Tornando all'intervento pubblico di
Eric Hobsbawm, mi piace notare che quello che lui chiama "la nostra canzone", cioè il valore aggiunto dato ad un pezzo musicale perché associato ad un nostro vissuto, non si discosta molto dal concetto di "Monumento personale" di cui parlavo prima. Anche in questo caso un'opera d'arte mi appare più gradita, probabilmente anche più valida, o significativa, per il fatto di averla associata con un momento importante della mia vita. Il tutto poi va inserito, come correttamente osserva
@HollyFabius, in una prospettiva storica, di periodo, per la quale, a ben vedere, valgono gli stessi criteri, solamente non riferiti al singolo, ma moltiplicati per le masse e divenuti moda.
Ho recentemente verificato come a Cuba (un'isola, e per di più ulteriormente "isolata" dalla politica) rimanga di gran moda il video musicale, altrove quasi espulso dal mercato, unitamente ad un genere musicale (per me orribile, va da sé), il reggaeton che altrove viene totalmente ignorato, e sarebbe improponibile (ma certo l'alternativa è parimenti scatologica). Cubani in giro per il mondo mettono nella suoneria dello smartphone queste fastidiose musiche, che per loro hanno comunque il significato di "home", di identità collettiva, non direttamente individuale.
Pertanto, anche nei quadri che il collezionista si degusta ogni dì sul muro del salotto, aspetti di monumento personale - sempre presenti - convivono con aspetti di valori collettivi. Per questi ultimi aspetti,ad esempio, molti acquistano quadri di autori locali, portatori di una cultura in cui trovare identità; e molti acquistano opere di artisti contemporanei, che ugualmente rappresentano un valore collettivo in cui il singolo può rispecchiarsi, a differenza degli autori del passato - a meno che non si sia sviluppata una cultura storica). Poi, all'interno di questa cornice (salvo eccezioni, naturalmente) l'individuo rimarcherà momenti più personali, cioè una canzone invece che un'altra, un pittore invece che un altro, e, nel lungo corso di una vita, un periodo invece che un altro.
Si potrebbe ulteriormente osservare come queste scelte riguardino l'identità, mentre le scelte di soggetto, ad esempio, o di "tecnica" in senso lato, riguardino invece non l'io, ma il carattere. Perciò vi sarà chi preferisce il paesaggio, riposante e un po' dispersivo, chi invece il nudo femminile (anche maschile ...), evocatore di passioni, chi l'astratto che permette di immaginarsi una maggiore libertà personale, chi il bianco-nero rispetto ai colori ecc. Tutto ciò risponde piuttosto a scelte caratteriali (antiche, o almeno subconscie) piuttosto che a scelte coscienti e magari legate ad una esperienza particolare. Avviene allora che l'amante dell'acquarello (chiamiamolo personalità "delicata"), dopo essersi appassionato ai lavori locali, scopra il mondo della pittura orientale su carta (Cina, Giappone) e trasferisca su esso le proprie passioni. Perché, certo, il paesaggio giapponese è ben lontano dalla nostra sensibilità collettiva: però può essere vicinissimo ad una particolare sensibilità caratteriale, più che un lavoro occidentale che, magari, invece di sviluppare lo specifico dell'acquarello si sforzi piuttosto di correre dietro ai risultati delle tempere o degli oli.