Val
Torniamo alla LIRA
Ed ecco il probabile inciucio........
La risposta arriva subito dopo il tramonto, quando gli ambasciatori del Nazareno lasciano intendere agli interlocutori pentastellati che
«a questo punto, i nostri veti sulla presenza di Di Maio nel futuro governo», ove mai nascesse, «non ci sono più».
Certo, il vicepremier uscente non potrebbe ambire ai galloni di vicepremier, forse nemmeno a quelli di un ministero di primissima fascia,
tutte cose che comunque sarebbero oggetto della trattativa finale. Ma sull’ingresso nell’esecutivo, no; ostracismi di vario tipo non ne subentrerebbero.
A tarda sera, quindi, i due fronti un piccolo passo in avanti l’hanno fatto. E a fari spenti.
Il «nome» più atteso d’Italia potrebbe essere «terzo» rispetto ai due partiti.
Da Francoforte, nel pomeriggio, fonti autorevoli della Bce hanno già fatto sapere che,
seppure onorato dell’interessamento espresso da esponenti politici di più parti, Mario Draghi è indisponibile.
Tolto l’asso di cuori, dal mazzo viene fuori una carta coperta, già oggetto del dialogo incrociato tra gli ambasciatori.
«Il vero elemento di discontinuità, in grado di arrestare sul nascere la smania dei furbetti
che potrebbero far nascere il governo per poi togliergli la fiducia a piacimento, sarebbe accordarsi su una donna presidente del Consiglio»,
riassume uno degli autorevoli «mister X» che fa la spola per tutto il giorno tra la Camera, il Senato e gli uffici in uso ai gruppi di Pd e M5S.
La suggestione, prima che sia notte, avrebbe raggiunto sia Di Maio che Zingaretti.
Una donna, insomma.
La prima donna a Palazzo Chigi della storia d’Italia.
Fuori dalle casacche di partito e senza una storia politica di parte, un identikit che quindi non assomiglia ai profili di Emma Bonino o di Laura Boldrini, tanto per capirci.
Un identikit che assomiglia e molto a quello di Marta Cartabia, classe 1963, giudice costituzionale.
L’indicazione toglie dal panico il gruppo che guida il M5S.
Un gruppo di senatori riunitosi attorno a Paola Taverna aveva iniziato a caldeggiare elezioni anticipate.
«Meglio andare adesso al voto che finirci dopo per mano di Renzi, no? Soprattutto se possiamo sfruttare la popolarità di Conte come candidato premier».
Conte, interpellato, aveva già opposto il suo niet. Della serie, «non sono disponibile a candidarmi alle elezioni, se ci saranno».
Il premier dimissionario, non è un mistero per nessuno, s’è defilato nella speranza che all’ultimo giro di giostra il suo nome possa di nuovo spuntare fuori.
Nonostante il veto di Zingaretti.
Già, Zingaretti. Dalle parti del segretario del Pd insistono su una maggioranza
«il più ampia possibile» proprio per blindarsi aritmeticamente — soprattutto al Senato — dalla golden share dei renziani.
E ottengono, nella massima riservatezza di un dialogo sottotraccia condotto con l’ala di Forza Italia che risponde agli impulsi di Gianni Letta, un risultato non da poco.
I berlusconiani staranno all’opposizione, questo è ovvio. Ma un gruppo di «responsabili» che potrebbero diventare sensibili alle sirene di Arcore,
qualora al governo nascituro servisse un soccorso, quel soccorso numerico sono pronti a offrirlo.
La risposta arriva subito dopo il tramonto, quando gli ambasciatori del Nazareno lasciano intendere agli interlocutori pentastellati che
«a questo punto, i nostri veti sulla presenza di Di Maio nel futuro governo», ove mai nascesse, «non ci sono più».
Certo, il vicepremier uscente non potrebbe ambire ai galloni di vicepremier, forse nemmeno a quelli di un ministero di primissima fascia,
tutte cose che comunque sarebbero oggetto della trattativa finale. Ma sull’ingresso nell’esecutivo, no; ostracismi di vario tipo non ne subentrerebbero.
A tarda sera, quindi, i due fronti un piccolo passo in avanti l’hanno fatto. E a fari spenti.
Il «nome» più atteso d’Italia potrebbe essere «terzo» rispetto ai due partiti.
Da Francoforte, nel pomeriggio, fonti autorevoli della Bce hanno già fatto sapere che,
seppure onorato dell’interessamento espresso da esponenti politici di più parti, Mario Draghi è indisponibile.
Tolto l’asso di cuori, dal mazzo viene fuori una carta coperta, già oggetto del dialogo incrociato tra gli ambasciatori.
«Il vero elemento di discontinuità, in grado di arrestare sul nascere la smania dei furbetti
che potrebbero far nascere il governo per poi togliergli la fiducia a piacimento, sarebbe accordarsi su una donna presidente del Consiglio»,
riassume uno degli autorevoli «mister X» che fa la spola per tutto il giorno tra la Camera, il Senato e gli uffici in uso ai gruppi di Pd e M5S.
La suggestione, prima che sia notte, avrebbe raggiunto sia Di Maio che Zingaretti.
Una donna, insomma.
La prima donna a Palazzo Chigi della storia d’Italia.
Fuori dalle casacche di partito e senza una storia politica di parte, un identikit che quindi non assomiglia ai profili di Emma Bonino o di Laura Boldrini, tanto per capirci.
Un identikit che assomiglia e molto a quello di Marta Cartabia, classe 1963, giudice costituzionale.
L’indicazione toglie dal panico il gruppo che guida il M5S.
Un gruppo di senatori riunitosi attorno a Paola Taverna aveva iniziato a caldeggiare elezioni anticipate.
«Meglio andare adesso al voto che finirci dopo per mano di Renzi, no? Soprattutto se possiamo sfruttare la popolarità di Conte come candidato premier».
Conte, interpellato, aveva già opposto il suo niet. Della serie, «non sono disponibile a candidarmi alle elezioni, se ci saranno».
Il premier dimissionario, non è un mistero per nessuno, s’è defilato nella speranza che all’ultimo giro di giostra il suo nome possa di nuovo spuntare fuori.
Nonostante il veto di Zingaretti.
Già, Zingaretti. Dalle parti del segretario del Pd insistono su una maggioranza
«il più ampia possibile» proprio per blindarsi aritmeticamente — soprattutto al Senato — dalla golden share dei renziani.
E ottengono, nella massima riservatezza di un dialogo sottotraccia condotto con l’ala di Forza Italia che risponde agli impulsi di Gianni Letta, un risultato non da poco.
I berlusconiani staranno all’opposizione, questo è ovvio. Ma un gruppo di «responsabili» che potrebbero diventare sensibili alle sirene di Arcore,
qualora al governo nascituro servisse un soccorso, quel soccorso numerico sono pronti a offrirlo.