LA MONTAGNA PIU' ALTA RIMANE SEMPRE DENTRO DI NOI

Il Movimento 5 Stelle, sempre più cagnolino del Pd, si trova ad affrontare l’ennesima crisi, forse quella definitiva.

L’aria di una scissione è sempre più palpabile, così come i malumori all’interno del partito dopo l’alleanza con i “nemici” storici.

“Mai col Pd” è solo un lontano ricordo, così come le battaglie per il Tav, il Tap o l’acqua pubblica.

Il M5S è diventato sistema a tutti gli effetti, con il suo poltronismo spinto e gli accordi di Palazzo.

Chiuse le urne on-line su Rousseau, che hanno avallato il nuovo corso pentastellato al fianco dei dem,
nei territori si cerca di portare a casa nuove intese in vista delle elezioni regionali di fine settembre.


Le spaccature nei territori – come evidenzia anche Marco Conti su Il Messaggero – si sono ampliate dopo il voto sulla piattaforma Rousseau,

“e tutto lascia intendere che si tratti di fratture destinate prima o poi a saldarsi sul territorio nazionale.

Magari dopo il 21 settembre, quando si conosceranno i risultati delle elezioni regionali e del referendum confermativo”.


Una scissione che in molti danno per scontata e che rischia di prodursi anche in Parlamento
dove si avverte forte la tensione per scelte che hanno aperto un acceso confronto nella base pentastellata e nei gruppi parlamentari.


Su tutte, , quella della fine del tetto ai due mandati e delle alleanze con il Pd.


“L’esito della consultazione su Rousseau dovrebbe rinsaldare l’asse M5S-Pd in vista di un autunno che si annuncia molto difficile,
ma – al netto della spaccatura dentro al Movimento – crea problemi anche ai dem accusati di aver trasformato
l’alleanza tecnica anti-Salvini con i grillini di un anno fa in una vera e propria alleanza politica.
In attesa dei sondaggi che testeranno il gradimento dell’elettorato Pd, lo smottamento al centro è evidente”.


Le elezioni regionali di fine settembre rappresenteranno per il Pd e il M5S un passaggio decisivo sul quale misurare l’anno di governo insieme.


Intanto, i 5 Stelle potrebbero farsi trovare, dopo il voto, ancor meno compatti di ora e ancora senza guida.


La scissione, come si diceva, è ormai prossima.
 
Buffoni di corte. Fare di tutta l'erba un fascio, porta allo sfascio. Lo auspico per loro.
Da noi zero - 1 - 2 casi al massimo. In reparto intensivo ZERO.
Che bisogno c'è di chiudere ?



C'è sorpresa, ma soprattutto tanta amarezza e rabbia, nelle parole di Cesare Malinverno,
uno degli imprenditori del nostro territorio colpiti dall'ultimo decreto del Governo

. Il titolare del Dancing Lavello di Calolzio, al 50° anno di attività con la stessa gestione,
non riesce proprio a digerire la scelta - formalizzata ieri, domenica 16 agosto -
di (ri)chiudere le discoteche per contribuire a limitare la diffusione del Coronavirus,
a seguito di un importante aumento di casi su tutto il territorio nazionale.

Discoteche per cui, di fatto, la stagione è iniziata soltanto a metà luglio (e con non poche restrizioni),
dopo diverse incertezze e altrettanti dietrofront sulla loro apertura dettati proprio dalla necessità di monitorare
giorno per giorno l'evolversi dell'emergenza sanitaria e dunque di regolare di conseguenza le modalità di frequentazione degli spazi ad alto rischio di assembramento.

dancinglavello.jpg




"Non capisco proprio a quale gioco stiano giocando a Roma" ha commentato Cesare Malinverno,
"fresco" di un confronto con alcuni colleghi e le associazioni territoriali di categoria,
con cui quest'oggi ha condiviso la delusione e la rabbia per quanto stabilito a Palazzo Chigi.

"Sono ripartite persino le navi da crociera, sulle spiagge non c'è posto nemmeno per uno spillo e i locali sono pieni ovunque:
per un motivo o per l'altro, però, le discoteche sono sempre il capro espiatorio di tutti i problemi,
con noi titolari descritti come "mezzi delinquenti". Mi sembra sia stata adottata una linea sovversiva nei nostri confronti,
con un accanimento incomprensibile: andiamo bene soltanto quando dobbiamo pagare le tasse?".


Con tutti i dubbi del caso, le porte della sala da ballo calolziese si erano riaperte soltanto tre settimane fa,
con i mesi migliori - quelli più intensi, ricchi di feste - già lasciati alle spalle, senza un euro in entrata nelle casse:
buoni i riscontri ottenuti recentemente dai gestori, che avevano previsto di continuare con la programmazione estiva per un altro mese circa,
cercando così di coprire con gli ingressi almeno le spese correnti dell'attività.

"Probabilmente era già tutto prestabilito, ma non riesco proprio a comprendere la ratio di questa decisione" ha proseguito l'imprenditore.

"Qui da noi - come, ne sono certo, nella maggior parte dei locali di questo tipo - non sono mai mancati i controlli, anzi:
ci siamo organizzati per sanificare continuamente i locali, verificare il corretto uso delle mascherine
e misurare la temperatura a tutti gli ospiti, prendendo anche nominativi e firme all'entrata".

"La sicurezza era garantita più che in molte spiagge, ma sembra che nessuno lo abbia notato" ha concluso con amarezza Cesare Malinverno.

"Avrei potuto capire l'introduzione di nuove restrizioni, magari per limitare ulteriormente la capienza delle discoteche,
ma questa scelta non riesco ad accettarla: a questo punto credo che, purtroppo, per molti di noi sarà difficile andare avanti".
 
La nuova chiusura delle discoteche dopo un solo mese dalla loro riapertura, a causa dell’emergenza Covid,
amareggia ma non sorprende Carlo Sormani, titolare della discoteca Orsa Maggiore di Lecco.


«Me l’aspettavo. Ormai per l’opinione pubblica, noi delle discoteche siamo quelli che fanno ubriacare la gente,
i responsabili delle stragi del sabato sera e dello spaccio di droga. Adesso siamo anche i responsabili dei contagi.
Mentre quel che succede sulle spiagge non ha conseguenze sanitarie?
Ho fatto un giro a Riccione settimana scorsa, in viale Ceccarini c’erano assembramenti ovunque».


Per il gestore dell’Orsa il problema della crescita dei contagi non si risolverà in questo modo:

«Noi abbiamo riaperto il 10 luglio. Forse ci si è dimenticato di cosa accadeva prima?
I ragazzi erano in giro per il centro e per le piazze, con le bottiglie in mano, ammassati e ogni sera c’erano risse.
Non credo che con la chiusura delle discoteche i giovani staranno a casa. Il problema tornerà a spostarsi da un’altra parte».



All’Orsa erano state diverse le misure messe in campo per rispettare le norme anti Covid:

«Avevamo limitato la capienza a 900 persone anche se non era esplicitamente richiesto dalla Regione.
L’ingresso avveniva su prenotazione, mentre chi non prenotava per entrare deve compilare un modulo
dichiarando la propria presenza nella discoteca.
Avevamo tenuto aperto tutte e due le piste all’esterno e la spiaggia, pur con un numero ridotto di presenze,
per limitare gli assembramenti e lasciare più spazio fruibile ai clienti.
Al bar c’era un addetto alla sicurezza che limitava gli accessi.
Oltre alla misurazione della febbre all’ingresso, avevamo obbligato tutti i clienti a indossare le mascherine,
anche se in pista non tutti osservavano questa obbligo, ma ci abbiamo provato.
Negli ultimi giorni eravamo stati ancor più rigorosi, vista la situazione».


Per Sormani la soluzione doveva essere un’altra:

«Invece che chiudere, si dovevano controllare le discoteche che non rispettavano le normative.
Noi abbiamo passato un mese a discutere con le persone che non volevano stare alle regole.
Io penso che responsabilità debbano essere personali, non può sempre essere delegato tutti ai gestori dei locali.
Abbiamo lo scanner per vedere se chi entra nasconde coltelli o altro; verifichiamo i documenti per non dare da bere ai minorenni;
adesso avevamo un sacco di moduli da compilare per il Covid e controlli da effettuare.
Ma si dipingono sempre i gestori delle discoteche come quelli che vogliono solo fare i propri interessi.
E allora – conclude provocatoriamente – è giusto chiudere, così l’opinione pubblica è contenta che è stato risolto il problema del virus.
Poi ci si accorgerà che non è così, che i contagi ci saranno ancora e che si tornerà a un mese fa, con le risse e i giovani assembrati in piazza»
 
Con un’ordinanza scriteriata e passibile d’interpretazioni arbitrarie,
il governo ha imposto la serrata delle discoteche e l’uso della mascherina negli orari della movida.


Una mossa ridicola, che arriva dopo un’intera stagione – vivaddio – di balli scatenati, di cui a Roma si sono accorti, guarda caso, solo passato il Ferragosto.

L’impressione è che l’esecutivo fosse in cerca dell’ennesima arma di distrazione di massa,
ora che rischia di andare a schiantarsi su un autunno di clamorosi fallimenti.

Insomma, dietro la misura draconiana assunta ieri e per la quale il giornale unico del virus ha preparato accuratamente il terreno,
si celano motivi politicamente più subdoli della salute pubblica o del desiderio di «difendere i giovani», come ha dichiarato Roberto Speranza.

Ed è proprio il ministro che, evocando il tema della riapertura delle scuole, ci suggerisce il primo.


Il problema è che, in vista del 14 settembre, data in cui i ragazzi dovrebbero rientrare negli istituti di ogni ordine e grado, il governo teme un flop memorabile.


E allora deve cercare un colpevole – i giovani indisciplinati – cui imputarlo.


I banchi a rotelle, cavallo di battaglia di Lucia Azzolina, non arriveranno in tempo per l’inizio delle lezioni.

Le «aule nuove», promesse dal premier il 3 giugno scorso, rimangono una chimera.

Così, il Comitato tecnico-scientifico, che si è capito essere uno specchietto per le allodole del BisConte,
è andato in soccorso dei giallorossi, spiegando che, se proprio non si riesce a mantenere il famoso metro di distanza
tra le «rime buccali» dei ragazzi, basta far indossare loro la mascherina.

Per tutta la giornata scolastica.

Cambiandola ogni 4 ore.

Non c’è che dire, una soluzione agevole: immaginate che piacere stare stipati nelle solite classi pollaio,
respirando per ore da dietro una chirurgica, con gli insegnanti ridotti a poliziotti sanitari, che controllano il corretto utilizzo dei Dpi.

Dove gli alunni sono più piccoli e più difficilmente gestibili, si rischia il caos totale.


L’alternativa è la prosecuzione della didattica a distanza, che è sinonimo di nessuna didattica.


Ma in quel caso, ai genitori che dovranno tornare a lavoro e si ritroveranno con i figli in casa tutto il giorno,
di certo non si riuscirà a vendere la balla della «ripartenza».


Il più evocativo simbolo del ritorno alla normalità, che è il rientro in aula, si potrebbe trasformare in una debacle storica per il governo dei peracottari.


Perciò, l’esecutivo e la sua grancassa mediatica hanno individuato nel popolo della notte un utilissimo capro espiatorio.
Come, in primavera, i morti erano colpa dei runner o di chi allestiva l’arrostata di Pasquetta,
adesso, se Giuseppe Conte e l’Azzolina pasticciano con la scuola, la colpa è dei giovinastri festaioli e negazionisti.


La linea l’ha dettata, nel nome dell’indipendenza degli scienziati, Franco Locatelli, numero uno del Consiglio superiore di sanità.



Il quale, per prevenire l’obiezione di chi nota che mentre qualcuno prova a rinchiudere di nuovo gli italiani,
gli immigrati infetti continuano a sbarcare e fuggire dai centri d’accoglienza, specifica:

il 40% dei nuovi casi dipende da italiani rientrati dalle vacanze, mentre agli immigrati si può imputare solo il 3% dei contagi.

Giusto, dottor Locatelli: lasciamo liberi di scorrazzare per il Paese i nostri fratelli clandestini, punendo invece i connazionali che,
dopo mesi di domiciliari, hanno ballato nei locali che il governo stesso ha riaperto, o che sono andati in villeggiatura all’estero,
approfittando della possibilità di varcare frontiere che sempre il governo ha riaperto.


A questo scenario, va aggiunta la prospettiva che i giallorossi perdano 4-2 le elezioni regionali.


Così, otteniamo il ritratto di un governo che rischia la bancarotta.


Ci vuole tanta, troppa malizia per immaginare che la farsetta sulle discoteche serva a rinviare la data del voto.

Ma di sicuro può essere usata per congelare la campagna elettorale, o per stemperare l’eco di una sconfitta netta alle urne.



Bisogna ricreare le condizioni di un’emergenza che per ora, fortunatamente, non esiste, affinché, all’uopo, magari a macchia di leopardo,
nelle zone economicamente meno centrali, si possa ricorrere a nuovi lockdown.


È l’emergenza preventiva – che, come ripetono illustri giuristi, nel nostro ordinamento non sarebbe contemplata – come premessa dell’emergenza permanente.


L’unica reazione a tale scempio della democrazia liberale sarebbe la disobbedienza civile.



Ma a questo punto, va girata ai lettori e a noi tutti italiani una domanda:

siamo pronti ad assumerci la responsabilità della resistenza al regimetto sanitario?
 
Ops.......


Ancora una volta l’Italia, complice la propria politica permissivista in senso unilaterale, si conferma paese dai due pesi e dalle due misure.

Questa volta a Viareggio, proprio in concomitanza con la chiusura delle discoteche operata dal governo,
è stata la festa dei partigiani a svolgersi in totale libertà e menefreghismo.

Gruppi di persone senza alcun distanziamento sociale, e senza le precauzioni imposte al resto dei cittadini, hanno partecipato all’evento.


La proprietaria di una discoteca chiusa dal governo, ha giustamente espresso vergogna e negativo stupore
nella scoperta che per i partigiani certe regole, di base comunque assurde, non valgano.


Non è la prima volta che eventi simili accadono: lo stesso 25 aprile, in pieno lockdown,
l’ANPI venne lasciata libera di sfilare per Roma
, con annessi assembramenti,
testimoniando come di fatto in Italia le leggi, giuste o sbagliate che siano, non sono uguali per tutti.


Ma vi è anche un ragionamento che strappa un sorriso.

La rossa Toscana, con la politica di parte che il candidato del PD Eugenio Giani vorrebbe continuare ad attuare dopo le elezioni, dimostra che :

quel famoso concetto ideologico di uguaglianza tanto caro alla sinistra,
sia solo utopia da rinnegare dinanzi a qualsiasi pagliacciata che possa raccattare qualche pugno di voti.
 
Il Dipartimento di Giustizia (DOJ) USA ha accusato un veterano della CIA
con 15 anni di esperienza di aver venduto segreti statunitensi alla Cina
– dopo che ha accidentalmente rivelato il suo spionaggio all’FBI, secondo NBC News, -
il tutto con un’indagine che ricorda molto quelle dei film di James Bond.


Secondo documenti del tribunale, il 67enne Alexander Yuk Ching Ma residente ad Honolulu
è stato accusato di aver violato le leggi degli Stati Uniti sullo spionaggio.

I pubblici ministeri hanno dichiarato che Alexander è entrato a far parte della CIA nel 1967,
dove ha lavorato sino al 1989, ed ha lavorato anche nel sud est asiatico.


Dodici anni dopo essere andato in pensione, i pubblici ministeri hanno detto lunedì che Alexander Ma
ha incontrato almeno cinque agenti del Ministero della Sicurezza di Stato cinese in una stanza d’albergo di Hong Kong,
dove ha “rivelato una quantità sostanziale di informazioni di difesa nazionale altamente riservate”,
compresa l’organizzazione interna della CIA, i metodi segreti di comunicazione e l’identità degli ufficiali della CIA e di alcune risorse umane.

Insomma, ha cantato.

Dopo aver lavorato per la CIA , Alexander MA ha lavorato come linguista all’FBI di Honolulu,
dove ha avuto accesso anche a documenti riservati sulla tecnologia militare.


Come hanno fatto a prenderlo ed a farlo parlare?

MA è stato contattato da un funzionario del Partito Comunista Cinese in incognito
che voleva avere una sorta di rapporto anti corruzione sui soldi ricevuti per la sua attività e sul modo in cui era stato trattato.

Peccato che questo fosse un agente della CIA, che poi gli ha pure consegnato 2000 dollari che Ma ha contato, venendo ripreso nell’azione.

Inoltre Ma si è pure augurato il successo della Madrepatria sugli USA.


Quanti sono gli agenti doppi infiltrati in occidente?
 
LSE vuole liberarsi di Borsa Italiana.

Niente di scandaloso: Londra esce dall’Unione, non ha nessun interesse nel tenersi dei pezzi che non le servono,
ha capito che il business vero non è la gestione dei mercati, ma nella gestione dei dati e delle informazioni
e quindi vuole comprare Refinitv da Thompson Reuters.

Che se ne fa di una borsa piccola e dalla crescita asfittica come quella italiana?


La cosa divertente è che ora tutti parlano di Borsa Italiana come se fosse una specie di asset strategico,
con tanto di “Golden power” da applicare perchè non finisca in “Mani Straniere” e tante altre amenità simili.


Questo dopo che fu la privatizzata e da società mutualistica degli agenti di borsa fu prima di tutto trasformata in SPA
e quindi venduta per ben 25 milioni (leggasi 25 milioni) di euro alle banche.


Che, essendo le concorrenti naturali della raccolta dei capitali diretti sul mercato ,
fecero ben poco per svilupparla, salvo venderla a LSE per 1,6 miliardi di euro.


Grazie ad una legge che si rifaceva a Draghi (ma che caso..) un pugno di Banche Italiane fece un bell’utile e perfino acquisì una quota importante nel LSE.

Salvo non saperlo gestire e poi cedere le azioni sul mercato fra il 2007 ed il 2012,
senza neanche aspettare che queste raggiungessero i valori sette o otto volte superiori raggiunti negli ultimi 24 mesi.



Oggi un oggetto vuoto viene definito come “Strategico” e se ne rivendica l’italianità.


Allora penserete che lo comprerà il Tesoro, che magari tornerà ad essere una società mutualistica fra gli operatori?


Macchè, entra in campo CDP con Euronext, cioè la borsa di Parigi.

Alla fine lo stato punta di nuovo ad un partner straniero, dimostrando che, alla fine, è solo una questione di giochetti di potere.


Comunque:

  • In questa fase MTS (titoli di stato) e Borsa sono offerte separatamente;
  • Pare che anche Zurigo e Francoforte siano interessati, il che renderà la gara costosa;
  • evviva il mezzo nazionalismo dei vari Villarosa etc, ma una volta spesi questi soldi (che si potevano spendere diversamente….) che ce ne facciamo di Borsa Italiana?

Perchè se nei ruggenti anni ottanta si parlava della possibilità di raggiungere le mille società quotate,

crisi economiche, capacità gestionali scarse, normative confuse ed una ostilità alla raccolta diretta dei capitali

hanno ridotto Borsa Italiana ad una “Borsa Interrotta”, , cioè ad un tentativo non riuscito.


Se compriamo Borsa Italiana per favorire un pugno di operatori marginali e poter dire che “Abbiamo una borsa”,
come una volta “Abbiamo una banca”, allora sarebbe meglio investire questi soldi in ILVA e si salverebbero più posti di lavoro.


L’alternativa sarebbe uno programma di sviluppo serio del mercato dei capitali, ma per ora non ce n’è traccia.


Quindi stiamo assistendo all’ennesima occasione sprecata, e ad altri soldi per aiutare gli amici degli amici degli amici…
 
Eccola qui la scusa buona per non riaprire. Poveri dementi.
Ma in che mani siamo finiti ? I "malati" sono loro.


Governo nel caos, la Azzolina brancola nel buio.

«Sono giorni decisivi per la scuola, la riapertura non è scontata».

Se nei prossimi giorni il numero dei contagi continuerà a crescere,
c’è il rischio non solo di una “chiusura di aree con focolai”, ma addirittura che “non riaprano le scuole”.


Lo sostiene Walter Ricciardi, consigliere del ministro della Salute Roberto Speranza in una lunga intervista su Il Messaggero.

Tutto, però, «dipenderà dal comportamento responsabile delle persone», precisa.

«In questo momento il contagio è alimentato sostanzialmente per circa il 30-35 per cento
da quei turisti italiani che ritornano dall’estero, e sono soprattutto ragazzi.
Poi un altro 40 per cento è autoctono, sono focolai cioè originati o trasmessi in famiglia o in comunità.
Infine, un 20-30 per cento di persone sono turisti, oppure migranti, o comunque persone che vengono dall’estero».


Ora, il rischio che i bambini non possano tornare a scuola, ribadisce Ricciardi :


«c’è. Dipende se il trend si inverte anche attraverso la decisione presa domenica dal governo di chiudere discoteche
di limitare la movida attraverso l’uso delle mascherine. Noi possiamo e dobbiamo lavorare perché le scuole riaprano.
Ma è chiaro che se abbiamo una esacerbazione e una crescita dei casi, si riapre un enorme punto interrogativo.
Perché di fatto in queste condizioni le scuole potrebbero essere fonte di nuovi focolai.
Quindi, bisogna fare tutti gli sforzi possibili e immaginabili per riaprire le scuole.
E questo significa che serve che da una parte le persone abbiano comportamenti adeguati e che le autorità si preparino adeguatamente».
 
“La scuola è la madre di tutte le battaglie della fine dell’estate per il Governo”.


Quello che in molti ritengono, è che l’esecutivo voglia tendere di nuovo la corda dell’emergenza
per coprire il vero buco che si rischia e cioè quello legato alla riapertura delle scuole.

Disponibilità delle aule e degli spazi alternativi, fornitura dei banchi per tempo
-a prova di Coronavirus, in grado di giocare un ruolo fondamentale nella partita ‘rientro in sicurezza’ stando a quanto ritenuto dalla ministra Azzolina-,
questo e molto altro, a pochi passi dalla data prevista per l’apertura del nuovo anno scolastico, sono ancora avvolti nell’alone dell’incertezza.




4338a36a-dffa-11ea-b249-6fbea5975045.jpg



In effetti, mascherare la non riapertura delle scuole dietro l’aliby rischio/emergenza aumento contagi, seconda ondata,
potrebbe essere più comodo per il Governo rispetto alla possibilità di dover ammettere che non si è riusciti a organizzare per tempo
o che non si è stati capaci affatto di organizzare
.


Di fatto, come afferma l’epidemiologo dell’Imperial college di Londra, Paolo Vineis, in un’intervista concessa a la Stampa,

“la scuola è indispensabile e la sua riapertura è una priorità…
I danni collaterali della chiusura sarebbero forse peggiori di quelli del virus, ma naturalmente vanno prese tutte le precauzioni”.



Lucia_Azzolina-1024x767.png



“Nonostante un certo ottimismo, non ci sono prove che il vaccino funzionerà.
L’alternativa vaccino o lockdown è inaccettabile e bisogna sperimentare altre strade.
L’equilibrio tra contenimento e funzionamento della società sarà fondamentale”.



Sulla scuola si rischia “una rivolta di massa”, ad allertare non uno all’opposizione,
ma il segretario del Pd Nicola Zingaretti in un intervento su La Stampa.


“Sarebbe intollerabile dopo mesi di lockdown far perdere anche solo un’ulteriore ora di lezione, nell’incertezza
o con una apertura a singhiozzo interrotta quasi subito da una nuova pausa del lavoro scolastico
dovuta alle elezioni regionali e referendarie del 20 settembre”.
 
Potrà forse anche sembrare irriverente, e magari fuor di luogo l’accostamento,
ma appena ho letto il testo dell’ordinanza del ministro della Sanità di domenica 16 agosto
(e del governo tutto con lui), subito mi è balenato alla mente quell’esilarante e famoso film di Totò
dal titolo simile a quello che ho dato a questo pezzo.


Se infatti andate a leggere l’ultimo “parto” di questo governo … Oddio, più che parto,
e cioè l’epilogo di una naturale gravidanza che porta alla luce un esserino vivente e vitale,
che comunemente chiamiamo bambino … almeno fino a che a qualche illuminato non verrà la brillante idea di trovarne un altro …
tipo genitore 1 e genitore 2, quella firmata da Speranza (nome evocativo …)
sembra più il frutto di un’interruzione di una gravidanza, e penso non lo troverete poi così inopportuno quel titolo.


E sì, perché la prosa utilizzata dai solerti e diligenti redattori del testo ricordano davvero quel fraseggio sgrammaticato e scoordinato,
e però divertentissimo, tra Totò e Peppino De Filippo, mentre scrivevano la ormai famosissima lettera alla “malafemmena”,
insidiatrice del loro amato nipote, che era … “studente che studia”.


Stavolta i democratici governanti, quelli che si stanno dannando l’anima
(e mi sa tanto che, se davvero, come io sono convinto, un Padreterno c’è, al posto loro non starei tanto tranquillo come ostentatamente cercano di far credere)
l’hanno veramente fatta fuori dal vaso …


È partita in tromba, come sempre in questi casi, la campagna di sostegno e legittimazione da parte del mondo mediatico,
che cerca di convincerci che quel che fanno lo fanno per il nostro bene, per tutelare la nostra salute …


E tanto sono impegnati a difender la nostra salute che, viste le disposizioni che hanno impartito alle terrorizzate Forze dell’Ordine
(un momento … terrorizzate solo se debbono fronteggiare un clandestino violento, magari stupratore, spacciatore o rapinatore,
ma di rigorosa severità se invece hanno di fronte inermi cittadini che magari vogliono solo prender una boccata d’aria), …
che ho il timore che, pur di tutelare la nostra salute … sarebbero pronti ad ucciderci tutti …


Ed hanno affinato la tecnica.


Messo da parte l’ormai abusato DPCM, e magari per spostare l’attenzione altrove, che hanno pensato ….


Grazie a un sicuramente casuale e incessante bombardamento mediatico, che non lascia respiro, dai tg ai quotidiani,
alle trasmissioni tv e radiofoniche ai social, che raccontano all’unisono una realtà che vedono solo loro,
e però del tutto lontana da quella vera, hanno posto un’altra pietra sulla strada che silenziosamente,
e nottetempo, stanno costruendo giorno per giorno verso l’annullamento dei diritti fondamentali.


E così è nata quella cosa, pomposamente battezzata con il titolo di “ordinanza”,
che come anticipavo mi ha riportato alla mente quella esilarante scena del famoso film di Totò,
un mixtum compositum di ipocrisia, malafede e scientifica pianificazione, parte di un preciso disegno,
mettendo da parte il facile sorriso che potrebbe far spuntare osservandone solo il lato comico, o forse tragi-comico,
sembra la plastica rappresentazione di uno spettacolo a cui ben pochi credo avrebbero mai pensato di poter vivere.


La costruzione del punto 1 del deliberato è semplicemente agghiacciante.



Ma come, in un momento storico in cui da tutte le parti si sentono voci che invocano la trasparenza, la chiarezza, la semplicità… si costruiscono norme
(sì, avete ragione, stavolta ho esagerato a chiamarle norme, ma della loro natura ne riparleremo più in avanti), di una genericità sconcertante come questa?!


Ma ditemi, qual è il reale obiettivo?


Quello di Totò e Peppino era chiaro … far sorridere.


Il vostro no!


O forse sì …


Ma procediamo con ordine.


Se non sono in mostruoso arretrato con gli aggiornamenti, e pure questo è possibile, essendo io semplicemente un uomo,

e quindi per definizione fallace, l’art. 85 T.U.L.P.S. dovrebbe essere ancora in vigore ….

E quell’articolo è in una LEGGE, non in un’ordinanza ministeriale …



Pronto?


C’è qualcuno?


Un’ordinanza NON può abrogare una norma di Legge.


Ora, non voglio mettermi a dissertare sulla gerarchia delle fonti normative, che sono convinto,
almeno su questi principi cardine dell’Ordinamento, più o meno tutti conoscano,
e voglio far notare che il solo buon senso possa far capire che una norma di grado minore non può incidere su una di un grado maggiore.


Bene, così è, o forse dovrebbe dirsi sarebbe, perché questi qui, se ne infischiano altamente,
ed è esattamente quello che stanno facendo reiteratamente da qualche mese!


Ma non basta ancora, perché qui il problema più grande è un altro.


C’è, nonostante le assai originali idee del professore chiamato a un incarico per il quale, almeno io, non lo vedo affatto tagliato,
e che mi fa rabbrividire la sola idea di cosa possa aver insegnato ai suoi studenti, un principio generale che forse costui ha dimenticato.


Quello di tipicità delle norme.


Che significa?


Semplicissimo… che una norma DEVE individuare specificamente e indicare chiaramente quali siano i comportamenti vietati,

e non proporre enunciazioni generiche, lasciandone poi l’interpretazione alla libera fantasia di chi sul campo debba andarle ad applicare.



E però, la domanda che alla fine rimane senza risposta è una e una sola:

chissà Cesare Lombroso, non dico studiandoli, che sarebbe troppo, ma solo guardandoli in faccia …. come li avrebbe inquadrati questi qui?
 

Users who are viewing this thread

Back
Alto