in Italia ci sono gli schiavi e poi ci sono LORO

dopo avrci derubato a mani bassi
ora fingono come vergini cucce di interessarsi alla popolazione
ovvio dei pensionati nun si può dire nulla
hanno il grave torto di essere vivi


FINANZIARIA: ANGELETTI, AUMENTARE SALARI E RIDURRE TASSE
(ANSA) - BARI, 11 SET - "Il fatto che continuiamo a crescere
meno degli altri Paesi europei dimostra ancora una volta che, se
non aumentano la domanda interna e i consumi, il Pil non
aumenterà sicuramente solo per le esportazioni. Per questo
bisogna aumentare un po' i salari e diminuire un po' le tasse
solo ai lavoratori dipendenti, questo è il nostro programma per
la Finanziaria". Lo ha detto il segretario generale della Uil,
Luigi Angeletti, partecipando a Bari ad un convegno nella Fiera
del Levante.
"In Italia milioni di persone che sono lavoratori dipendenti
si stanno progressivamente impoverendo". "E' chiaro - ha detto
ancora - che il tono della domanda interna e dei consumi non
sale e se non sale, la nostra crescita continuerà ad essere la
metà della media dell'Unione Europea". "Questa è la vera
emergenza del Paese - ha proseguito - tra l'elenco infinito dei
nostri problemi quello che è strategicamente importante è che
i lavoratori dipendenti in questo Paese si stanno impoverendo".
"Anche nel 2006 e nel 2007 - ha concluso - questo impoverimento
é proseguito: noi abbiamo i salari più bassi e le tasse più
alte in Europa, quindi bisogna aumentare un po' i salari e
diminuire un po' le tasse solo ai lavoratori
dipendenti".(ANSA).
 
dopo avrci derubato a mani bassi
ora fingono come vergini cucce di interessarsi alla popolazione
ovvio dei pensionati nun si può dire nulla
hanno il grave torto di essere vivi


FINANZIARIA: ANGELETTI, AUMENTARE SALARI E RIDURRE TASSE
(ANSA) - BARI, 11 SET - "Il fatto che continuiamo a crescere
meno degli altri Paesi europei dimostra ancora una volta che, se
non aumentano la domanda interna e i consumi, il Pil non
aumenterà sicuramente solo per le esportazioni. Per questo
bisogna aumentare un po' i salari e diminuire un po' le tasse
solo ai lavoratori dipendenti, questo è il nostro programma per
la Finanziaria". Lo ha detto il segretario generale della Uil,
Luigi Angeletti, partecipando a Bari ad un convegno nella Fiera
del Levante.
"In Italia milioni di persone che sono lavoratori dipendenti
si stanno progressivamente impoverendo". "E' chiaro - ha detto
ancora - che il tono della domanda interna e dei consumi non
sale e se non sale, la nostra crescita continuerà ad essere la
metà della media dell'Unione Europea". "Questa è la vera
emergenza del Paese - ha proseguito - tra l'elenco infinito dei
nostri problemi quello che è strategicamente importante è che
i lavoratori dipendenti in questo Paese si stanno impoverendo".
"Anche nel 2006 e nel 2007 - ha concluso - questo impoverimento
é proseguito: noi abbiamo i salari più bassi e le tasse più
alte in Europa, quindi bisogna aumentare un po' i salari e
diminuire un po' le tasse solo ai lavoratori
dipendenti".(ANSA).
 
Ma quale antipolitica
http://www.canisciolti.info/articoli_dettaglio.php?id=8369


A vedere i telegiornali di regime, cioè praticamente tutti, sabato a Bologna e nelle altre piazze non è successo niente (molto spazio invece al matrimonio di Baldini, l’amico di Fiorello). A leggere i giornali di regime (molti), il V-Day è stato il trionfo dell’«antipolitica», del «populismo», del «giustizialismo» e del «qualunquismo». In un Paese che ha smarrito la memoria e abolito la logica, questa inversione del vocabolario ci sta tutta: la vera politica diventa antipolitica, la partecipazione popolare diventa populismo, la sete di giustizia diventa giustizialismo, fare i nomi dei ladri anziché urlare «tutti ladri» è qualunquismo.

E infatti, che il V-Day fosse antipolitico, populista, giustizialista e qualunquista, lorsignori l’avevano stabilito prim’ancora di vederlo, di sapere che cos’era. A prescindere. Non sapevano e non sanno (non c’erano) che per tutta la giornata, in 200 piazze d’Italia e all’estero, migliaia di giovani dei Meet-up grilleschi hanno raccolto 300 mila firme (ne bastavano 50 mila) in calce a una proposta di legge di iniziativa popolare che chiede il divieto per i condannati di entrare in Parlamento, il tetto massimo di due legislature per i parlamentari e la restituzione ai cittadini del diritto di scegliersi i propri rappresentanti sulla scheda elettorale. Cioè hanno esercitato un diritto previsto dalla Costituzione, quello di portare all’attenzione delle Camere tre questioni «politiche» quant’altre mai. E l’hanno fatto con l’arma più antica e genuina di ogni democrazia: la manifestazione di piazza.

Quella piazza che, quando la occupano Berlusconi e Bossi e Casini e Mastella per chiedere cose incostituzionali, tutti invitano ad «ascoltare». E quando la occupano un milione di persone senza etichette né bandiere (tante erano mal contate, sabato, da Bologna a New York, se alle 20 i firmatari della petizione erano 300 mila, altrettanti erano ancora in fila a mezzanotte e molti di più avevano desistito per fare ritorno a casa) diventa un obbrobrio da ignorare e rifuggire.

Mentre, nel V-Day after, riparto da Bologna per tornare a casa, chiamo Beppe Grillo per commentare a mente fredda: lui mi racconta, ridendo come un pazzo, che gli ha telefonato il suo vecchio manager, «Cencio» Marangoni, per dirgli che a Villanova di Bagnacavallo c’è ancora la fila ai banchetti. E a Villanova di Bagnacavallo sono quattro gatti, perlopiù di una certa età, e chissà come han fatto a sapere che c’erano i banchetti visto che non l’ha detto nessuna tv e quasi nessun giornale. Ma se a Villanova di Bagnacavallo si firma ancora, forse questa non è antipolitica: questa è superpolitica.

È antipolitica difendere la dignità del Parlamento infangata dalla presenza di 24 pregiudicati e un’ottantina di indagati, imputati, condannati provvisori e prescritti? È antipolitica chiedere di restituire la sovranità al popolo con una legge elettorale qualsiasi, purchè a scegliere gli eletti siano gli elettori e non gli eletti medesimi? È antipolitica pretendere che la politica torni a essere un servizio che si presta per un limitato periodo di tempo (dieci anni al massimo), dopodichè si torna a lavorare o, se s’è mai fatta questa esperienza, si cerca un lavoro come tutti gli altri? È antipolitica chiedere rispetto per i magistrati e dire grazie a Clementina Forleo e ai giudici indipendenti come lei?

Chi era a Bologna in piazza Maggiore, o in collegamento nel resto d’Italia e all’estero, ha visto decine di migliaia di persone restare in piedi da mezzogiorno a mezzanotte. Ha sentito Grillo chiedere il superamento «di questi» partiti, i partiti delle tessere gonfiate, dei congressi fasulli, delle primarie dimezzate (vedi esclusione di Furio Colombo, Di Pietro e Pannella), della legge uguale per gli altri; smentire di volerne creare uno nuovo; e rammentare che gli «abusivi» da cacciare non sono ambulanti e lavavetri, ma politici e banchieri corrotti o collusi.

Un economista, Mauro Gallegati, spiegare i guasti del precariato in un mercato del lavoro senza mercato e senza lavoro. Un grande architetto come Majowiecki illustrare i crimini cementiferi che i suoi colleghi seminano per l’Italia e per l’Europa con la complicità di amministratori scriteriati, e le possibili alternative verso un modo «leggero» di pensare e costruire città e infrastrutture. Alessandro Bergonzoni spiegare la partecipazione democratica con una travolgente affabulazione («Chi è Stato? Io sono Stato»). Un esperto di energie alternative come Maurizio Pallante raccontare quel che si potrebbe fare nel settore ambientale ed energetico al posto di inceneritori, termovalorizzatori, centrali a carbone e treni ad alta velocità per le mozzarelle. I ragazzi di Locri lanciare l’ennesimo grido di dolore dalla Calabria della malavita e della malapolitica.

Il giudice Norberto Lenzi rischiare il procedimento disciplinare per avvertire che il berlusconismo è vivo e lotta insieme a noi, anche a sinistra. Sabina Guzzanti prendere per i fondelli la deriva fuffista e conformista dell’informazione. I genitori familiari di Federico Aldovrandi raccontare, in un silenzio misto a lacrime, la tragedia del figlio morto due anni fa durante un «controllo di polizia». Massimo Fini tenere una lezione sul tramonto della democrazia rappresentativa citando Kelsen, Mosca e Pareto. Il giornalista Ferruccio Sansa sintetizzare la sua inchiesta sul «tesoretto» da 100 miliardi di euro che lo Stato non ha mai riscosso dai concessionari, spesso malavitosi, dei videopoker e altri giochi, una mega-evasione fiscale scoperta dal pm Woodcock e dalla Guardia di Finanza, ma coperta da incredibili silenzi governativi.

Alla fine ho parlato anch’io: ho ricordato Lirio Abbate minacciato dalla mafia; ho cercato di spiegare che la tolleranza zero deve cominciare, come nella New York di Giuliani, dai mafiosi e dai corrotti, non dai lavavetri e dagli ambulanti; e ho difeso Cofferati, che avrà tanti difetti, ma non quello di partire dai poveracci, visto che prima ha preteso legalità dagli imprenditori sullo Statuto dei lavoratori. Ho fatto parecchi nomi e cognomi, come tutti gli altri sul palco di piazza Maggiore. Ora scopro che fare i nomi sarebbe «qualunquismo»: e parlare in generale per non dire niente, allora, che cos’è?

P.S. Ho trascorso l’intero pomeriggio sotto il palco e sul palco, e mai ho sentito parlare non dico «contro» Marco Biagi, ma «di» Marco Biagi. Il nome «Marco Biagi» non è mai strato citato per esteso. S’è parlato un paio di volte della legge 30 che abusivamente il governo Berlusconi (trufolo) intestò al professore assassinato, che non poteva più ribellarsi, mentre un ministro di quel governo lo chiamava «rompicoglioni».
E ne ha parlato Grillo per chiedere di riformarla, insieme alla legge Treu, aggiungendo che però «il vero problema non sono neppure le leggi: è che in Italia non c’è lavoro».

Lo dico perché un amico, l’ex giudice ora assessore Libero Mancuso, che nessuno ha visto alla manifestazione, ha parlato di presunte «offese a Biagi». Posso assicurare che se qualcuno, dal palco, avesse davvero mancato di rispetto a Marco Biagi, su quel palco nessuno di noi, nemmeno Grillo, sarebbe rimasto un minuto di più.

Marco Travaglio
da L'Unità
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Chi distrugge la politica

«Maestà il popolo ha fame, manca il pane». «Dategli le brioches!». Viene in mente il celebre dialogo del dignitario di corte con Maria Antonietta vedendo le misure che i leader politici italiani propongono di adottare dopo la giornata di sabato scorso, passata alle cronache come il Vaffa-day di Beppe Grillo. Che cosa chiedono gli italiani che si sono sentiti rappresentati da quelle piazze? Chiedono che i «rappresentanti» vengano scelti dai loro «rappresentati»; che non è, ammettiamolo, un princìpio così bizzarro in una democrazia, ma anzi è il fondamento della democrazia. Mentre abbiamo una legge elettorale che proprio di questo ha fatto piazza pulita: la possibilità del cittadino di scegliersi chi lo rappresenta in Parlamento. Una legge che, tra i deputati e i senatori, ha aumentato i funzionari di partito del 250 per cento. E che ha giocato un ruolo cruciale nell´alimentare la rabbia popolare.

Chiedono ancora, gli italiani che si sono sentiti rappresentati da quelle piazze, che in parlamento non siedano più i condannati per i reati più diversi, compresi i più gravi. Per dire forte e chiaro che le istituzioni parlamentari sono incompatibili con il crimine o con l´illegalità.

E la politica come risponde a chi chiede di potere votare e di non avere condannati in parlamento?
Diminuiamo i ministri. Ottimo. Come le brioches.
Perché il numero dei ministri e dei sottosegretari poteva e doveva essere tenuto a bada all´atto della formazione del governo, quando partiti e correnti si scatenarono nel rivendicare posti e postazioni di controllo. Ma le richieste di sabato scorso sono chiare, fondatissime, non consentono fughe. Perché sono, appunto, il «pane» della democrazia. E attendono risposte. Quali? Per esempio, più che parlare di ridurre i ministri (che va sempre bene, per carità), il partito democratico avrebbe un´arma straordinaria per dimostrare di avere inteso il messaggio del popolo dei blog.

Potrebbe dire: purtroppo la legge elettorale l´hanno voluta quelli del centrodestra, ma noi nella democrazia ci crediamo per davvero; dunque là dove possiamo decidere autonomamente si torna alla libera scelta dei propri rappresentanti. E quindi sapete che vi diciamo? Che, alleluia, il 14 ottobre per le primarie si torna alla preferenza; e le liste bloccate le buttiamo finalmente alle ortiche perché non fanno parte della nostra cultura. E poi vi diciamo pure che avete ragione a non volere condannati per gravi reati in parlamento. In effetti, come si fa a chiedere sacrifici e rischi a magistrati e forze dell´ordine quando tra quelli che fanno le leggi ci sono anche coloro che le hanno violate?

È stupefacente la difficoltà che ha la politica nel rispondere del proprio operato. Mostra la coda bagnata, fa annunci e promesse a raffica. Ma di facciata. A volte si esercita in truffe semantiche (come quando il finanziamento dei partiti venne sostituito con i rimborsi elettorali). Di più: spesso, addirittura, proprio avendo la coda bagnata, asseconda senza dignità le pulsioni demagogiche che inevitabilmente si scatenano dentro i moti di rabbia e di contestazione. Magari immaginando che per mostrarsi «vicini ai cittadini» basti andare in tivù a ridere e ballare e a far da spalla al comico di turno (che politico simpatico, lui sì che è come noi).

Già, perché mentre opta per le brioches la politica evita anche di difendere se stessa rinunciando a combattere i luoghi comuni. Perciò (guarda che mi tocca fare... ma qui bisogna sapere andare controcorrente sia rispetto ai partiti sia rispetto alla piazza...) dico che essa, mentre è chiamata a cambiare il cuore delle regole, deve anche sentire la responsabilità di dare ai cittadini informazioni corrette sulla «materia infiammabile» di questi mesi. Che mentre deve bonificare radicalmente i territori inquinati, dalle prebende a pioggia e incontrollate agli attici di favore, deve sapere difendere o spiegare ciò che va difeso o spiegato. Giusto per «pulire» il campo. Perché non diventi tutto uno stesso mazzo di vergogne. Ad esempio i famosi viaggi gratis dei parlamentari.

Che esprimerebbero, si dice, un privilegio di deputati e senatori di fronte alla società civile. Ma perché non dire che è proprio la società civile che beneficia di quei viaggi gratis, ossia le centinaia e centinaia di circoli, associazioni, scuole, cineforum, biblioteche, riviste, che sanno di potere invitare un parlamentare per dare slancio e forza alle loro iniziative senza dovere pagare il costo di un aereo o di un treno? Perché non dire, anzi, che questo privilegio rientra esattamente nei calcoli di chi organizza e invita, il quale mai - altrimenti - potrebbe permettersi di sopportare i costi del convegno o del dibattito o del cineforum? Perché far credere al cittadino che questo privilegio venga usato per farsi crociere personali quando in più anni l´unico desiderio che io e tanti altri abbiamo avuto è stato quello di festeggiare l´arrivo delle vacanze estive con una settimana di sosta a casa, provvidenziale riposo dopo un anno passato a viaggiare in frenesia (fine delle votazioni in aula-partenza-dibattito serale-rientro all´alba)?

Naturalmente si può discutere se questo sia giusto o no. Probabilmente non lo è. Fatto sta che (salvi, accidenti!, gli aerei di Stato per usi di svago) questo è l´uso che centinaia di parlamentari fanno di quel «privilegio»: metterlo al servizio, farne una forma di finanziamento indiretto, della democrazia diffusa, della società civile.

Oppure ancora, altro esempio: perché continuare a presentare come una forma di moralizzazione politica la abolizione del Senato? Davvero crediamo che i nostri padri costituenti non sapessero o capissero nulla di politica e di meccanismi istituzionali? O forse nel tempo non si è mostrata ancora più lungimirante la loro previsione? Quella cioè che fosse necessaria una doppia lettura delle leggi per metterle al riparo dalle consorterie ambientali o dagli stati emotivi di massa? Forse che nella società dei media non è ancora maggiore il pericolo che un evento o una campagna d´opinione scatenino istinti e sentimenti, travolgendo il buon senso e portando una camera a votare un provvedimento del quale essa si potrebbe vergognare dopo una settimana? Non dice nulla il caso della cura Di Bella? E davvero pensiamo che se fosse stato rispettato lo spirito del bicameralismo (il «raffreddamento» invece della corsa forsennata), sarebbe passata una legge sciagurata come quella dell´indulto?

O infine, per andare alla terza richiesta del «popolo di Grillo». Perché non dire che il tetto dei due mandati parlamentari, oltre a cozzare con il principio della libera scelta degli elettori (lo stesso, si badi, invocato contro le liste bloccate) può abbassare proprio la qualità dei rappresentanti? Un conto è diffidare dei senza mestiere che si installano per una vita in parlamento. Altro è precludere alle istituzioni di potersi servire anche a lungo di persone di qualità. Ricordo, per capirsi, la delusione che provai quando Stefano Rodotà mi annunciò che non si sarebbe più ricandidato. La prima cosa che pensai fu che il parlamento perdeva qualcosa. E, se può servire la mia esperienza, devo dire (ora che non sono più parlamentare) che, delle tre legislature che ho fatto, quella in cui ho potuto dare il massimo al Paese è stata la terza. Perché quando sulla scena si scatenano i poteri forti dell´ economia e dei media è utile, decisivo perfino, avere almeno parlamentari di esperienza.

Ecco. Ho fatto solo tre esempi. Per dire che spesso si scelgono bersagli falsi. Agnelli sacrificali, alternativamente, per deviare la rabbia o per esasperarla. E per dire che chi fa politica con passione ha dieci volte il dovere di spiegarlo. E magari di dire pure che la proposta di rendere ineleggibili i condannati non è nata sabato scorso ma è già stata presentata e portata al voto in commissione (perdendo) nella scorsa legislatura da un gruppo di senatori. Giustissimo firmarla e presentarla di nuovo. Ma dei parlamentari - non complici, non accidiosi - ci avevano già pensato prima. Così come quaranta parlamentari, non altri, convocarono la famosa manifestazione di piazza Navona nel 2002 per una legge «uguale per tutti». Il rischio insomma è sempre lo stesso. Ed è un rischio micidiale.

Che la rabbia monti cieca, spenda tempo ed energie contro totem sbagliati, metta nello stesso mazzo tutti i politici (in un dibattito su Radio Popolare sono stato perfino accusato di avere per portavoce un pregiudicato...), inietti in circolo nuovi veleni dai quali risorgerà, più forte di prima, la politica più cinica. Pronta a flettersi quando arriva la piena, e altrettanto pronta a rialzarsi con baldanza quando la piena è passata. Nel frattempo il finanziamento pubblico sarà stata abolito per dar vita ai rimborsi elettorali, le preferenze saranno state abolite per dar vita alle liste bloccate, il ministero dell´agricoltura sarà stato abolito per fare nascere quello delle Politiche agricole.

La rabbia e l´inganno. Il «sono tutti uguali», il «nessuno fa niente». Che è la ricetta ideale perché, dentro la politica, i rapporti tra innovatori e conservatori restino identici. Poi, passata la marea, i conservatori rialzeranno orgogliosamente la propria bandiera sulle mura della città. Ma davvero deve sempre andare così?

Nando dalla Chiesa
fonte: L'Unità
www.nandodallachiesa.it [/b]
 
ANCHE BUGIARDI


Miscellanea DI CARLO BERTANI

Venerdì 21/9, su RAI2, va in onda il lungo monologo di Vittorio Sgarbi – senza contraddittorio, nessuno che possa dire “beh” – che se la prende con Grillo per tutte le cose che fa e che dice. Si mescolano – nel fiume oratorio di Sgarbi – panegirici per Cossiga, Andreotti, Berlusconi, la Moratti, Fini ed una sola, lunga ovazione. Per sé stesso.
A suo dire, reclamare maggior “pulizia” in politica, è un ardire terribilmente demodè: sono cose da bambini, da artigiani della politica, che sanno chiedere soltanto quelli che non hanno altro da dire.
Io stesso, ho richiamato l’attenzione sulle parole d’ordine un po’ generiche del V-day: il rischio – che tanti paventano – è di fare tanto chiasso per finire come Masaniello.
Ciò non significa che chiedere l’estromissione dei condannati, ed un generale ringiovanimento della classe politica, sia poca cosa: non farlo, significa semplicemente andare avanti come stiamo andando, e cioè da nessuna parte.

Il vento, oggi, ha iniziato a spirare contro la casta, e ci si mette anche il Fato: attenti a non ascoltare il volere dei (veri) Dei dell’Olimpo, perché ignorarli – per i mortali – vuol dire spalancare le porte alla sventura!
Come potremmo altrimenti definire l’incredibile vicenda di Claudio Burlando – genovese, come Grillo! – che si fa “beccare” mentre guida contromano in autostrada! Dove? Ma a Genova, ovviamente! Signori, se questo non è il preciso volere di Zeus, non saprei trovare altre giustificazioni. A meno di credere che il nostro vivere sia soltanto un colossale caos, e che oltre i nessi casuali/causali ci sia soltanto il vuoto.


Incocciare l’autostrada al contrario non è – per fortuna – cosa di tutti i giorni: a parziale discolpa di Burlando, bisogna riconoscere che – a causa della caotica situazione viaria del capoluogo ligure – bisogna stare molto attenti a quale strada s’imbocca. Una città arrampicata sull’impervio Appennino, schiacciata contro le onde del mar Ligure, ha poco spazio per svincoli autostradali: bisognerebbe chiedere soluzioni migliori ai responsabili del territorio, Sindaco, Presidente della Provincia e della Regione, oppure al Ministro dei Trasporti.

Burlando è stato Sindaco di Genova, Ministro dei Trasporti ed è oggi Presidente della Regione: più che un errore, dobbiamo riconoscere che si tratta quasi di una nemesi. Chi è causa del suo mal, pianga sé stesso.
Ciò che fa inorridire è stato il comportamento del “notabile” DS: il fatto è avvenuto Domenica 16 Settembre e solo Venerdì 21 le agenzie battono la notizia. E nei cinque giorni trascorsi dal mancato (per pochissimo) incidente?

Anche le modalità della comunicazione lasciano alquanto perplessi. La notizia riportata dall’ANSA racconta di un Burlando a Canossa, con il capo cosparso di cenere, che si prostra di fronte alla collettività e chiede scusa. Sentiamo cosa racconta:
«Ci siamo sfiorati, e quando siamo scesi dall'auto eravamo molto scossi, sia io sia l'automobilista che ho incrociato, perché poteva capitare un incidente. Gli ho subito chiesto scusa.»
Il quadretto è idilliaco: Burlando “scosso” come gli automobilisti, contrito per aver messo in pericolo la vita altrui. Immaginiamo un pianto sommesso, pacche sulle spalle ed un generale sospiro di sollievo. Insomma, mi pento e mi dolgo: già arrivata la telefonata di Sircana?

Repubblica, invece – che non è certo tenera con l’antipolitica, tanto che regge la corsa al neonato PD – fornisce un diverso resoconto (probabilmente, prima di qualche telefonata “che conta”). Vediamo:
Gli automobilisti (parecchi, non uno), coinvolti nel pericoloso rendez-vous, asserivano «D’essersi trovati improvvisamente di fronte un SUV Mitsubishi Space Runner targato AH…che procedeva contromano”.»
Burlando ha percorso quasi un chilometro contromano, sulla corsia che immette nell’autostrada, presso il casello di Genova-Aeroporto.
Il presidente della Regione afferma d’aver subito chiarito tutto con gli automobilisti? Peccato che, il conducente dell’ultimo dei “bersagli” che rischiava d’essere centrato, si sia avvicinato all’autovettura per chiedere conto dell’accaduto. La reazione? I tre occupanti dell’ultima vettura, raccontano che «Il guidatore restava chiuso nell’interno dell’abitacolo, ignorandoli, con il telefonino incollato all’orecchio.»
Ovviamente, questo avveniva prima della possibile telefonata di Sircana.

E la polizia? Se fosse successo a chiunque di noi, ci avrebbero strappato la patente sulla faccia. La cosa è addirittura comica. Genova è città assai strana: i poliziotti ammettono d’aver macellato la gente del G8 soltanto dopo che sono andati in pensione. Prima: capirete…

No, non riusciamo proprio a capire perché, al termine della relazione dei poliziotti, ci sia questa strana frase (sempre da Repubblica): «La pattuglia, non avendo comunque accertato l'infrazione in oggetto, si asteneva dal contestare alcun tipo di sanzione, limitandosi ad informare il comandante telefonicamente e a redigere la presente.»
Cioè, fateci capire: sarebbe a dire che, si mi trovano fermo, contromano, in una corsia d’immissione in autostrada, siccome non mi hanno visto entrare contromano non possono “accertare l’infrazione”? E chi ce l’avrebbe portato quel SUV? E’ arrivato con l’elicottero?!?

Ministro Bianchi, Ministro Amato: come si comportano i vostri poliziotti? Su quali basi contestano un’infrazione? E a chi la contestano? Claudio Burlando procedeva contromano in autostrada, privo di documenti d’identificazione (a parte uno scaduto tesserino di Montecitorio): meritava solo un amorevole buffetto? Nessuna multa, massima “discrezione”: una storia che la stampa ha dovuto ammettere solo perché la faccenda sarebbe stata con ogni probabilità “scoperchiata” sul Web?
Procedere contromano, significa viaggiare all’opposto del consentito senso di marcia: questa è l’unica cosa che non stupisce.
Che “viaggino” contro di noi, oramai, lo sappiamo da decenni. Inganni d’ogni tipo: sulla moneta, sulle pensioni, sul welfare, sulle tasse, sulla democrazia…è tutto un solo, unico, viaggiare “contromano”.

Nel paese dei buffoni, dove il proprietario di metà delle telecomunicazioni fa anche il Presidente del Consiglio, dove all’opposto schieramento ci sono i poteri bancari che hanno certificato la “bontà” dei mutui subprime, si risponde con un “vaffanculo” a quelli che si spaventano e accostano inorriditi. E si deve tacere.
Poi giunge Sgarbi – il re dei sofisti, pagato con i nostri soldi del canone, 6.000 euro ad intervento – e dobbiamo anche stare a sentire le baggianate che spara?
Ma andate a…V

Carlo Bertani
Fonte: http://carlobertani.blogspot.com/
22.09.07
 
AFFAIRE ALITALIA

Rischio Calcolato fa il suo dovere: tiene testa a un indice frizzantino, e ribilancia

di Maurizio Piglia
26-09-07


Rischio Calcolato tiene e rimane in vantaggio sull'indice. Visto che nell'ultima giravolta di mercato si è fatta male anche Goldman Sachs, perchè lamentarsi? Maurizio Piglia, intanto, analizza da lontano la vicenda Alitalia.

Niente da dire, come da copione, dopo la grande paura, il grande rimbalzo, volatile, ma il grande rimbalzo. La pensiamo come Sassetti (che novita?!?!) in realta', niente di sostanziale e' successo al bull market che dura dal 2003, il trend non e' stato interrotto, meta' della correzione e' stata riassorbita da un mercato che pendeva dalle labbra della Fed...e che e' stato accontentato in tutto e per tutto.
Dall'ultimo bilanciamento, Rischio guadagna il 3,39% e l'indice 3,60%. Niente di che urlare al miracolo, ok, ma guardiamo la foresta e non l'albero.
Dall'inizio dell'esercizio, Rischio ritorna il 10,66% YTD contro un indice all'8,46% YTD. Il tutto a partire dal 21 Gennaio.

Visto che nell' ultima giravolta di mercato si e' fatta male anche la Goldman Sachs...e altri nomi illustri, tra cui, con mia sorpresa, Jim Simons di Renaissance Capital (anche se non tantissimo...e lui e' positivo, finora, in questo mese di settembre), chi siamo noi per lamentarci?

Prima di ribilanciare le posizioni, lasciatemi levare un dente che mi fa male, e che da lontano, finalmente, visto che le tasse ormai le pago qui, mi posso anche almeno tentare di levare...ma la pantomima di Alitalia e delle sue perdite mostruose a carico del contribuente, continua sempre imperterrita?

La vicina Svizzera ha portato in tribunale I libri di Swissair, a suo tempo, senza neanche muovere un muscolo facciale...va bene, magari, visto che siamo in Italia e abbiamo qualche scrupolo in piu', riflettiamo...quando accettare qualche taglio di privilegi in cambio della salvaguardia di posti di lavoro sarebbe potuto bastare, il sindacato di Alitalia ha invariabilmente adottato una linea intransigente, anche di fronte a numeri che dimostravano come la produttivita' fosse ridicola e il privilegio addirittura medioevale per certe categorie. Adesso, un taglietto e 2 cerotti sono fuori discussione, visto che era 'impensabile' amputare una gamba per salvare il paziente...adesso che e' morto, che si fa?

Per non parlare della lunga linea di Amministratori Delegati che hanno mentito senza ritegno, attaccando peraltro l'asino dove voleva il padrone (Governo e Sindacati...bell'esempio di cogestione..quanti milioni si perdono al giorno?), sfornando 'piani industriali' di pura fantascienza per arrivare a fine mandato, intascare buonuscite immorali e ingiustificate e sinecure da boiardi di Stato altrove.

Bell' esempio....non c'e' che dire, Destra e Sinistra inestricabilmente insieme, poi, 'bipartisan' come hanno imparato a dire (unita' di intenti e' cosi' Italiano..cosi' poco televisivo, via!). Capisco che in un Paese in cui un comico cerca di moralizzare la politica mentre ceffi da galera con condanne in giudicato varie gli danno del demagogo protetti da un'immunita' parlamentare su cui i Partiti hanno totale ultima parola (preferenze abolite...e chi crediamo di essere, il Popolo Sovrano, demagoghi che non siamo altro!!), un episodio come Alitalia sia minore...con ultimo il problema di una flotta variegata (tutti volano standardizzando aerei e tipologie , si risparmia in ricambi e manutenzione..noi no!) in cui primeggiano I DC9 il cui volo inaugurale e' del 1957!!!! Ultimi al mondo, ovviamente.(mah, magari Air Lesotho..non ho controllato..).
Flotta vecchia...e nessuno, ovviamente, specialmente ora ci presterebbe un centesimo per prendere in leasing aerei nuovi (Vogliamo chiedere un rating del debito Alitalia o ci risparmiamo almeno questa?).


http://www.soldionline.it/a.pic1?EID=19420
 
http://msn.ansa.it/msn/news/economia/2007-09-26_126123181.html
Fisco: entrate in aumento del 17,9%


(ANSA) - ROMA, 26 SET - A settembre le entrate tributarie sono aumentate del 17,9% rispetto a 12 mesi fa, secondo quanto comunicato dal vice ministro alle Finanze.L'ufficio competente ha sottolineato che il buon andamento e' dovuto soprattutto al gettito Ires, l'imposta sui redditi delle societa', 'grazie anche ai versamenti di alcune grandi imprese che chiudono l'esercizio in corso d'anno'.
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come ben sappiamo sono denari che il governo ci strappa dalla nostra famiglia
per poter meglio rubare aumentando gli stipendi dei politicanti

il debito con tutte queste tasse pensate che diminuirà? NO!
pensate che il tiket sanitario diminuirà? NO!



come ben sapete"la moralità di una società si misura da quel che fa per i suoi bambini"
e il nostro ministro FIORONI che fa?
taglia i finanziamenti per i bambini Handicappati che sono i più bisognosi
Ovvio che il taglio dei 21000 euro NON ne parlano proprio
 
tontolina ha scritto:
http://msn.ansa.it/msn/news/economia/2007-09-26_126123181.html
Fisco: entrate in aumento del 17,9%


(ANSA) - ROMA, 26 SET - A settembre le entrate tributarie sono aumentate del 17,9% rispetto a 12 mesi fa, secondo quanto comunicato dal vice ministro alle Finanze.L'ufficio competente ha sottolineato che il buon andamento e' dovuto soprattutto al gettito Ires, l'imposta sui redditi delle societa', 'grazie anche ai versamenti di alcune grandi imprese che chiudono l'esercizio in corso d'anno'.
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come ben sappiamo sono denari che il governo ci strappa dalla nostra famiglia
per poter meglio rubare aumentando gli stipendi dei politicanti

il debito con tutte queste tasse pensate che diminuirà? NO!



pensate che il tiket sanitario diminuirà? NO! spero proprio anchio che i tiket sanitari non calano, non ultimo perchè se ancora non si sapeva le medicine fanno più male che bene ma tantè....cè gente ancora che crede nei medici dopo tutto quello che combinano. Certo la spiegazione cè: perchè ancora non sanno come sostituire le medicine chimiche con altri medicamenti. Infatti la gente sa che le medicine hanno effetti collatersli, ma come mi posso curare altrimenti?
Beh incominciate con il non fare niente!!!!! Nella seconda guerra mondiale a londra gli ospedali furono chiusi per un certo tempo, ho letto che i decessi in quei mesi erano statisticamente diminuiti. Come mai? Parlo della civile londra, non della vituperata calabria! Voi credete che le medicine del 1940 erano porcherie in confronto a quelle di adesso? E se vi dicessi che vi hanno fatto credere che le malattie di oggi sono più complicate di 60 anni fa?
Allora: non posso augurarvi di "passare" oltre alla svelta perchè già lo fate per vostro conto, ma almeno, ma almeno smettete di dare sempre del ladro agli altri quando anche voi siete dei vampiri!!!! nei confronti delle casse della mutua.
Sono sempre alla ricerca di un medico che abbia superato i 100 anni. lo stesso di un farmacista...
 
in passato lotrovai per caso e subito rimasi colpita dalla sua lucida intelligenza

oggi scrive nel BLOG di Investire Oggi e quando lo leggo... mi lascia davvero ammirata...

certo è che mi toglie ogni speranza...

http://michelespallino.investireoggi.it/speciale-montanelli/


Speciale Montanelli

27 Sep

Posted by Michele Spallino as Speciali

Perchè non scrivo mai(o molto poco) sull’Italia? perchè provo lo stesso “sentiment” che provava Montanelli. Indro Montanelli ha scritto , con Mario Cervi, La Storia d’Italia dal 1250 al
1997. La consiglio a tutti. Ha concluso l’opera con un poscritto che, per la sua eccezionale attualità e perchè lo condivido parola per parola, riporto integralmente (mi sono solo permesso di titolarne i paragrafi, per facilitarne la lettura):

Congedo
“Io debbo prendere congedo dai nostri lettori. E non soltanto per ragioni
anagrafiche, anche se di per sé abbastanza evidenti e cogenti. Ma perché il
congedo l’ho preso negli ultimi tempi dalla stessa Italia, un paese che non mi
appartiene più e a cui sento di non più appartenere.

Forma non sostanza
E’ stato proprio l’impegno profuso nella stesura di questi volumi, nei quali la
Storia si confonde con la testimonianza diretta, anche questa condivisa
pienamente da Cervi, a rendermi consapevole che quello nostro era qualcosa di
mezzo tra il resoconto di un fallimento e l’anamnesi di un aborto. Uno dei primi
volumi usciti dalla nostra collaborazione, nonostante il titolo “l’Italia della
disfatta” reca i segni delle speranza e delle illusioni con cui ne avevamo
vissute le drammatiche ma esaltanti vicende. Credemmo che l’Italia avesse
liquidato sia pure a carissimo prezzo e grazie a forze altrui (ma questo è il
leitmotiv della nostra Storia non soltanto di questo secolo) un regime che le
aveva impedito di essere se stessa.
Ed invece gli eventi che abbiamo seguito passo passo coi volumi successivi ci
dimostravano che non era affatto cambiata col cambio di regime. Erano cambiate
le forme ma non la sostanza. Era cambiata la retorica, ma era rimasta retorica.
Erano cambiate le menzogne, ma erano rimaste menzogne. Erano soprattutto
cambiate le mafie del potere e della cultura, ma erano rimaste mafie.

Cosa nostra
Al referendum istituzionale del 2 giugno 1946, Cervi ed io ancora non ci
conoscevamo e ci trovammo su posizioni opposte. Cervi si pronunciò per la
Repubblica, io per la Monarchia. Ma entrambi eravamo convinti che quella fosse
la data d’inizio di una “vita nova”, molto diversa da quella che avevamo
vissuto, o meglio subito: e di questa grande speranza fummo entrambi (anche se
io forse meno), partecipi. Essa ci sostenne, e in certi momenti forse anche ci
esaltò, fino agli anni del “miracolo” che furono i primi Cinquanta. Poi….
Noi questo “poi” lo abbiamo vissuto da giornalisti militanti, entrambi al
Corriere della Sera. Entrambi assistemmo e fummo i cronisti della rapida
degenerazione della democrazia in partitocrazia, cioè in un oligopolio di
camarille e di gruppi che esercitavano il potere in nome della cosiddetta
“sovranità popolare”; in realtà nel solo interesse di quei gruppi e camarille
che d’interesse ne avevano uno solo: che il potere restasse “cosa nostra”, come
infatti per cinquant’anni è stato e come seguita ad essere anche ora che ha
cambiato titolari, ma sempre restando “cosa nostra”.

Il Fascismo e lo Stato
In questo sistema abbiamo visto corrompersi tutto, a cominciare dallo Stato. Lo
Stato che il fascismo aveva trovato quando assunse il potere non era gran che.
Però una categoria di funzionari abbastanza onesti e ligi ad un certo rigore e
decoro di comportamenti, nei pochi decenni di Storia unitaria si era formata. E
Mussolini la rispettò. Ne mise tutto il personale in camicia nera, ma non ne
toccò i posti, le carriere e le competenze. Anche in periferia il Prefetto,
organo dello Stato, prevalse sempre, o quasi sempre, sul segretario federale,
organo del Partito. E questo atteggiamento fu particolarmente visibile nel campo
della giustizia. Per perseguire il delitto d’opinione, il regime dovette
istituire una sua magistratura di partito perché quella ordinaria si rifiutava
di considerare l’opinione un delitto e il regime rispettò questo rifiuto.

La Republica e lo Stato
Anche la Repubblica, “nata dalla resistenza” com’era d’obbligo chiamarla,
riconobbe ed anzi enfatizzò l’indipendenza della magistratura dal potere
politico. E per meglio garantirla, la dotò di un organo di autogoverno, il
Consiglio Superiore della magistratura, riservandosene però una componente
“laica”, cioè di non magistrati nominati a quei posti dal potere politico, e per
esso dai tre maggiori partiti, che se lo contendevano, o meglio se lo
spartivano. Ma la contaminazione non si era fermata qui. Aveva investito tutta
la magistratura dividendola in “correnti”, ognuna delle quali faceva capo ad un
partito o ad un area.
E’ questo che spiega l’impunità con cui le forze politiche poterono compiere la
loro opera di corruzione, che non consisteva soltanto nel prelievo dei pedaggi
imposti a tutte le attività economiche pubbliche e private – le famose
“tangenti”- ma anche nell’annessione e addomesticamento di tutti quegli organi
di controllo – Corte costituzionale, Corte dei Conti, Consiglio di Stato,
Ragioneria Generale – che alla corruzione avrebbero dovuto porre un freno e che
invece ne diventarono lo strumento.

La corruzione
La corruzione non è un fenomeno soltanto italiano. Clemenceau diceva che non c’è
democrazia che ne sia al riparo. Ma quella che aveva sotto gli occhi lui, in
Francia, si limitava alla classe politica, forse non molto migliore della
nostra. Ma a sbarrarle la strada c’era uno Stato che dai tempi di Colbert era
servito da una vera e propria casta di “commis”, di funzionari rigorosamente
selezionati in scuole speciali ed alla corruzione impermeabili. La burocrazia
italiana non disponeva di personale di altrettanto livello e non oppose
resistenza al potere politico che se l’annesse distribuendo favori soprattutto
di carriera agli arrendevoli, e castighi a chi non si adeguava. I due milioni di
miliardi e passa di debito pubblico non si possono spiegare che come il frutto
di un reticolo di complicità fra classe politica e classe amministrativa che
rese del tutto vano il disposto costituzionale secondo cui lo Stato non poteva
procedere a spese che non fossero coperte da adeguate entrate. Gli organi cui
era affidata l’osservanza di questa regola ne avallarono tutte le
contravvenzioni, richieste, ed anzi imposte da un potere pubblico che badava
soltanto a sopravviversi distribuendo favori e indulgenze. Di questo processo di
corruzione potrei citare infiniti altri casi con prove e dettagli. Ma lo ritengo
non solo superfluo, visto che è sotto gli occhi di tutti, ma anche fuorviante
in quanto può rafforzare nel lettore la convinzione che sia dovuto soltanto alla
classe politica.

Responsabilità di tutti
Non è così. Che la classe politica che ha esercitato il potere
negli ultimi 30 o 40 anni sia stata, nel suo insieme, corrotta e corruttrice, è
vero. Ma è altrettanto vero che al potere è sempre rimasta col nostro voto.
Perché, si usa dire, l’unica alternativa erano i comunisti che avrebbero fatto
dell’Italia una succursale dell’Unione Sovietica. Ed anche questo è vero. Ma i
voti ai comunisti chi glieli dava? Ed ora che l’incubo dei comunisti è finito,
forse che le cose sono cambiate e la classe politica è migliorata?
L’anagrafe mi ha consentito, o forse mi ha condannato, a partecipare a tutte le
grandi speranze di questo secolo italiano. Studente negli anni venti, ho sognato
come tanti, quasi tutti i miei coetanei, di contribuire a fare del fascismo una
cosa seria, e automaticamente ce ne trovammo emarginati. Ci schierammo con le
poche forze liberaldemocratiche della Resistenza, e ce ne ritraemmo vedendola
trasformata in uno strumento di partito e ridotta a grancassa della sua
propaganda col consenso – o la sottomissione – della maggioranza degli italiani.
La speranza di contribuire a qualcosa di buono si riaccese subito dopo la
Liberazione sotto la guida di pochi vecchi uomini del prefascismo, presto
anch’essi emarginati dalle nuove leve di mestieranti della politica, abilissimi
nei giuochi di potere, ma soltanto in quelli. E da allora cominciò la
degenerazione mafiosa della democrazia sotto gli occhi indifferenti, o
ipocritamente indignati, di una pubblica opinione alle mafie assuefatta da
secoli.

Il virus genetico
Oramai sono giunto alla conclusione che la corruzione non ci deriva da questo o
quel regime o da queste o quelle “regole”, di cui battiamo , inutilmente, ogni
primato di produzione. Ci deriva da qualche virus annidato nel nostro sangue e
di cui non abbiamo mai trovato il vaccino. Tutto in Italia ne viene regolarmente
contaminato. Se ci danno la democrazia, la riduciamo a partitocrazia, cioè ad un
sistema di mafie. E la cultura , da cui avrebbero potuto e dovuto venirci moniti
ed esempi, si è adeguata, come del resto volevano le sue origini. La cultura
italiana è nata nel Palazzo e alla mensa del Principe, laico o ecclesiastico che
fosse, e non poteva essere altrimenti, visto che il Principe era, in un paese di
analfabeti e quindi senza pubblico mercato, il suo unico committente. Mentre la
Riforma aveva sgominato l’analfabetismo facendo obbligo ai suoi fedeli di
leggere e d’interpretare i testi sacri senza la mediazione del Pastore
autorizzato a dare solo qualche consiglio; la Controriforma, che faceva del
prete l’unico autorizzato interprete delle Scritture, dell’analfabetismo era
stata la fabbrica, che lasciava l’intellettuale alla mercè (in tutti i sensi)
del suo patrono e protettore. Il quale naturalmente se ne faceva ripagare non
solo con la piaggeria, ma anche con la difesa del sistema su cui si fondavano i
suoi privilegi. Così si formò quella cultura parassitaria e servile, che non è
mai uscita dai suoi circuiti accademici per scendere in mezzo al popolo a
compiervi quell’opera missionaria, di cui le è sempre mancato non solo la
vocazione, ma anche il linguaggio. In Italia il professionista della cultura
parla e scrive per i professionisti della cultura, non per la gente. E
istintivamente cerca ancora un Principe di cui mettersi al servizio. Scomparsi i
Principi di una volta, il loro posto è stato preso dai depositari del potere,
cioè dai partiti. E questo spiega la cosiddetta organicità dell’intellettuale
italiano, sempre schierato dalla parte verso cui soffia il vento. Se è vero che
l’ambizione di ogni intellettuale è di diventare il direttore della pubblica
coscienza, l’intellettuale italiano la serve al contrario:mettendosene al
rimorchio e facendone la mosca cocchiera di tutti i suoi eccessi e sbandate.

Senza Patria
Ecco il motivo per cui ho deciso di rinunziare al seguito di questa Storia
d’Italia, che del resto rischia di avvilirsi a cronaca giudiziaria. Ho smesso
di credere all’utilità di una Storia scritta al di fuori di tutti i circuiti
della politica e della cultura tradizionali. Anzi ad essere sincero fino in
fondo, ho smesso di credere all’Italia. In un Italia come questa dove anche una
sceneggiata può bastare a provocarne la decomposizione. Sangue non ce ne sarà:
l’Italia è allergica al dramma, e per essa nessuno è più disposto a morire.
Dolcemente in stato di anestesia, torneremo ad essere quella “terra di morti
abitata da un pulviscolo umano” che Montaigne aveva descritto tre secoli orsono.
O forse no: rimarremo quello che siamo, un conglomerato impegnato a discutere ,
con grandi parole, di grandi riforme a copertura di piccoli giochi di potere e
d’interesse. L’Italia è finita. O forse, nata su dei plebisciti burletta come
quelli del 1860-61, non è mai esistita che nella fantasia di pochi sognatori, ai
quali abbiamo avuto la sventura di appartenere. Per me non è più la Patria. E’
solo rimpianto di una Patria.”

Indro Montanelli
 
tontolina ha scritto:
in passato lotrovai per caso e subito rimasi colpita dalla sua lucida intelligenza

oggi scrive nel BLOG di Investire Oggi e quando lo leggo... mi lascia davvero ammirata...

certo è che mi toglie ogni speranza...

http://michelespallino.investireoggi.it/speciale-montanelli/


Speciale Montanelli

27 Sep

Posted by Michele Spallino as Speciali

Perchè non scrivo mai(o molto poco) sull’Italia? perchè provo lo stesso “sentiment” che provava Montanelli. Indro Montanelli ha scritto , con Mario Cervi, La Storia d’Italia dal 1250 al
1997. La consiglio a tutti. Ha concluso l’opera con un poscritto che, per la sua eccezionale attualità e perchè lo condivido parola per parola, riporto integralmente (mi sono solo permesso di titolarne i paragrafi, per facilitarne la lettura):

Congedo
“Io debbo prendere congedo dai nostri lettori. E non soltanto per ragioni
anagrafiche, anche se di per sé abbastanza evidenti e cogenti. Ma perché il
congedo l’ho preso negli ultimi tempi dalla stessa Italia, un paese che non mi
appartiene più e a cui sento di non più appartenere.

Forma non sostanza
E’ stato proprio l’impegno profuso nella stesura di questi volumi, nei quali la
Storia si confonde con la testimonianza diretta, anche questa condivisa
pienamente da Cervi, a rendermi consapevole che quello nostro era qualcosa di
mezzo tra il resoconto di un fallimento e l’anamnesi di un aborto. Uno dei primi
volumi usciti dalla nostra collaborazione, nonostante il titolo “l’Italia della
disfatta” reca i segni delle speranza e delle illusioni con cui ne avevamo
vissute le drammatiche ma esaltanti vicende. Credemmo che l’Italia avesse
liquidato sia pure a carissimo prezzo e grazie a forze altrui (ma questo è il
leitmotiv della nostra Storia non soltanto di questo secolo) un regime che le
aveva impedito di essere se stessa.
Ed invece gli eventi che abbiamo seguito passo passo coi volumi successivi ci
dimostravano che non era affatto cambiata col cambio di regime. Erano cambiate
le forme ma non la sostanza. Era cambiata la retorica, ma era rimasta retorica.
Erano cambiate le menzogne, ma erano rimaste menzogne. Erano soprattutto
cambiate le mafie del potere e della cultura, ma erano rimaste mafie.

Cosa nostra
Al referendum istituzionale del 2 giugno 1946, Cervi ed io ancora non ci
conoscevamo e ci trovammo su posizioni opposte. Cervi si pronunciò per la
Repubblica, io per la Monarchia. Ma entrambi eravamo convinti che quella fosse
la data d’inizio di una “vita nova”, molto diversa da quella che avevamo
vissuto, o meglio subito: e di questa grande speranza fummo entrambi (anche se
io forse meno), partecipi. Essa ci sostenne, e in certi momenti forse anche ci
esaltò, fino agli anni del “miracolo” che furono i primi Cinquanta. Poi….
Noi questo “poi” lo abbiamo vissuto da giornalisti militanti, entrambi al
Corriere della Sera. Entrambi assistemmo e fummo i cronisti della rapida
degenerazione della democrazia in partitocrazia, cioè in un oligopolio di
camarille e di gruppi che esercitavano il potere in nome della cosiddetta
“sovranità popolare”; in realtà nel solo interesse di quei gruppi e camarille
che d’interesse ne avevano uno solo: che il potere restasse “cosa nostra”, come
infatti per cinquant’anni è stato e come seguita ad essere anche ora che ha
cambiato titolari, ma sempre restando “cosa nostra”.

Il Fascismo e lo Stato
In questo sistema abbiamo visto corrompersi tutto, a cominciare dallo Stato. Lo
Stato che il fascismo aveva trovato quando assunse il potere non era gran che.
Però una categoria di funzionari abbastanza onesti e ligi ad un certo rigore e
decoro di comportamenti, nei pochi decenni di Storia unitaria si era formata. E
Mussolini la rispettò. Ne mise tutto il personale in camicia nera, ma non ne
toccò i posti, le carriere e le competenze. Anche in periferia il Prefetto,
organo dello Stato, prevalse sempre, o quasi sempre, sul segretario federale,
organo del Partito. E questo atteggiamento fu particolarmente visibile nel campo
della giustizia. Per perseguire il delitto d’opinione, il regime dovette
istituire una sua magistratura di partito perché quella ordinaria si rifiutava
di considerare l’opinione un delitto e il regime rispettò questo rifiuto.

La Republica e lo Stato
Anche la Repubblica, “nata dalla resistenza” com’era d’obbligo chiamarla,
riconobbe ed anzi enfatizzò l’indipendenza della magistratura dal potere
politico. E per meglio garantirla, la dotò di un organo di autogoverno, il
Consiglio Superiore della magistratura, riservandosene però una componente
“laica”, cioè di non magistrati nominati a quei posti dal potere politico, e per
esso dai tre maggiori partiti, che se lo contendevano, o meglio se lo
spartivano. Ma la contaminazione non si era fermata qui. Aveva investito tutta
la magistratura dividendola in “correnti”, ognuna delle quali faceva capo ad un
partito o ad un area.
E’ questo che spiega l’impunità con cui le forze politiche poterono compiere la
loro opera di corruzione, che non consisteva soltanto nel prelievo dei pedaggi
imposti a tutte le attività economiche pubbliche e private – le famose
“tangenti”- ma anche nell’annessione e addomesticamento di tutti quegli organi
di controllo – Corte costituzionale, Corte dei Conti, Consiglio di Stato,
Ragioneria Generale – che alla corruzione avrebbero dovuto porre un freno e che
invece ne diventarono lo strumento.

La corruzione
La corruzione non è un fenomeno soltanto italiano. Clemenceau diceva che non c’è
democrazia che ne sia al riparo. Ma quella che aveva sotto gli occhi lui, in
Francia, si limitava alla classe politica, forse non molto migliore della
nostra. Ma a sbarrarle la strada c’era uno Stato che dai tempi di Colbert era
servito da una vera e propria casta di “commis”, di funzionari rigorosamente
selezionati in scuole speciali ed alla corruzione impermeabili. La burocrazia
italiana non disponeva di personale di altrettanto livello e non oppose
resistenza al potere politico che se l’annesse distribuendo favori soprattutto
di carriera agli arrendevoli, e castighi a chi non si adeguava. I due milioni di
miliardi e passa di debito pubblico non si possono spiegare che come il frutto
di un reticolo di complicità fra classe politica e classe amministrativa che
rese del tutto vano il disposto costituzionale secondo cui lo Stato non poteva
procedere a spese che non fossero coperte da adeguate entrate. Gli organi cui
era affidata l’osservanza di questa regola ne avallarono tutte le
contravvenzioni, richieste, ed anzi imposte da un potere pubblico che badava
soltanto a sopravviversi distribuendo favori e indulgenze. Di questo processo di
corruzione potrei citare infiniti altri casi con prove e dettagli. Ma lo ritengo
non solo superfluo, visto che è sotto gli occhi di tutti, ma anche fuorviante
in quanto può rafforzare nel lettore la convinzione che sia dovuto soltanto alla
classe politica.

Responsabilità di tutti
Non è così. Che la classe politica che ha esercitato il potere
negli ultimi 30 o 40 anni sia stata, nel suo insieme, corrotta e corruttrice, è
vero. Ma è altrettanto vero che al potere è sempre rimasta col nostro voto.
Perché, si usa dire, l’unica alternativa erano i comunisti che avrebbero fatto
dell’Italia una succursale dell’Unione Sovietica. Ed anche questo è vero. Ma i
voti ai comunisti chi glieli dava? Ed ora che l’incubo dei comunisti è finito,
forse che le cose sono cambiate e la classe politica è migliorata?
L’anagrafe mi ha consentito, o forse mi ha condannato, a partecipare a tutte le
grandi speranze di questo secolo italiano. Studente negli anni venti, ho sognato
come tanti, quasi tutti i miei coetanei, di contribuire a fare del fascismo una
cosa seria, e automaticamente ce ne trovammo emarginati. Ci schierammo con le
poche forze liberaldemocratiche della Resistenza, e ce ne ritraemmo vedendola
trasformata in uno strumento di partito e ridotta a grancassa della sua
propaganda col consenso – o la sottomissione – della maggioranza degli italiani.
La speranza di contribuire a qualcosa di buono si riaccese subito dopo la
Liberazione sotto la guida di pochi vecchi uomini del prefascismo, presto
anch’essi emarginati dalle nuove leve di mestieranti della politica, abilissimi
nei giuochi di potere, ma soltanto in quelli. E da allora cominciò la
degenerazione mafiosa della democrazia sotto gli occhi indifferenti, o
ipocritamente indignati, di una pubblica opinione alle mafie assuefatta da
secoli.

Il virus genetico
Oramai sono giunto alla conclusione che la corruzione non ci deriva da questo o
quel regime o da queste o quelle “regole”, di cui battiamo , inutilmente, ogni
primato di produzione. Ci deriva da qualche virus annidato nel nostro sangue e
di cui non abbiamo mai trovato il vaccino. Tutto in Italia ne viene regolarmente
contaminato. Se ci danno la democrazia, la riduciamo a partitocrazia, cioè ad un
sistema di mafie. E la cultura , da cui avrebbero potuto e dovuto venirci moniti
ed esempi, si è adeguata, come del resto volevano le sue origini. La cultura
italiana è nata nel Palazzo e alla mensa del Principe, laico o ecclesiastico che
fosse, e non poteva essere altrimenti, visto che il Principe era, in un paese di
analfabeti e quindi senza pubblico mercato, il suo unico committente. Mentre la
Riforma aveva sgominato l’analfabetismo facendo obbligo ai suoi fedeli di
leggere e d’interpretare i testi sacri senza la mediazione del Pastore
autorizzato a dare solo qualche consiglio; la Controriforma, che faceva del
prete l’unico autorizzato interprete delle Scritture, dell’analfabetismo era
stata la fabbrica, che lasciava l’intellettuale alla mercè (in tutti i sensi)
del suo patrono e protettore. Il quale naturalmente se ne faceva ripagare non
solo con la piaggeria, ma anche con la difesa del sistema su cui si fondavano i
suoi privilegi. Così si formò quella cultura parassitaria e servile, che non è
mai uscita dai suoi circuiti accademici per scendere in mezzo al popolo a
compiervi quell’opera missionaria, di cui le è sempre mancato non solo la
vocazione, ma anche il linguaggio. In Italia il professionista della cultura
parla e scrive per i professionisti della cultura, non per la gente. E
istintivamente cerca ancora un Principe di cui mettersi al servizio. Scomparsi i
Principi di una volta, il loro posto è stato preso dai depositari del potere,
cioè dai partiti. E questo spiega la cosiddetta organicità dell’intellettuale
italiano, sempre schierato dalla parte verso cui soffia il vento. Se è vero che
l’ambizione di ogni intellettuale è di diventare il direttore della pubblica
coscienza, l’intellettuale italiano la serve al contrario:mettendosene al
rimorchio e facendone la mosca cocchiera di tutti i suoi eccessi e sbandate.

Senza Patria
Ecco il motivo per cui ho deciso di rinunziare al seguito di questa Storia
d’Italia, che del resto rischia di avvilirsi a cronaca giudiziaria. Ho smesso
di credere all’utilità di una Storia scritta al di fuori di tutti i circuiti
della politica e della cultura tradizionali. Anzi ad essere sincero fino in
fondo, ho smesso di credere all’Italia. In un Italia come questa dove anche una
sceneggiata può bastare a provocarne la decomposizione. Sangue non ce ne sarà:
l’Italia è allergica al dramma, e per essa nessuno è più disposto a morire.
Dolcemente in stato di anestesia, torneremo ad essere quella “terra di morti
abitata da un pulviscolo umano” che Montaigne aveva descritto tre secoli orsono.
O forse no: rimarremo quello che siamo, un conglomerato impegnato a discutere ,
con grandi parole, di grandi riforme a copertura di piccoli giochi di potere e
d’interesse. L’Italia è finita. O forse, nata su dei plebisciti burletta come
quelli del 1860-61, non è mai esistita che nella fantasia di pochi sognatori, ai
quali abbiamo avuto la sventura di appartenere. Per me non è più la Patria. E’
solo rimpianto di una Patria.”

Indro Montanelli

mitico
perfetto


tragico
 

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