LE MATITE SPEZZATE SCRIVONO ANCORA

Si mangiano si mangiano. Gli squali hanno fame.
Ieri sera ne ho sentita una del pd - non ha senso fare il nome del nulla -
che giustificava il tutto. Con nonchalance. Qui sotto scrivono "normalità" "consuetudine".

Ad attaccare sulla gestione del caso legato all’ex ministro dello Sport
(che si è autosospeso dopo i suoi incontri notturni con il pubblico ministero Palamara
e altri esponenti del Csm durante i quali parlavano di nomine negli uffici giudiziari, ndr)
sono soprattutto gli esponenti dell’area che ha sostenuto Roberto Giachetti all’ultimo Congresso dem.

Luca Lotti? Contro di lui una gogna mediatica, è stato un capro espiatorio che ha coperto il problema vero, i dossieraggi tra magistrati.
Dobbiamo discutere di come riformare il meccanismo di elezione”, ha rivendicato Alessia Morani.
“Parliamo sulla giustizia come faceva Berlusconi? Non è vero, mi riporti dichiarazioni simili”, ha sbottato la deputata.
Convinta che i rapporti tra politica e magistratura siano “la normalità“, o meglio ancora “una consuetudine“.

Altri sono più soft, come Matteo Orfini: “Qui il problema vero è dentro la magistratura. Non si possono usare vicende giudiziarie contro i compagni di partito“.


Francesco Boccia, invece, attacca: “Lotti ha fatto male al Pd? Ha sbagliato a occuparsi di cose delle quali non aveva delega,
ma l’autosospensione è gesto di responsabilità. Ora caso chiuso? No, è il primo passo”, precisa.

Ma le polemiche coinvolgono anche la gestione stessa del partito: “Sbagliata la scelta della segreteria“, ha attaccato il capogruppo al Senato Andrea Marcucci.

Mentre Lorenzo Guerini, che continua a tenere rapporti con la maggioranza, taglia corto:
“Si è passato da un’idea di segreteria unitaria a una più legata alla maggioranza, ma è legittimo. Scissione? No, almeno per me”, allontana le ombre.

Chi segue Carlo Calenda, invece, nell’idea di lanciare un soggetto accanto al Partito democratico è il senatore Matteo Richetti:
“Se un partito discute per settimane di polemiche è un partito che non fa più politica. Può essere che si debba superare l’idea di un partito unico.
Non mi interessa la scomposizione del Pd, ma dico costruiamo oltre al Pd, insieme al Pd, qualcosa che parli a chi non ama l’autoreferenzialità”.

Ma Boccia dalla maggioranza taglia corto: “Non serve”.
 
Nel giorno in cui il Consiglio d’Europa richiama l’Italia chiedendo di dare subito un porto ai migranti a bordo della Sea Watch 3,

il Tar del Lazio respinge il ricorso della ong per contestare il divieto di ingresso in acque territoriali
dell’imbarcazione che si trova a sud di Lampedusa con a bordo 43 migranti soccorsi una settimana fa.

Intanto la procura di Agrigento ha aperto un fascicolo d’inchiesta. Il procuratore aggiunto, Salvatore Vella,
nel fascicolo – a carico di ignoti – ha ipotizzato il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina
 
Un articolo/intervista dove Anna Bono (Università di Torino, Storia e istituzioni dell'Africa)
spiega che quelli che arrivano non scappano da nessuna guerra e non sono poveri.

"Per lo più, oltre l’80 per cento, sono giovani maschi, di età compresa tra i 18 e i 34 anni, che viaggiano da soli. Le coppie e le famiglie sono una minoranza"

"Va detto, comunque, che esiste sul tema dell’immigrazione un falso mito: la maggioranza non fugge da situazioni di estrema povertà.
In genere sono persone provenienti da centri urbani, ed è lì che maturano l’idea di lasciare il Paese.
Dunque mi sembra corretto sostenere che il grosso dei migranti appartenga al ceto medio:
persone non ricche, ma nemmeno povere, in grado di pagare profumatamente chi organizza i viaggi"

"Qui non parte gente che non ha nulla, parte gente che vuole di più"

"chi arriva in Europa per lo più non fa altro che alimentare verso i propri parenti e amici in Africa l’idea che sia giunto ad un traguardo per cui vale la pena spendere e rischiare."

"Bisogna scoraggiare gli africani a emigrare, ecco perché..."
 
Ha mai ricevuto pressioni in Rai?
“Questo mai. Ma le sembro uno che riceve pressioni io? Ora le spiego com’è nata la storia di CartaBianca”.

Racconti.
“Mi hanno chiamato a inizio stagione per una puntata e hanno visto che funzionavo.
Poi hanno provato una seconda volta, una terza, e funzionavo ancora. Sa perché?

Perché i pagliacci che dicono la verità piacciono e fanno ascolto.

In questa Italiota mediocre, calciofila e ferrarista, uno che finalmente si esprime come in osteria ma con educazione – finché non viene provocato – fa ascolti.
Così mi hanno proposto di fare tutto l’anno con loro: ho accettato per vanità, ma anche con la speranza di poter parlare della montagna ferita,
della montagna che non ha lavoro, dei paesi che muoiono, dei problemi che ci sono quassù.
Lì avrei voluto toccare qualche nervo scoperto, avrei voluto parlare di questi temi. Mica esistono solo Cortina e Courmayeur”.

Non le hanno dato questa possibilità?
“Ogni mia richiesta, ogni mia tentata visibilità ai temi della mia montagna che sta morendo, è stata elusa con una risata.
Io mi sono rotto anche le palle di parlare di questi migranti in tutte le puntate.
Ma ora non c’è altro da aggiungere: ci si ripete, ci si ripete… io voglio soltanto parlare dei temi che mi stanno a cuore.
Accetterei di fare di nuovo Carta Bianca solo se mi venisse data la possibilità – per iscritto – di poter parlare della terra estrema,
dove si fa fatica ad arrivare a fine mese, dove i problemi sono all’ordine del giorno. Non tollero che mi si chiuda la bocca”.

C’è chi dice che il suo rapporto televisivo con Bianca Berlinguer sia caratterizzato da dialoghi surreali e stabiliti a tavolino come in una sit-com.
“Le baruffe che ho fatto lì sono state tutte autentiche, lo garantisco
. A volte sono caduto in intemperanze e reazioni, che definirei naturali, soltanto perché non sopporto chi interrompe
o chi parla sopra all’altro senza consentirgli di finire un discorso. Ma io non studio nulla a tavolino.
Sa perché sono convinti del contrario? Perché vogliono affondare la lancia contro la Berlinguer.
Non lo fanno soltanto i suoi avversari politici ma anche gli stessi della sua corrente. Vogliono danneggiarla e si attaccano a tutto.
Questa è l’Italietta mediocre delle piccole vendette, dell’odio, della mancanza di larghe vedute.
E’ l’Italietta da massaia che si sviluppa anche nei mezzi di comunicazione, purtroppo”.

Ma lei e la Berlinguer siete amici? Qual è il vostro rapporto a telecamere spente?
“Guardi, con la Berlinguer mi sarò sentito due volte al telefono. La terza volta, questo inverno, abbiamo litigato.
Forse mi aveva detto di essere più attento e di essere meno irruento, non ricordo con precisione.
Fatto sta che a me non si dice cosa devo o non devo fare. Dopo quella baruffa lì, non l’ho più sentita”.

Salvini ha detto: “A Erto, nel paese di Mauro Corona, la Lega arriva al 55,3%, quindi conto di festeggiare con un bicchiere di rosso dall’amica Bianca Berlinguer il prima possibile…”.
“Guardi che io, non essendo un ruffiano, mi sento spesso con Salvini tramite messaggini. Non dico tutte le settimane, ma quasi.
Se riesce a fare quello che ha promesso a me sta anche bene. A guidare l’Italia non è mica una squadra di calcio a cui bisogna fare il tifo: se uno fa qualcosa di buono a me sta bene”.

Ma la televisione aiuta a vendere i libri?
“Una volta, sì. Quando andavi da Fazio vendevi molto. Oggi la televisione non aiuta più, ma aiutano i premi, come lo Strega,
che guarda caso sono pilotati dalle case editrici. Lo sanno ben tutti.

Il mio libro Nel Muro, che è tra l’altro un racconto terrificante sulla violenza sulle donne ed è di un’attualità sconcertante nonostante sia ambientato nel secolo scorso, non è stato messo allo Strega.
Questi soloni dicono di leggere 170 libri in tre giorni per tirare fuori 12 finalisti, ma a chi la danno a bere?
Ma manco nelle loro vite hanno letto 170 libri.
Mi sento in trappola e con me qualche milione di italiani.
Il potere decide tutto: che sia di destra o di sinistra, che siano le banche, i finanzieri o le case editrice. Siamo in balia”.

L’imitazione di Crozza l’ha mai offesa?
“Guardi, io sono uno che non ride quasi mai, eppure con Crozza mi faccio di quelle risate. Quell’imitazione è grandiosa. Grandiosa.
C’è chi mi ha detto: “Perché non lo denunci?”. Ma perché dovrei denunciare Crozza? Mi ha fatto una pubblicità strepitosa.
Ci sono persone che pagherebbero per essere imitati…. Anzi, le dirò di più, quando non mi imita sono quasi avvilito.
Non so quando, ma prima o poi faremo una gag insieme”.

Quale sarà il suo rapporto con la televisione in futuro?
“Ho provato a combattere la mia battaglia televisiva, ora basta. Altro che muro di gomma, il muro di gomma almeno ti respinge, sano e salvo.
Questo è un muro che ti inghiotte e ti frantuma. Penso che la mia faccia abbia invaso anche troppo le cucine degli italiani.
Ho quasi 69 anni e non ho voglia di perdere tempo. Quello che mi resta da vivere voglio passarlo sulle mie montagne a fare scalate, leggere libri e a volte scriverne qualcuno”.
 
Riporto l'intervista integrale di Anna Bono. L'intervista è datata. Un anno fa.

Chiediamoci come mai persone esperte non vengono mai invitate nei talk show.
Perchè non viene dato loro risalto nei media nazionali . Non esiste forse "la pruralità d'informazione " ?

Prof.ssa Bono, anzitutto chi sono gli immigrati che arrivano in Europa dall’Africa?
“Per lo più, oltre l’80 per cento, sono giovani maschi, di età compresa tra i 18 e i 34 anni, che viaggiano da soli.
Le coppie e le famiglie sono una minoranza. Provengono da una serie di Paesi dell’Africa subsahariana,
anche se quest’anno c’è stato un picco di emigranti tunisini, con una prevalenza dall’Africa centrale e occidentale,
da Paesi come Nigeria, Senegal, Camerun, Costa d’Avorio, Ghana…”.

Mediamente qual è la condizione sociale di queste persone?
“Non è facile dirlo perché ci sono situazioni anche molto diverse tra loro.
Va detto, comunque, che esiste sul tema dell’immigrazione un falso mito: la maggioranza non fugge da situazioni di estrema povertà.
In genere sono persone provenienti da centri urbani, ed è lì che maturano l’idea di lasciare il Paese.
Dunque mi sembra corretto sostenere che il grosso dei migranti appartenga al ceto medio:
persone non ricche, ma nemmeno povere, in grado di pagare profumatamente chi organizza i viaggi”.

E allora come matura l’idea di emigrare, se non si è in condizioni di povertà e non si vive in zone di conflitto?
“Per rispondere ritengo importante citare il ministro dei Senegalesi all’Estero, che un paio d’anni fa ha detto in un’intervista:

‘Qui non parte gente che non ha nulla, parte gente che vuole di più’.
L’idea diffusa in Africa è che basta arrivare in Europa per godere del benessere, senza considerare però che dietro la ricchezza prodotta ci sono dei sacrifici”.


Come si alimenta questa illusione?
“Ad alimentarla sono vari fattori. Uno su tutti: i trafficanti, che come è noto gestiscono la gran parte dei viaggi verso l’Europa.
Sono loro che rafforzano questa idea, lo fanno ovviamente per procurarsi clienti.

È utile sottolineare che il 13 giugno è stato pubblicato dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (Unodc)
un rapporto dal quale emerge che nel 2016 queste organizzazioni criminali hanno trasportato almeno 2,5milioni di persone,
delle quali quasi 400mila verso l’Italia, ricavandone in tutto da 5,5 a 7 miliardi di dollari.
Il rapporto spiega dettagliatamente come funziona l’avvicinamento ai clienti, l’opera di convincimento, nonché quali sono le varie tariffe”.


Esiste però un’opera di dissuasione da parte di chi è già arrivato in Europa e si è reso conto che il “Bengodi” era un’illusione?
“Al contrario, chi arriva in Europa per lo più non fa altro che alimentare verso i propri parenti e amici in Africa
l’idea che sia giunto ad un traguardo per cui vale la pena spendere e rischiare.
La tendenza è quella di descrivere situazioni positive, anche quando non lo sono, per giustificare la propria scelta.
Ma va detto che spesso, in effetti, chi arriva non ha nulla di cui lamentarsi: siccome quasi tutti chiedono e ottengono asilo,
almeno nei primi anni godono di un sistema di protezione e di assistenza da far invidia a chi non è ancora partito”.

D’accordo, ma le notizie delle traversate nel deserto, dei campi di detenzione libici, delle tragedie nel Mediterraneo non dovrebbero rappresentare un deterrente nei confronti di chi vuole partire?
“Il punto è che queste situazioni le conosciamo più noi che loro.
L’accesso ai mezzi d’informazione degli africani, anche di coloro che vivono nelle città, è molto limitato.
Detto ciò, molti conoscono i rischi e sono disposti ad accettarli, così come non si può escludere che molti altri,
magari in un primo momento intenzionati a partire, desistano proprio alla luce di queste tragedie.
A tal proposito vorrei sottolineare l’importanza del lavoro di controinformazione che stanno svolgendo alcuni soggetti in Africa”.

Prego…
“Alcuni governi, così come molte conferenze episcopali africane, si stanno spendendo per spiegare ai giovani quanto costa,
quanto si rischia e quanto poco si ottiene nel lungo periodo ad emigrare in Paesi dove non c’è occupazione né possibilità concreta di integrazione economica e sociale”.

Quali governi stanno svolgendo questo lavoro?
“Quello del Senegal, del Niger, dal 2014 anche quello del Mali, il quale sta facendo una forte propaganda per dimostrare
che un Paese dal quale emigrano i suoi cittadini più giovani e forti non crescerà mai.
E ancora: quello della Sierra Leone a partire dall’anno scorso e in collaborazione con le autorità religiose, sia quelle cristiane che islamiche.
Sono piccoli passi in avanti che incoraggiano i giovani non a fuggire ma a restare per migliorare il proprio Paese”.

E i rifugiati? Qual è il loro numero esatto?
“L’ultimo rapporto dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) parla di oltre 60milioni di profughi in generale.
Se poi parliamo di rifugiati, ovvero di persone che fuggono all’estero da guerre e persecuzioni, la cifra è di circa 20milioni.

Di questi soltanto una minoranza esigua arriva in Italia, chiede asilo e lo ottiene:
per quantificare, nel 2015 sono stati 3.555, nel 2016 4.940 e nel 2017 6.578”.


Perché sono così pochi? L’idea diffusa è che i conflitti siano la principale causa delle emigrazioni…
“Perché la maggior parte di chi fugge da una guerra trova asilo appena varca il confine,
del resto la Convenzione di Ginevra prevede che il profugo chieda tempestivamente asilo nel primo Paese che ha firmato la Convenzione in cui mette piede.

C’è poi un secondo motivo: chi fugge sotto la minaccia di persecuzione e di guerra cerca di rimanere il più vicino a casa perché l’idea è quella di tornarci il prima possibile”.

Quanto incide sull’emigrazione anche lo sfruttamento delle risorse? Penso ad esempio al land grabbing, ossia l’accaparramento delle terre da parte di Paesi stranieri o industrie…
“Sicuramente sono fattori che hanno una loro incidenza.
Le responsabilità vanno trovate anzitutto nei governi africani, i quali - per restare al tema del land grabbing -
preferiscono vendere le terre ad industrie o a Paesi che hanno fame di terre coltivabili (Cina, India, Arabia Saudita)
incassando subito del denaro piuttosto che incentivare l’agricoltura locale anche tramite investimenti.
L’Africa è ricca di risorse minerarie, penso al cobalto ma soprattutto al petrolio, il quale viene acquistato e pagato dalle compagnie, ma il problema è capire dove vanno a finire i soldi”.

Dove?
“Le do un dato: nel 2014 su 77miliardi di dollari che avrebbe dovuto incassare l’ente nazionale del petrolio nigeriano, 14 non sono mai stati depositati.
Sono finiti in qualche conto corrente, mentre sarebbero dovuti servire per lo sviluppo sociale del Paese.
La Nigeria, pur essendo il primo produttore di petrolio del Continente, importa il greggio già raffinato dall’estero.

Tenga conto che l’Africa da oltre 20 anni registra una crescita economica notevole, e in prima fila ci sono i Paesi da cui proviene la maggior parte dei migranti,
solo che queste risorse vengono dilapidate o se ne giovano poche elite”.


Al recente Consiglio europeo gli Stati si sono impegnati a contribuire ulteriormente al Fondo Ue per l’Africa inviando altri 500milioni.
È un modo per “aiutarli a casa loro” o per alimentare la corruzione di cui ha parlato?

“Questi 500milioni sono un ulteriore quantitativo, che si aggiunge ai miliardi che ogni anno vengono destinati all’Africa dalla cooperazione allo sviluppo di Stati Uniti ed Europa.
Infatti quando sento invocare un ‘piano Marshall’ per l’Africa resto basita, perché di risorse ne vengono già inviate in modo ingente, ma i destinatari, cioè i governi, sono poco affidabili.
Le faccio un esempio: in Somalia, che è uno dei Paesi maggiormente assistiti, la Banca mondiale qualche anno fa ha dimostrato che ogni 10dollari che vengono elargiti al governo, 7 spariscono nel nulla”.


Lei ha citato la Somalia, dove forte è la presenza del radicalismo islamico: è possibile che questi soldi che spariscono nel nulla finiscano ad arricchire i gruppi jihadisti?
“Eh, chi lo sa… Certo è che questi gruppi hanno fonti di reddito molto robuste e sponsor molto potenti.
Inoltre sono spesso invischiati in traffici illegali: spaccio di droga, di armi, bracconaggio.
Anni fa si è scoperto che gli Al Shabaad della Somalia ottengono circa il 40 per cento dei proventi dalla vendita di zanne di elefante.
Consideri che in Kenya c’è un detto: ‘Oggi è stato ucciso un elefante, domani sarà ucciso un uomo’, proprio per sottolineare la correlazione tra bracconaggio e terrorismo”.

Una ricerca delle Nazioni Unite rivela che nel 2050 ci sarà un'ulteriore crescita demografica dell'Africa e un declino dell'Occidente.
L'immigrazione di massa non sarà sempre più un fenomeno ineluttabile?

"Anzitutto si tratta di proiezioni, non di dati certi. Non è affatto detto che tra trent'anni la situazione rimarrà la stessa di oggi in termini demografici.
Delle buone politiche familiari e un cambio culturale potrebbero invertire la tendenza demografica in Occidente,
così come è possibile in primo luogo che la popolazione africana non aumenterà come l'Onu prevede
(già si registra una piccola variazione verso il basso rispetto ai pronostici di pochi anni fa) e poi che l'Africa diventi finalmente un continente
in grado di svilupparsi e di convincere i propri giovani a non fuggire alimentando i traffici clandestini di migranti".

Parlando di Italia, come valuta le recenti polemiche tra il governo italiano e le ong?

“A mio avviso il modus operandi di molte ong è molto discutibile, perché entrano in contatto diretto con i trafficanti
e prevedono il trasbordo quasi in acque territoriali libiche per poi dirigersi verso l’Italia, anche se battono bandiera di un altro Stato e se il porto più vicino sarebbe altrove.

Già il precedente governo, con il ministro Minniti, aveva sollevato il problema e aveva pensato di prendere provvedimenti.
Il nuovo governo si sta dimostrando solo più determinato, ma l’intento è rimasto quello di far rispettare la sovranità nazionale e le leggi internazionali”.

Non c’è il rischio, per mutuare il motto di una recente iniziativa, che chiudendo i porti “non si resti umani”?
“L’Europa in generale, ma nello specifico l’Italia sono molto lontane dalla fase più prospera della loro storia:
gli ultimi dati ci parlano di 5milioni di italiani in povertà assoluta e centinaia di migliaia di italiani emigrano all’estero, l’Italia è 20esima tra i Paesi di emigrazione.
In questa situazione, è solo giusto impedire a delle persone di raggiungere un Paese che può assisterli nel breve periodo, ma che non è in grado di garantire loro un futuro dignitoso.
Chi arriva dall’Africa in Italia ha remotissime possibilità di costruirsi una vita: il più delle volte è destinato a vivere di espedienti,
a lavorare in nero e in condizioni disumane magari in qualche campo di pomodori oppure ad ingrossare le fila della criminalità organizzata”.


Chiudere i porti dunque può essere un modo per scoraggiare i viaggi clandestini?
“Esattamente. È importante che si alimenti il passaparola tra migranti stessi.
Esistono tantissime testimonianze di giovani che hanno iniziato il viaggio verso l’Europa ma che non sono riusciti ad arrivare a destinazione,
i quali affermano che se lo avessero saputo non avrebbero speso soldi e sprecato anni della propria vita per un’impresa così aleatoria.
L’unico modo per scoraggiare questi progetti senza futuro è proprio quello di dimostrare che il viaggio della speranza è un’illusione,
che a destinazione non si arriva: e chiudere i porti è il messaggio più netto che possa giungere”.
 
Anna Bono, africanista ed ex ricercatore in Storia delle Istituzioni dell’Africa all’Università di Torino, autrice del saggio Migranti!? Migranti!? Migranti!? (ed. Segno, 2017)
 
La Verità ha sentito la compagnia di assicurazione marittima norvegiese Gard, secondo cui in Libia

"tutti i porti funzionanti sono da considerarsi sicuri per le navi e i loro equipaggi".

Almeno per quelle commerciali.
Certo, le Ong dicono che poi i migranti tornano nelle carceri libiche, ma pure Salvini ricorda che "in alcune strutture libiche ci sono inviati dell'Onu e delle associazioni umanitarie".

Peraltro, la Marina libica viene addestrata dal 2016 dalla operazione Sophia a realizzare operazioni di soccorso in mare.
Quindi un po' bisognerà fidarsi, no?

Eppure le Ong insistono a non voler consegnare i migranti alla Libia e a puntare verso l'Italia.

E pensare che le operazioni di sbarco a Tripoli sono seguite da personale dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni:
"L’OIM in Libia è presente, ed è attiva ai punti di sbarco, dove fornisce una prima assistenza ai migranti soccorsi in mare",
scriveva a marzo sul proprio sito l'agenzia dell'Onu.

Quindi il problema non è lo sbarco, ma quanto accade subito dopo.

"Dopo lo sbarco - spiega l'Oim - i migranti sono però spesso trasferiti in centri di detenzione gestiti dal governo sui quali l’OIM non ha nessuna autorità.
Si tratta di centri chiusi, e la detenzione di uomini, donne e bambini al loro interno è da considerarsi arbitraria.
Le condizioni inaccettabili e inumane di questi centri sono ampiamente documentate.
In generale la situazione nel paese rimane molto pericolosa e l’OIM non può garantire la protezione dei migranti in Libia".

Allora sorge una domanda: perché l'Ue, l'Onu, l'Oim, e tutte le altre sigle che si dicono "umanitarie", non investono per migliorare le condizioni dei migranti a Tripoli?
 
Ultima modifica:
Diciamo la verità. Il giro è questo :

Questi vengono dai loro paesi in Libia. Perchè ? Ci sarà un perchè, vero ? Nessuno li costringe ad andare in Libia.

Qui trovano "il giro" che li porta in Italia. Ma probabilmente è già organizzato nel loro paese.
Praticamente gli danno un "pacchetto". E Pagano. Pagano.

Partono. Chi gli va bene. Arrivano.

Chi torna indietro. Pensate che i libici, proprio i libici siano dei fessi ?
Sanno benissimo che questi hanno i soldi.
Li prendono, ma chi li prende ? Sempre i soliti che organizzano "il pacchetto viaggio".
Li mettono al sicuro, perchè chi lo sa quale concorrenza c'è tra loro ed aspettano che paghino di nuovo.

Altro viaggio. E vai così ........7 MILIARDI DI DOLLARI.

E noi qui a fare i fessi.

Ma quelli delle ong non credete che abbiano un tantino di interesse anche loro ?

Io penso di sì. Pensatelo anche voi.
 
Che mondo. Eccone un altro che si fa bello con il kulo degli altri.
Bello predicare e .......vivere in Svizzera. Cojoni quelli che lo arricchiscono.

Il rapper si prepara alle nuove date estive del tour – Summer 2019 e lancia il concept EP dal titolo “Gelida Estate”, in uscita il 21 giugno.
Cinque brani inediti dalle suggestioni latine alla dance Anni 90, dalla afro-trap alle atmosfere rarefatte.Il primo singolo estratto è “Montenapo” in duetto con Lazza.

A 38 anni e 22 anni di carriera l'artista traccia un bilancio con una lunga chiacchierata al settimanale Vanity Fair.

Una vita spericolata, ma con un autocontrollo che l'ha salvato in diverse occasioni.
“La droga per me, non è mai stata un mezzo per stimolare la creatività e non voglio dire di non essere debole, perché invece lo sono.
Ma credo di essere stato capace, in qualche modo di gestire la situazione, diversamente, non saremmo qua a parlarne (…)
Non posso dire di avere un rapporto sereno con la droga, ma almeno è ludico. Quando capisco che esagero e perdo il controllo riesco a dire basta”.

Il rapper svela le sue dipendenze. “Se non mi drogo e non bevo, allora devo comprare i vestiti - racconta - oppure devo fare sesso, oppure riempirmi di tatuaggi”.

La sua salvezza? “La disciplina: svegliarmi presto, fare pugilato. Per me il massimo della rockstar non è lo sballo, ma il controllo”, ammette.

Vive a Lugano in Svizzera, ha provato diverse convivenze ma non hanno funzionato, si è innamorato 4 o 5 volte e infine ha un ottimo rapporto con sua madre.
“Lei dice la sua, spesso mi insulta per i testi”, rivela.
 

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