Barron’s -il settimanale di finanza operativa più prestigioso del mondo- dedica un bell’articolo alle prospettive della borsa dal punto di vista dell’AT. Il titolo è una mazzata fra capo e collo (“Technicians Await the Bear”), ma il contenuto non è così negativo.
Si parte sostenendo che i grafici mostrano un trend ribassista a partire dai massimi di aprile. Vabbé… in un grafico si possono vedere tutti i trend possibili e immaginabili, o quasi, basta cambiare il punto di partenza. Da aprile siamo in bear trend, okay, ma dall’inizio dell’anno siamo in laterale (vedi post precedente) oppure incominciando dal marzo 2009 stiamo vivendo una correzione di un trend rialzista. Più decisamente bearish è invece l’osservazione che -da aprile- le vendite delle giornate in calo sono state maggiori degli acquisti delle giornate in rialzo.
Molti analisti tecnici -prosegue il giornale- sono in fibrillazione per la DEATH CROSS (la violazione al ribasso della SMA200 da parte della SMA50) dell’S&P500, ma l’articolista riconosce che l’evento ha un “somewhat more ambiguous predictive record than its lethal name suggests”. Da parte mia, aggiungerei che l’eventuale (EVENTUALE!) tempestiva negazione del segnale spesso genera effetti molto più sicuri e violenti della sua conferma. In altre parole, se le trimestrali dovessero andare benissimo potremmo avere una spring -un rimbalzo della SMA50 sulla SMA200- che di solito genera un rialzo piuttosto consistente. Naturalmente è solo una possibilità, non una previsione: nessuno sa se le trimestrali deluderanno o entusiasmeranno!
Un altro segnale negativo -meno popolare, direi- viene dal passaggio delle quotazioni dell’S&P500 al di sotto della media a 12 mesi nell’ultimo giorno del mese. L’evento si è verificato a giugno per la prima volta dal luglio 2009. Il giornale osserva che rispettando un segnale di questo tipo i trader avrebbero evitato i crolli 2000-2002 e 2007-2009, pur partecipando alla maggior parte dei rally, ma di solito il segnale non predice ulteriori discese.
Viceversa -sto sempre citando testualmente Barron’s- esistono dei segnali contradditori. Uno viene dal Vix che è rimasto su livelli lontani dai massimi di giugno, mentre l’S&P500 inanellava tutta una serie di nuovi minimi (verissimo! strano che nei forum il Vix sia passato di moda)… un altro consiste nello spread fra i Treasuries e i corporate bond, che dovrebbe allargarsi a dismisura alla (presunta) vigilia di una recessione, e invece rimane sorprendentemente stretto. Fra i commenti dei lettori, ho notato qualche dato strabiliante… Walmart (“AA”) ha emesso un bond a 10 anni al 3,625%, la celebre Campbell Soup (“A”) ha piazzato dei bond a 5 anni al 3,05%. E’ forse impazzito il mercato, se alle soglie della catastrofe universale è disposto a prestare quattrini a questi tassi a delle normali società?
Al di là del solito p/e, un “quantitative strategist” di Nomura ha calcolato che a questi prezzi le azioni incorporano una crescita degli utili INFERIORE allo zero per i prossimi cinque anni, mentre Citigroup segnala una loro “deep and rare undervaluation” rispetto agli high-grade bonds. Credit Suisse ritiene che l’attuale fair value dell’S&P500 sia compreso fra 1050 e 1150. Al di sotto di quella fascia si dichiara compratore, sia pure di azioni difensive.
Ed eccoci arrivati alla parte più sofisticata e interessante dell’articolo. L’autore -Michael Santoli- constata che a partire dal momento in cui si è scesi di oltre il 10% sotto i massimi di aprile moltissimi trader si sono convinti che è assolutamente inevitabile un crollo di grandi dimensioni, e questo benché non manchino i segnali che invitano a una maggiore prudenza… Perché questa ossessione ribassista? Come sempre in borsa, la spiegazione è puramente psicologica ed è stata elaborata da Doug Ramsey. Il fatto è che -a differenza di quanto avveniva in precedenza- la NOSTRA GENERAZIONE CONOSCE PERFETTAMENTE I BEAR MARKET, MA HA SCARSA CONFIDENZA CON LE PRODONDE CORREZIONI. Secondo Ramsey, dal 1980 al 2010 ci sono stati 6 grandi ribassi con una perdita media del 34,3% contro soltanto due correzioni severe, rispettivamente del 12% e del 18%. Ecco quindi che l’avvicinarsi dell’S&P500 alla soglia dei 1000 fa sentire come ineluttabile la discesa sotto quel livello, verso nuovi terribili minimi… In altre parole, invece di attendere la classica quota di -20% dai massimi prima di parlare di bear market, la nostra scarsa esperienza di profonde correzioni ci fa sentire in pieno trend ribassista già quando il calo si aggira sul 10%. Mi sembra uno spunto elegante e molto ragionevole, anche se ovviamente nessuno può sapere se quella che stiamo vivendo è una semplice correzione del bull market iniziato a marzo 2009 oppure l’anticamera di un trend ribassista che diverrà effettivo solo al di sotto del -20% dai massimi di aprile (1217,28). Per la cronaca, Ramsey ritiene che ci troviamo in una “deep correction” e non in un “fresh bear market”.
Per quanto mi riguarda, penso sempre che la cosa migliore da fare sia lasciarsi guidare dal mercato, aggiustandosi lungo la via. In questi ultimi giorni ci sarebbero state belle opportunità di free trades,ma per un eccesso di prudenza o di fretta mi sono accontentato di qualche “sconto”. Attualmente sulla scadenza di luglio ho un punto di pareggio a 2570. Data la disponibilità di un ricco mix di strike, anche in caso di discesa sotto quel livello dovrei riuscire a evitare una discreta parte delle perdite, a meno che non ci sia un crollo improvviso proprio alla fine.
x dolo eventuale
grazie,davvero gentile!
x Frank73
grazie anche a te. Sulla Cina ho riportato l’opinione di Morgan Stanley e altri primari istituti. Quando gli utili societari crescono a colpi del 40% l’anno, non parlerei di “bolla”, che presuppone un incremento delle quotazioni a fronte del nulla. Si dirà che una crescita degli utili così impetuosa non è sostenibile sul lungo periodo -e le azioni prima o poi ne risentiranno- ma che sia una bolla…
Mi ha strappato una bella risata l’esempio dei cinesini passati dai maiali ai metalli… ma segnala solo il clima entusiasta, da Nuova Frontiera, che si respira oggi in Cina. Anche Jay Gould passò dalla conciatura delle pelli all’alta finanza, eppure divenne l’operatore di maggior successo (nonché il più carogna) di tutta la storia di Wall Street. E nei decenni scorsi quanti contadini veneti sono passati dalle vacche alla “fabbrichetta” tutta loro? La differenza è che in Italia troppo spesso la scelta è stata quella di produrre merci di infima qualità a bassissimo prezzo, e quando è finito il giochetto delle svalutazioni a ripetizione si è cercato di proseguire su quella strada trasferendo la produzione in Romania o in Cina, invece di puntare sulla qualità e sul brand! Quegli imprenditori si sono suicidati perché hanno abbracciato fino in fondo gli ideali balordi di un certo modo di fare business: massimo profitto nel modo più facile e più veloce possibile. Le cose sarebbero andate diversamente se avessero conservato la lungimiranza della grande civiltà contadina, che imponeva a un settantenne di piantare alberi di cui non avrebbe mai visto i frutti. I tedeschi e i francesi hanno fatto meno errori dei nostri “imprenditori” e ancora meno credo che ne faranno i cinesi, che hanno alle spalle una saggezza millenaria.
Al di là dei risultati della borsa di Shanghai -che francamente non mi interessano se non per i riflessi su Wall Street- mi sembra che nei confronti della Cina si stiano ripetendo gli stessi clamorosi errori di sottovalutazione fatti a suo tempo col Giappone. La differenza è che il Giappone ha 100 milioni di abitanti (eppure sono bastati a spazzar via interi settori dell’industria occidentale), mentre i cinesi sono 13 volte di più… Cosa succederà quando raggiungeranno lo stesso elevatissimo livello tecnologico dei nipponici?
Ti ringrazio per “la preparazione a 360 gradi” ma assolutamente non è così. A parte l’aspetto storico della borsa, che mi attira di per sé, per il resto cerco di approfondire un po’ solo quelle cose che riguardano direttamente la mia operatività. Quindi ho enormi lacune in questo campo… e non vedo perché dovrei preoccuparmene, con tutte le cose ben più affascinanti che ci offre la vita. Comunque parteciperò volentieri alla vostra “campagna” di settembre, nei limiti delle mie disponibilità di tempo e conoscenze.
D’accordissimo sul Forex.
L’HVR (Historical Volatility Ratio) è “il rapporto che si ottiene dividendo il valore dell’Historical Volatility a breve tempo (6 giorni) per il valore dell’HV a lungo termine (100 giorni). Quando il rapporto scende al di sotto del 50% [quindi HVR <0,5] il trader sa che il mercato, nel momento in cui la volatilità ritorna verso i valori medi, ha il potenziale per fare un ampio movimento” (Dave Landry). Ovviamente non bisogna aspettarsi miracoli… almeno sull’S&P500 a volte l’indicatore funziona addirittura al contrario, cioè un bull trend parte con l’HVR sui massimi -e la cosa ha una sua logica. La cosa che rimane valida -e importante- è che ogni eccesso della volatilità (in +/-) rispetto alla media costituisce un segnale d’allarme che PUO’ precedere un forte movimento delle quotazioni. Come del resto ci suggeriscono gli squeeze delle bande di Bollinger, i picchi e i minimi del Vix, ecc.
Per costruirlo basta impostare HV(6)/HV(100)= HVR