MA IL MARE E' COME L'ANIMA. E NON FA SILENZIO MAI. NEMMENO QUANDO TUTTO TACE.

Clandestino e stupratore seriale. Era stato liberato dopo 1 giorno
Adesso aspettiamo di vedere se qualcuno lo rimette in libertà. ......

Lo avevano già arrestato il 3 aprile del 2014.
L'accusa era l'aggessione ad una donna nel parcheggio di un supermercato.
Due anni dopo tribunale lo aveva condannato a un anno e due mesi di carcere per violenza sessuale,
ma la pena era stata sospesa perché incensurato.

A Moustapha Diop, però, avevano revocato il permesso di soggiorno, dunque in un Paese normale non sarebbe dovuto essere qui.

E invece è rimasto, facendo qualche lavoretto saltuario, e lo scorso 25 giugno è stato arrestato di nuovo, questa volta per violenza sessuale e rapina aggravata.

La vicenda arriva da Osio Sotto, in provincia di Bergamo.
È la sera del 7 giugno quando una ragazza telefona al 112 per denunciare lo stupro appena subito

. "A un certo punto ero esausta, non vedevo l’ora di finirla. Gli ho detto di fare quello che voleva", ha detto lei ai militari come riporta il Corriere.

"Mi teneva bloccata a terra e continuava a toccarmi nelle parti intime".

Un incubo durato un'ora iniziato in tarda serata.
La ragazza si trattiene oltre l'orario di chiusura nel centro estetico in cui lavora.
Una volta uscita, si accorge di aver dimenticato l'incasso.
Torna indietro e sulla porta trova l'aggressore con un coltello in mano.

Secondo quanto raccontato dalla vittima ai carabinieri, l'uomo l'ha picchiata e schiaffeggiata.
Lei si è difesa, ha sferrato pugni, ha urlato e pure morso la mano dell'aguzzino. Ma non è servito.

Diop viveva con la famiglia a Verdellino, casa in cui non è tornato dopo lo stupro.
I familiari hanno provato a coprirlo (dicendo che si trovava in Spagna), ma i militari lo hanno beccato
venti giorni dopo grazie al Gps del cellulare, notando il suo spostamento verso Ciserano.
Qui, in una delle zone più difficili della Bergamasca, Diop è stato fermato insieme a ad alcuni connazionali.
A dare la svolta alle indagini è stata la denuncia di una prostituta lituana di 30 anni:
anche lei, aveva subito una tentata violenza sessuale da parte di un uomo di colore, sempre a Osio Sotto.
Inoltre, un'altra prostituta romena, lo scorso novembre 2018, sostiene di essere stata rapinata
da un giovane africano che poi ha riconosciuto in Diop tra 14 fotografie.

Gli indizi sul suo conto, secondo gli investigatori, sarebbero schiaccianti.
In procura, il 10 luglio scorso, la 27enne vittima dello stupro e la prostituta lo hanno individuato tra altri tre senegalesi.
Le tracce biologiche trovate sulla scena dello stupro e in ospedale corrispondono con il Dna di Diop.

"Si tratta di un individuo con già dei precedenti specifici e che quindi potremmo definire un violentatore seriale»,
ha detto il comandante provinciale dei carabinieri, colonnello Paolo Storoni, affiancato dal pm Carmen Pugliese
 
Avanti con i geni.

Christian Raimo,
Assessore alla cultura al III Municipio e docente di Storia e Filosofia in aspettativa,
ha dato il “meglio” di sé con alcuni post alquanto discutibili sulla vicenda del carabiniere ucciso dai due ragazzi statunitensi.

"Un ragazzino di diciott'anni, viziato, testa di cazzo, per perdere il controllo nell'ultima sera di vacanza,
forse per paura, per rabbia, per fare il grosso con l'amico, vilmente, sotto botta probabilmente,
fa una cazzata spaventosa, infame e gigantesca che distrugge una famiglia e rovina anche la sua vita per sempre.
Se non pensiamo che la pena abbia una funzione rieducativa per una persona del genere, allora per chi?".

Tradotto: l’assassino del carabiniere, pur essendo maggiorenne e quindi non solo in grado di votare
alle Presidenziali americane e scegliere il capo di Stato più potente del mondo
(tanto per dire, una robetta da niente…) sarebbe solo un idiota che, sotto l’effetto della droga,
ha perso il controllo di sé e ha fatto una cazzata. Pare dunque scontato rimarcare il fatto
che il post di Raimo è stato subissato di commenti tutt'altro che lusinghieri.
Ci sarebbe da inorridire solo per questo ma non è finita qui.

 
Ieri lo scrittore romano ha fatto un sunto dell’accaduto in altri due brevi post in cui allude a una collusione tra i carabinieri e i pusher.

“Una rissa che viene fuori non si sa perché. Uno spaccino che chiama il 112. Quattro carabinieri in borghese passati ‘per caso’.
Il carabiniere testimone dell'agguato e della morte che accusa due nordafricani, perché ‘sotto shock’”, scrive nel primo post.

Ma il secondo è forse ancora peggiore: “In questo momento l'arma dei carabinieri è simile a dio in terra.
Il giusto cordoglio per l'uccisione a freddo di un carabiniere di 35 anni sta occultando una serie di elementi sempre più evidenti”.

Secondo Raimo, dunque, “i carabinieri sembrano aver fatto un mezzo disastro”
e il ragionamento sottointeso potrebbe benissimo essere che è colpa loro se un loro collega è morto.

I militari, infatti, “non sono intervenuti e quando sono intervenuti hanno fatto peggio, dicono di esser passati per caso
ma avevano un rapporto consueto con gli spaccini e i ruffiani, sembrano non aver rispettato nessuna delle procedure,
erano testimoni oculari di un omicidio e hanno depistato le indagini accusando "dei nordafricani", hanno bendato un indagato”.

E ancora: “La verità è molto difficile che verrà fuori se proprio chi dovrebbe aiutare nelle indagini è così implicato
e crea questo tasso di confusione nella ricostruzione”, è la tragicomica conclusione di Raimo.

In pratica i carabinieri, secondo Raimo, non solo sono stati un disastro nel compiere il proprio lavoro
ma sarebbero in combutta con gli “spaccini” (i pusher) e avrebbero depistando le indagini attribuendo inizialmente
la colpa dell’assassinio di Rega a dei nordafricani. Quindi se un ragazzo di 18 anni ammazza un carabiniere con 11 coltellate
fa “una cazzata spaventosa” mentre se un carabiniere vede un suo collega che sta morendo non ha il diritto di essere “sotto shock” e sbagliarsi.
No, in questo caso, l’errore non è ammesso. il militare, sempre questo è il non detto, è una persona che ha rapporti ambigui con gli “spaccini”
e perciò cerca di incolpare il povero nordafricano di turno perché tanto, si sa, per l'estrema sinistra tra le forze dell'ordine c'è un razzismo di fondo.
 
Ecco cosa succede quando incompetenti ed incapaci vengono eletti o designati in posti pubblici.
Una vergogna.........e tutto questo per non cederlo ad un privato. Questi personaggi dovrebbero pagare i conti.

The end. Finisce l'epopea del traghetto di Olginate, già traghetto di Imbersago.

Con razionalità - dopo averle tentate tutte - Mario Roberto Girelli, dal primo aprile 2019 direttore del Parco Adda Nord,
ha intonato il de profundis per l'imbarcazione degli inizi del '900, ridotta - da anni ormai -
a una malconcia quando costosa reliquia, snaturata della sua essenza e dunque del suo valore storico-affettivo.

Il calvario del grosso natante, in servizio fino ad allora tra la sponda imbersaghese dell'Adda e quella bergamasca, inizia all'inizio degli anni '90:
l'ispettorato alla motorizzazione evidenziò indebolimenti strutturali tali da minare la sua capacità di trasportare vetture e persone,
spingendo così il sindaco Giovanni Villa a dotare, con il sostegno della Regione, il paese di un "mezzo" nuovo,
cedendo il "vecchio" al Comune di Olginate, località dove, raccontano gli annali, un tempo era presente uno dei quattro traghetti
in servizio lungo il braccio lecchese del fiume di manzoniana memoria.

L'intento era nobile: non rottamare il "vascello" ma trasformarlo in un elemento di caratterizzazione del paese,
pur a scopo meramente estetico, senza rimetterlo chiaramente in funzione. L'imbarcazione nel dicembre 2008, però, si inabissò.

Si fece così avanti un privato pronto a acquistarla per recuperarla trasformandola - si diceva - in un bar galleggiante.

Business is business, la storia è la storia, rispose però l'allora Presidente del Parco Adda Nord Agostino Agostinelli che per evitare di cedere
ad un imprenditore il traghetto lo inserì nel patrimonio dell'Ente con sede a Trezzo.

L'idea era quella di sistemarlo per trasformarlo in un "monumento alla lecchesità" da inserire nella rotonda di Pescate
dove, invece, da qualche anno, troviamo la sagoma ferrea di Renzo e Lucia.

Saltato il piano A si era poi fatto avanti l'allora sindaco di Canonica d'Adda, paese dove Leonardo soggiornò
e realizzò i primi disegni di questi traghetti, dettosi favorevole a ospitare la struttura. Non se ne fece nulla.

O meglio - e siamo arrivati ormai al 2015 - venne dato incarico, dal Parco, a una ditta di effettuare un "restyling di facciata",
non funzionale a far tornare l'imbarcazione a galleggiare ma atto a ridargli dignità estetica. E il battello finì sotto sequestro.

"L'azienda ha commesso un pasticcio tecnico - formale, posizionando inspiegabilmente l'imbarcazione su un'area pubblica (a Lecco ndr)
senza chiedere i necessari permessi o informare chi di dovere. Da qui il provvedimento, a carico chiaramente della ditta.
Noi come committenti, non abbiamo alcuna responsabilità.

Ora aspettiamo che si chiarisca la questione" aveva, a suo tempo, spiegato Agostinelli.

Pur restituito al Parco, il traghetto è così finito al centro di una (onerosa) vertenza giudiziaria, venendo "parcheggiato"
in un deposito in provincia di Bergamo per poi essere spostato "all'aria aperta" per ragioni economiche.

Dal 2010 al 2016, infatti, soltanto per "dare un tetto" allo scafo l'Ente - come ci aveva confermato la direttrice Cristina Capetta nel 2017
- ha speso la bellezza di 22.000 euro.

"Allo stato attuale - aveva aggiunto la funzionaria, pochi mesi prima del commissariamento - gli organi di gestione del Parco
non hanno ancora definito l'utilizzo finale del bene e non sono previsti a bilancio risorse destinate al traghetto".

Ed è questa la situazione che il dottor Girelli ha trovato, qualche mese fa, al suo insediamento, scoprendo di avere in pancia
anche quel manufatto alla presentazione, da parte della società nautica di Ciresano di Zingonia che lo ospita, del conto per il deposito.

"Lo abbiamo proposto a tutti i sindaci della Comunità Parco. Quelli di Capriate, Trezzo e Calolzio erano anche andati a vederlo" racconta il direttore, c
onfermato quanto aveva anticipato qualche mese fa Marco Ghezzi che si era lasciato "ingolosire" dalla possibilità di portare il natante al Lavello.

"Tutti, una volta visto lo stato di degrado che rende impossibile il recupero, si sono tirati indietro.
Si era fatta avanti anche la società che gestisce l'area Expo: si pensava di esporlo per il 500esimo di morte di Leonardo.
Non se ne è fatto nulla. Tra l'altro - e non essendo tecnico mi devo fidare - mi è stato detto
che quel poco di intervento manutentivo che è stato fatto ha previsto l'uso di vetroresina che ha snaturato la barca
quando invece si sarebbero dovute usare fasciature in legno".

Nel frattempo però si è dovuto saldare il conto per la manutenzione - che poi ha ingenerato la questione sequestro e dunque una vertenza legate -
mentre venivano altresì notificate anche le spese legali, con tutti gli impegni economici, compresi quelli per la custodia, azzerati però dalla precedente gestione.

"Ho dovuto trovare i soldi per pagare quel poco di restauro che era stato fatto.
Oggi tenere la barca in quelle condizioni ha un costo che non possiamo più permetterci.
Visto che nessuno lo vuole recuperare, abbiamo accettato la proposta della società nautica che lo ha in deposito, che andrà poi a demolire il traghetto"

. In sostanza, come esplicitato nella determina 132 del 24 luglio 2019, il Parco cede, mediante permuta,
all'impresa le gondole del natante leonardesco a fronte del pagamento di una somma di 350 euro oltre Iva
che viene decurtata dalla cifra - ben più consistente - che l'Ente deve alla stessa srl: 8.723 euro iva inclusa per il periodo di deposito settembre 2015-luglio 2019.

"Ho voluto interrompere una questione che ha generato solo spese non più sostenibili" la chiosa, pragmatica, di Girelli. Così sia.
 
Mezzi in vendita. Notte di fuoco.

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Un cretino. Non è altrimenti possibile catalogare questo "cittadino".
Povero demente. Per lui sarebbe stato meglio che il torrente esondasse.
Pensate un po' con quali persone si deve convivere.

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Il Comune ripulisce l’alveo del Meria


Denunciato e multato per 24mila euro
 
Sassi. Sono sassi. Che vengono portati dall'acqua piovana che ingrossa il torrente
e che scende dalla montagna. Sassi che riempiono l'alveo. E che quando piove a dirotto
fanno esondare il torrente. E per una volta che viene ripulito.......Fessi anche quelli della provincia.
Ma non avevamo votato per abolire le province ?

Una sanzione da 24 mila euro, con in aggiunta il rischio di una denuncia penale,
per aver pulito l’alveo del torrente Meria senza aver compiuto le analisi sulla possibile presenza di materiale inquinante.

La multa è stata consegnata dall’Amministrazione provinciale, competente per il settore dell’inquinamento,
al Comune di Mandello dopo la segnalazione di un cittadino.

Una situazione che ha quasi del grottesco quella capitata al municipio di piazza Leonardo da Vinci.
 
Un'uscita che si poteva evitare......sta perdendo ...e di brutto brutto.

A chi deve fare un favore, presidente Conte? Glielo hanno chiesto gli americani di straparlare?

Era proprio necessaria quell’uscita nel giorno dei funerali di Mario Cerciello Rega?

Il botta e risposta continuo con Salvini prevede che nel copione si offra un assist agli avvocati dei delinquenti
che hanno ammazzato un carabiniere con undici coltellate?

Vergogna, presidente del Consiglio, avvocato contro il popolo.

Ci mancava la sentenza di Conte per quella maledetta benda sugli occhi di un rampollo americano
volato da noi a fare danni e a seminare lutto col suo compare. Per droga.
Oppure per darsi arie. Magari per fare il duro. Senza quella benda magari lo avremmo visto frignare.

Ci pensa il capo del governo italiano a dargli una speranza di farla franca.

Paese civile, strillano, queste cose non si fanno. Ora, a parte che in un paese civile tizi così sarebbero stati accoppati in mezzo alla strada
senza far temere un processo alle forze dell’ordine, “queste cose” le fanno eccome. Americani in primis.

Se in questa vicenda c’è stato un fuor d’opera, semmai, è stata una fotografia più che il bendaggio
che, stando alla magistratura, non ha minimamente influito sugli interrogatori dei due criminali.

Però, si dice, la difesa dei delinquenti in erba provenienti dagli States, potrà strillare per “invalidare” gli atti.
Bene, ci provino, e vedremo se ci sarà un giudice a consentire loro una prepotenza che sarebbe avvertita come un’onta dal popolo italiano.

Raccontava ieri l’AdnKronos: “Negli stessi Stati Uniti, alcuni dipartimenti di polizia bendano il volto di un arrestato,
se c’è il rischio che questi tenti di sputare contro gli agenti, propagando eventuali malattie.
Il bendaggio vero e proprio degli occhi è invece praticato, quando non si dispone di altri strumenti,
nel caso in cui un sospettato venga messo a confronto con un accusatore, per evitare che quest’ultimo venga riconosciuto”.


Solo alcuni esempi, se ne potrebbero fare tanti altri. Spiegatelo al presidente del Consiglio Conte,
che di prima mattina se ne esce col reato che ha improvvisamente scovato.

Di questi politicamente corretti non ne possiamo più.

Anzitutto perché il premier non è un inquirente. E poi perché anche lui ha il
dovere di difendere il diritto dell’Italia a processare due delinquenti
senza cedere di un millimetro rispetto alle pretese americane di volersi portare a casa gli assassini di Mario Cerciello Rega.

E magari di mostrarceli fra qualche tempo in una fiction hollywoodiana, tanto per sbeffeggiarci un po’.

Ad uno come Conte bisognerebbe mettere una benda, ma sulla bocca, a mò di museruola, per evitare che dica ancora sciocchezze.

Possiamo capire gli hater che si scatenano sui social. La sinistra che per riflesso condizionato ce l’ha sempre con i carabinieri.
Ma che il presidente del Consiglio si metta ad intervenire a gamba tesa quasi ad auspicare difficoltà da parte americana al processo
che ci dovrà essere non era facile da immaginare. Dirà di aver espresso la sua opinione.

Ma il capo di un governo non deve avere un’opinione personale
.
Perché deve rappresentare l’opinione degli italiani.

Ai quali di una benda sulla testa calda di un delinquente non frega proprio nulla.
 

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