Ne usciremo sì, ma con calma, ci vorranno probabilmente anni, dovremo sviluppare gli anticorpi,
una risposta immediata non c’è, mentre avremmo invece fretta, perché oggi vediamo il disastro
che si è prodotto quasi all’improvviso e che negli ultimi anni ha fatto registrare un’accelerazione.
Ma ne usciremo.
E, a conti fatti, non saranno tanto le leggi o le regolamentazioni a riportarci a galla, ma l’educazione,
imparare a saper distinguere le notizie, a riflettere, mettersi tutti in gioco in prima persona a ragionare, ad accendere il cervello.
Niente ricette, dunque, ma un paziente lavoro quotidiano.
«Ma dobbiamo ricordarci che ciascuno di noi non è immune.
La nostra attenzione è rivolta agli episodi macroscopici, a quelli che indignano e generano discussioni,
ma spesso si verificano episodi microscopici, impercettibili, a bassa frequenza,
che pure contribuiscono a spostare un po’ più in avanti l’asticella del dicibile».
E’ stata così archiviata anche da noi la parola bufala, che indicava sì una notizia falsa ma che in qualche modo poteva essere individuata.
La differenza è che le fakenews si servono di fatti accaduti ma ne illuminano solo alcuni aspetti, inventano dettagli di sana pianta e lanciano insinuazioni.
Del resto, bufale e fakenews e quant’altro sono sempre esistiti.
Semplicemente la rete ne ha amplificato la portata.
Perché chi vive nella “bolla” si convince ogni giorno di più di essere nel giusto, nel vero.
Lo stesso meccanismo di internet, trasformato da grandiosa prateria anarchica
in una macchina da soldi per qualcuno, gli stessi famigerati algoritmi favoriscono l’autoconvincimento.
Cercare il dialogo risulta spesso impossibile, per quanto ci si sforzi, mantenendo un linguaggio pacato, evitando toni rabbiosi:
«se ti introduci in una bolla, vieni cacciato e anche per quello i suoi componenti si rafforzano nelle proprie convinzioni».
«Negli ultimi trent’anni sono venuti meno tutti gli intermediari ai quali i cittadini in passato concedevano fiducia:
i giornalisti, in primis,
ma poi la scienza,
l’accademia,
gli insegnanti.
E d’attorno un bombardamento di informazioni che ci manda in confusione
e allora vien più facile scegliere la notizia che conferma i nostri pregiudizi
anziché quella che richiederebbe un momento di riflessione.
Orientarsi in questo flusso incontenibile di notizie è un lavoro esorbitante e allora forse occorrerebbe davvero una dieta digitale.
In quanto alle leggi, l’argomento è un ginepraio e se fino a oggi non si è fatto nulla non è perché manchi la volontà,
ma perché ci si scontra con una serie di difficoltà non soltanto giuridiche.
Come il caso dell’anonimato: se può essere considerato un male perché si celano i cosiddetti odiatori,
nel contempo è un bene per chi si oppone alle dittature.
E, in fondo, la censura sarebbe controproducente e rischierebbe addirittura di provocare guai peggiori.
Quindi l’impegno di tutti, a prestare attenzione ai propri comportamenti,
a imparare e insegnare che occorre diffidare di tutte quelle notizie che quando si leggono
sembra di ricevere un pugno nello stomaco.
In questo modo, ne usciremo. Con calma.