proporzionalmente alla stessa Germania la fetta più grande di liquidità "regalata dall'elicottero" (cosa che, tra l'altro, la farebbe rientrare in
deficit spending rispetto alla situazione attuale), certo non farebbe male né alla sua domanda interna né alle sue esportazioni;
anche se forse farebbe "meglio" alle importazioni dagli altri Stati in Germania.
Oppure, magari, il ritrovarsi in stabile minoranza di fronte ai partners più importanti (rispetto al suo ostinato mercantilismo),
potrebbe condurla a prendere atto di "non capirsi" con tutti gli altri €uropei e a lasciare l'eurozona con un ragionevole negoziato.
7. Ma la seconda alle predette conclusioni obiezione è più pratica.
In realtà,
di fronte a una forte volontà politica, - chiamiamola così e non fingiamo che l'indipendenza della banca centrale sia "apolitica", laddove è piuttosto solo avulsa dal processo elettorale (cioè democratico)-,
la cosa potrebbe rivelarsi attuabile sfruttando le già esistenti prese di posizione di quello che, in chiave di ordinamento UE, è l'organo che, secondo la (pur atipica)
rule of law dell'eurozona ha l'ultima parola e che, in qualche modo, l'ha già espressa. Cioè
la Corte di giustizia UE.
Difatti, come abbiamo visto
nel post a commento della sentenza CGUE sulla OMT, la Corte ha affermato due cose in sé non proprio coerenti tra di loro, ma che hanno il pregio di essere state affermate, cioè di costituire uno
stare decisis che l'ordinamento europeo considera di livello normativo, cioè integrante le stesse fonti del proprio "diritto".
La Corte, in un complesso viluppo di argomentazioni, certamente soggette a una buona dose di incertezza interpretativa (ma tale "vaghezza" è una sua strategica e consolidata tradizione),
ha sostanzialmente già affermato, abbiamo detto, due cose (le riassumo con un certo riduzionismo, consapevole che una lettura completa esige una consapevole conoscenza delle teorie economiche e dell'ordinamento giuridico europeo, che difficilmente sono compresenti in qualsiasi interprete, perciò vi dovrete fidare delle mie conclusioni):
a) che
le politiche monetarie rientrano (abbastanza ovviamente)
nella competenza esclusiva della BCE ma che, ed è questo il "punto forte" del ragionamento desumibile dalla sentenza, esse includono il
garantire l'efficacia dei meccanismi di trasmissione monetaria e, quindi, è obiettivamente desumibile una serie di poteri impliciti della BCE (
implied powers che sono una prerogativa "ontologica", secondo altre pronunce della Corte, insita nella
mission di ogni istituzione europea), che travalicano le forme comuni e "convenzionali" di politica monetaria;
b)
che, comunque, anche se così non fosse, sul piano del rigore delle norme dello Statuto BCE, misure eccezionali per garantire i meccanismi di trasmissione monetaria, sono adottabili in un quadro di accordo congiunto degli organi europei competenti.
Infatti:
"Le caratteristiche specifiche del programma OMT non consentono di affermare che esso sia equiparabile a una misura di politica economica.
Per quanto riguarda il fatto che l’attuazione del programma OMT è subordinata al rispetto integrale, da parte degli Stati membri interessati, di programmi di aggiustamento macroeconomico del Fondo europeo di stabilità finanziaria (FESF) o del Meccanismo europeo di stabilità (MES), non si può certo escludere che tale caratteristica abbia incidenze indirette sulla realizzazione di taluni obiettivi di politica economica. Tuttavia, simili incidenze indirette non possono implicare che il programma OMT debba essere considerato come
una misura di politica economica, poiché risulta dai Trattati dell’Unione che, fatto salvo l’obiettivo della stabilità dei prezzi, il SEBC contribuisce alle politiche economiche generali nell’Unione".
8. Per quanto riguarda il primo punto, cioè i
l concetto "mobile", o meglio "espandibile" di politica monetaria, il limite della coerenza con la scienza economica, - che in pratica è quello di un univoco intendimento della teoria monetarista, che appare obiettivamente richiamata dalla Corte, essendo alla base della concezione della BCE e dei trattati-,
non ha ormai soverchia importanza: le politiche monetarie, per Friedman, coincidono essenzialmente con le politiche economiche, avendo il solo complemento esterno di limitati interventi
supply side da parte degli Stati, ma poco importa.
Ormai, l'OMT (che è un atipico QE che rompe l'unità centralizzata della politica monetaria affidata alla BCE), nonostante la sua sostanziale inattuazione,
è stata definita nell'alveo delle politiche monetarie e, d'altra parte, questa lettura vale a ricomprendere, per espressa affermazione (normativa) della CGUE, l'intera attivazione della gamma composita dei meccanismi di trasmissione monetaria.
Tra questi meccanismi, indubbiamente, per quanto circondato da una definizione "pittoresca" e da una certa ironia crepuscolare sullo stesso monetarismo,
rientra l'escogitazione dell'Helicopter Money: operabile, col precisato carattere di permanenza, sul mercato secondario per non violare l'art.123 fatidico.
9. Circa il secondo punto b) (adozione di misure "monetarie" in accordo con le istituzioni competenti), è qui che la sentenza della CGUE rivela il suo
carattere aperturista alla monetizzazione: una volta entrata (con non meno diritto dell'OMT) nell'alveo delle politiche monetarie, la sua attuazione dipende, non tanto, e in modo abbastanza ovvio, dalla conformità ai programmi di aggiustamento FESF o MES, che non entrano per definizione in gioco in questo caso,
ma dall'orientamento che, su questi programmi, volessero assumere gli organi comunitari che predeterminano i contenuti di tali programmi (cioè da parte degli effettivi decidenti).
In pratica
è raggiungibile, senza dover intraprendere alcuna procedura di revisione dei trattati,
un accordo coordinato tra BCE, raggiungendosi nel suo Board la dovuta maggioranza,
Eurogruppo, che in base al combinato disposto degli artt.136 e 238, par.3, lett.a) del TFUE può deliberare in modo vincolante con la maggioranza del 55% dei voti ponderati dei membri dell'eurozona purché rappresentino il 65% della popolazione interessata,
e Commissione (sempre che questa possa raggiungere una maggioranza in contrasto con la volontà della Germania).
10. Si tratta evidentemente di un accordo che
richiede una forte convinzione e coesione degli Stati maggioritari (per voto ponderato e per popolazione), tale da riflettersi coerentemente, ma non impossibilmente,
in tutte e tre tali sedi istituzionali.
Il presupposto, esplicitato dalla CGUE, è peraltro che tali organismi, tutti insieme,
decidano che i programmi di aggiustamento macroeconomico, - dettati dalla varie decisioni del Consiglio e dell'Eurogruppo, ribaditi nel monitoraggio sui bilanci da parte della Commissione, e di frequente apertamente "consigliati" dalla BCE (in "lettere" e dichiarazioni pubbliche)-,
siano considerati sufficientemente rispettati e non ulteriormente inaspribili: almeno nel senso che la
monetizzazione sia, allo stato, considerata una
misura politico-monetaria e fiscale prioritaria su ogni altra, nel garantire un meccanismo di trasmissione della politica monetaria ritenuto a questo punto indispensabile.
11. Insomma, volendo, dipende tutto da "loro": se si mettessero d'accordo e volessero intraprendere una via emergenziale,
dovrebbero soltanto ammettere che questa è alternativa alla prosecuzione dell'applicazione "condizionale" del fiscal compact.
Certo,
sconfessando se stessi in modo piuttosto evidente: ed è questo forse
il principale ostacolo psicologico e culturale. Cioè politico:
ammettere di essersi sbagliati, per fare qualcosa che, però, salvi l'eurozona.
Uno strano dilemma, che esige di agire "come se" le Costituzioni e la democrazia esistessero, coi loro vincoli sostanziali, ma dandogli una veste che non rinneghi il monetarismo (e non riaffermi la democrazia). Correrebbero mai questo rischio?
Forse, se lo facessero prima altre banche centrali importanti, come la Fed o la BOE...
Pubblicato da
Quarantotto a
11:20
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2 commenti: