ciao ditro provo a guardarlo con le parabole il grafico e te lo posto. si vede in effetti nettamente come l'andamento sia perfettamente inserito in un canale parabolico. con questo nn voglio dire nulla se non il fatto che siamo in una situazione tipo il raggiungimento di una nuova area di equilibrio come e' successo sull'euro dollaro degli ultimi due anni.
okkio quindi, se posso, solo come idea, mi domando perche' nn smediare qualche contratto, ovviamente questo ti abbassa il pdc, ma puoi cosi' facendo rientrare eventualmente piu' in alto.
ti incollo anche questo commento :
risalente a... il
22 agosto 2004 !!!!!
![Eek! :eek: :eek:](data:image/gif;base64,R0lGODlhAQABAIAAAAAAAP///yH5BAEAAAAALAAAAAABAAEAAAIBRAA7)
eek:
http://www.repubblica.it/2004/h/sezioni/economia/petrobenzina/petrolcina/petrolcina.html
===========
L'Ente dell'energia pronto a sborsare qualsiasi cifra
per foraggiare l'industria ed evitare black out
Ma la Cina ha sete di greggio
"Anche a 50 dollari va bene"
E al distributore il mondo paga la tassa di Shangai
dal nostro corrispondente FEDERICO RAMPINI
PECHINO -
Cinquanta dollari per un barile di petrolio? Non sono tanti per
Zhao Xizheng, direttore generale dell'Enel cinese. E' disposto a pagare
qualsiasi prezzo pur d'alimentare le sue centrali termoelettriche, ormai al
collasso di fronte al boom dei consumi energetici della Cina. Zhao Xizheng
quest'estate ha dovuto chiedere a Volkswagen, Sony e General Motors di
chiudere le loro fabbriche di Shanghai per una settimana, perché non aveva
abbastanza corrente per farle funzionare regolarmente. A 5mila altre imprese
di Shanghai è stato imposto di lavorare solo di notte, quando il consumo di
corrente è più basso. In 24 provincie cinesi politicamente meno potenti di
Shanghai il razionamento avviene in maniera più selvaggia, i blackout
arrivano a intermittenza, senza preavviso.
Intanto per placare la febbre della motorizzazione di massa - l'altro boom
cinese che succhia energia dai pozzi petroliferi del Golfo Persico - a
Shanghai ogni mese il municipio riduce il numero e alza il prezzo sulle
targhe automobilistiche messe in vendita con un'asta competitiva: ormai al
costo di listino di una Mercedes bisogna aggiungere una sovratassa
obbligatoria di altri 10mila dollari per l'immatricolazione razionata (ma
gli acquirenti non si scoraggiano).
Le turbolenze irachene non bastano a spiegare l'inarrestabile rialzo delle
quotazioni mondiali del greggio. Una invisibile "tassa di Shanghai" si sta
applicando automaticamente agli automobilisti del mondo intero, ai
distributori di benzina di Milano e Parigi, New York e Tokio. Gli hedge fund
che scommettono su nuovi rialzi del petrolio hanno gli occhi fissi sui dati
che affluiscono ogni mese dalla Cina: il decollo economico di una nazione da
1,3 miliardi di abitanti sta mettendo a dura prova le riserve energetiche
dell'intero pianeta. Perfino la capitale Pechino, a cui i leader politici
cercano di risparmiare ogni disagio, quest'estate ha subito l'onta di un
blackout elettrico durato 47 lunghissimi minuti. La settimana scorsa il
governo ha rivelato i dati sui consumi petroliferi di luglio: in un solo
mese le importazioni cinesi di greggio sono esplose del 40%.
Cinquanta dollari al barile non sono ancora un prezzo dissuasivo e forse non
lo sarebbero neanche sessanta. Con le esportazioni del made in China che
invadono il mondo - dalle scarpe ai vestiti, dai computer ai telefonini - la
bilancia commerciale di Pechino è sempre più florida. Qui il problema
dell'agosto 2004 non è il prezzo del petrolio, è trovarne abbastanza. La
recente tensione calcistica tra Cina e Giappone - quando la nazionale
nipponica è stata ripetutamente fischiata e intimidita dalle tifoserie
cinesi - non avrebbe fatto notizia se dietro non ci fosse una tensione
geoeconomica ben più seria tra i due paesi: il braccio di ferro
sino-giapponese per decidere a quale dei due paesi andranno le maggiori
forniture del nuovo gasdotto dalla Siberia, la bombola d'ossigeno per la
crescita.
La Cina di oggi può permettersi di pagare qualunque prezzo, salvo uno: la
rottura di un delicato consenso sociale costruito sulla prosperità diffusa
dal miracolo economico. Le quotazioni del greggio non sono un problema per i
leader comunisti di Pechino che gestiscono 90 miliardi di dollari di attivo
dei risparmi privati. È un problema vero, invece, questa estate afflitta dai
blackout che rallentano la produzione delle grandi multinazionali americane,
giapponesi e tedesche: gli alleati strategici che hanno puntato più di 50
miliardi di dollari in un anno sulla competitività della nuova Cina.
Per superare questa penuria di energia il governo di Pechino ha appena
annunciato un piano che sarebbe stato impensabile ancora un anno fa. È la
privatizzazione di 11 centrali elettriche. Una vendita affidata alle
merchant bank Goldman Sachs e Ubs per rifinanziare l'ente elettrico di Stato
e accelerare così la costruzione di altre centrali, essenziali per sfamare
questo boom industriale energivoro. La tabella di marcia decisa dalle
autorità cinesi è incredibile. In ciascuno dei due prossimi anni la Cina
costruirà tante centrali elettriche nuove da aggiungere l'equivalente di
tutta la produzione elettrica della Gran Bretagna. In termini di
elettricità, quindi, la Cina si "annetterà" due volte un'Inghilterra, nel
2005 e nel 2006. Questo è il tipo di notizia che alimenta le scommesse degli
hedge funds sul mercato dei futures del petrolio. Già prima della furiosa
impennata di luglio, solo nei primi sei mesi di quest'anno l'incremento dei
consumi petroliferi cinesi - tra il gasolio bruciato nelle centrali
termoelettriche e la benzina consumata dalle fiumane di Audi e Buick che
fanno la coda sulle sei tangenziali di Pechino - aveva aggiunto 800.000
barili di greggio al giorno, rispetto alla domanda mondiale del 2003. Di
quanto altro petrolio avrà bisogno la Cina nel 2005, e nel 2006, e negli
anni seguenti, se la sua crescita "genera" un'Inghilterra in più ogni anno?
La costruzione delle nuove centrali elettriche cinesi è indispensabili per
mantenere questo ritmo di corsa, altrimenti i blackout si intensificheranno
fino a far deragliare la crescita. E nessuno può permettersi il costo di un
crac cinese - certo non gli Stati Uniti di cui Pechino finanzia
generosamente i deficit acquistandone i Buoni del tesoro. Fino ad ora, il
piano energetico cinese non ha pesato solo sui pozzi petroliferi sauditi.
Anzi, la Cina ha inseguito una forma di autosufficienza basandosi sull'unica
materia prima di cui possiede riserve nazionali quasi illimitate cioè il
carbone. Nel 2003 e quest'anno, Pechino ha già aumentato del 19% la sua
potenza di generazione di corrente ma quasi i due terzi delle nuove centrali
termoelettriche sono state costruite per bruciare carbone, quindi senza
pesare interamente sulla domanda mondiale di petrolio. E tuttavia la "tassa
Shanghai" viene pagata dal resto del mondo anche quando Shanghai va a
carbone.
È un altro tipo di tassa, imposto sotto forma di inquinamento. Giovedì
scorso nel porto di Hong Kong una collisione a catena ha coinvolto e messo
temporaneamente fuori uso otto navi. La visibilità era precipitata di colpo
per effetto dello smog. La grande nube tossica sollevata dal boom economico
cinese ormai non è più solo un danno per la salute degli abitanti di Pechino
e Chongqing, Shanghai e Guangzhou. Non mette a repentaglio solo la
navigazione commerciale nel più grande porto mondiale per navi
portacontainer, Hong Kong. Dalla Corea del Sud al Giappone, le nazioni
vicine ormai soffrono un aumento dell'inquinamento dovuto al contagio
cinese. Scienziati americani hanno individuato tracce di polveri tossiche in
provenienza dalla Cina nell'atmosfera della East Coast (sull'Atlantico,
all'estremo opposto del pianeta). Il risultato è una pressione politica dal
resto del mondo sulle autorità di Pechino perché reagiscano al dilagare
dell'inquinamento.
La Cina non è insensibile a queste pressioni, anzi sta facendo quel che può.
Costruisce centrali idroelettriche, con progetti faraonici e controversi
come la diga delle tre gole sul fiume Yangtze. Aggiunge nuove centrali
nucleari. E cerca di ridurre la prevalenza delle centrali a carbone. Quindi
costruisce più generatori alimentati dal gasolio. Cinquanta dollari al
barile? Sono l'ultimo dei problemi per il signor Zhao Xizheng, direttore
generale dell'Enel cinese, alle prese con un emergenza energetica più
preoccupante del rincaro dei prezzi.
==============