MA IL MARE E' COME L'ANIMA. E NON FA SILENZIO MAI. NEMMENO QUANDO TUTTO TACE.

«In Italia si indignano perché hanno bendato un assassino»
è il titolo di un fotomontaggio sui social che mette assieme le foto, ben più drammatiche,
di arrestati con gli occhi coperti dalle polizie di mezza Europa oltre che dagli israeliani e negli Stati Uniti.

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Il colpo d'occhio rende perfettamente l'idea che bendare un sospetto è una prassi di sicurezza.
Anche se duramente censurata dal Consiglio d'Europa.

L'aspetto paradossale è che le forze dell'ordine in Canada, Stati Uniti, Francia e Germania
hanno addirittura in dotazione non una semplice benda da moscacieca, ma il «Pol-i-veil».
Un vero e proprio cappuccio, che si può comprare in rete e serve a garantire la sicurezza degli agenti
oltre ad evitare che un criminale con malattie infettive possa sputare sui poliziotti.

Il cappuccio in stile Guantanamo viene usato dalla polizia stradale di Toronto, oltre che dagli agenti di Los Angeles,
quando devono arrestare gli ubriachi e figuriamoci degli assassini.
Disponibile in bianco e blu oppure arancione o trasparente viene pubblicizzato dalla polizia tedesca.

La versione blu, che non ti permette di vedere nulla, è stata tranquillamente utilizzata dall'antiterrorismo francese
nel maggio scorso quando hanno scoperto dopo 17 anni di latitanza Josu Ternera, nome di battaglia dell'ultimo
capo dell'Eta basca ancora in circolazione.

Nessuno si è scandalizzato per la foto «drammatica» dell'arrestato con il cappuccio in testa,
che veniva portato via dal palazzo di giustizia della città francese di Bonneville.

Nel 2015 i giornali di mezzo mondo, compresi ovviamente quelli italiani, hanno pubblicato la foto del jihadista Ayoub El-Khazzani,
che voleva compiere una strage su un treno ad alta velocità. Per fortuna lo hanno bloccato tre militari americani in vacanza.
Il seguace del Califfo è stato arrestato e portato in aula non solo bendato, ma pure scalzo.

Non si è registrata l'indignazione del caso italiano con il giovane americano bendato,
che ha partecipato all'uccisione del carabiniere Mario Cerciello Rega.

Pure la tranquilla polizia olandese copre gli occhi ai criminali appena catturati.
Due anni fa ha fatto scalpore la retata ad Amsterdam contro il cartello Kinahan,
un'organizzazione dedita al traffico di droga con ramificazioni in Olanda, Belgio e Irlanda.
Le immagini degli arrestati bendati sono rimbalzate sui media olandesi e irlandesi.

La Spagna è stata censurata dal Consiglio d'Europa per l'uso eccessivo di cappucci e bende sugli occhi.

Lo scorso ottobre i tedeschi, che dovevano trasferire in Marocco, dopo quindici anni di carcere in Germania,
Mounir al-Motassadek in combutta con la cellula dell'11 settembre, hanno uguagliato Guantanamo.
Il prigioniero è stato trasferito e regolarmente fotografato dalla stampa non solo bendato e ammanettato in mezzo a due Rambo,
ma pure con delle cuffie sulle orecchie che non gli permettevano neppure di sentire. Quasi nessuno si è scandalizzato.

Il Comitato per la prevenzione della tortura e dei trattamenti degradanti o inumani del Consiglio d'Europa censura il metodo,
ma ammette che «in certi Paesi ha riscontrato la pratica di bendare le persone durante il fermo di polizia, in particolare durante gli interrogatori».

Gli israeliani bendano praticamente di routine i prigionieri palestinesi
e negli Stati Uniti hanno addirittura una «sedia di contenimento» per bloccare un criminale e incappucciarlo.

Lo scorso anno uno sceriffo di Denver è stato filmato mentre atterrava un arrestato che era incappucciato
e con le mani legate dietro la schiena. La polizia lo ha sospeso per quaranta giorni senza stipendio, ma poi è stato assolto dal tribunale.

La magistratura stabilirà se i carabinieri hanno violato la legge,
ma solo in Italia si scatena una levata di scudi paradossale,
come se fossimo a Guantanamo, per un presunto killer bendato per cinque minuti.
 
Quando qualcuno riuscirà a pestare i pugni sul tavolo ?


Berlino torna a sparare pesantemente contro il governo italiano.
"L'Italia apra i propri porti alle navi delle organizzazioni non governative che soccorrono i migranti nel Mediterraneo".

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L'appello è stato lanciato in queste ore dal ministro dell'Interno Horst Seehofer
che lo ha rivolto direttamente a Matteo Salvini lamentando che,
"negli ultimi dodici mesi, la Germania ha accolto 180 profughi soccorsi nel Mediterraneo"
e accusando l'Italia di non fare abbastanza per gestire l'emergenza sbarchi.

Un'accusa del tutto priva di fondamento visto che l'Unione europea ci ha lasciati per anni soli
a gestire i flussi irregolari di disperati che si imbarcavano dalle coste del Nord Africa.

Nelle ultime settimae gli attacchi del governo tedesco sono stati continui.

Anche la recente rivelazione della presenza di due giornalisti della tv di Stato Ard a bordo della nave Sea Watch 3
hanno fatto riaprire gli occhi sugli interessi di Berlino a fomentare il caos nel Mar Mediterraneo
per mettere in difficoltà il governo Conte e, in modo particolare, Salvini.

Secondo l'inchiesta pubblicata da un sito di contro informazione vicino all'estrema destra,
il Journalistenwatch.com, il blitz della comandante Carola Rackete a Lampedusa
(dall'incursione al largo della Libia all'arrivo nel porto siciliano e allo speronamento contro le motovedette della Guardia di Finanza)
sarebbe "una geniale opera di propaganda" dell'emittente pubblica tedesca,
"probabilmente con l'intento di provocare un confronto con le autorità italiane a ogni costo".

Un disegno inquietante che, secondo un approfondimento del Guardian, potrebbe aver avuto appoggi
anche all'interno dell'esecutivo guidato dalla cancelliera Angela Merkel
(tesi, tra l'altro, avvalorata anche dall'ex capo dei servizi segreti Hans-Georg Maaßen).
 
E queste sono le persone che aspirano ad amministrarci ? Che pena.
E questo giornalista che li chiama "ragazzi". Un assassino chiamarlo "ragazzo".

Sul caso del carabiniere ucciso con 11 coltellate per strada a Roma si apre un nuovo fronte di scontro politico.

Il dem Ivan Scalfarotto si è recato nel carcere di Regina Coeli per incontrare i due americani coinvolti nel delitto di Mario Cerciello Rega.

A quanto pare Scalfarotto, come racconta la La Stampa, si sarebbe recato nel carcere romano per "sincerarsi delle condizioni" dei due ragazzi.

Ed era stato lo stesso Scalfarotto, sempre sui social, a parlare della sua visita in carcere ai due detenuti:
"Ieri sono andato a verificare le condizioni dei due imputati per il terribile omicidio del carabniere Cerciello Rega".
 
Certo non l'ha accoltellato. Ma và. Anzi.
E' stato lui a farsi prestare il coltello da 20 cm. e provare l'emozione di sentirsi 11 fendenti nel corpo.

Intanto sul fronte delle indagine arriva la mossa della difesa del presunto assassino, l'avvocato Renato Borzone
che ha messo in dubbio la ricostruzione fornita dall'accusa su quanto accaduto:

"Riteniamo che questo processo debba essere celebrato in tribunale e non sulla stampa.
Abbiamo assunto la difesa da 12 ore e stiamo cercando di ricostruire tutti i passaggi di una vicenda
che presenta ancora aspetti poco chiari. In particolare mi riferisco alla dinamica dei fatti
nella loro fase finale: non mi risulta che la colluttazione sia avvenuta nei termini rappresentati dalle fonti investigative".
 
Qui non si tratta di essere di destra o di sinistra, qui si tratta di persone che offendono lo stato, i suoi morti e le loro famiglie.
Non ho sentito pronunciare da parte loro una sola parola per esprimere le condoglianze alla famiglia di Rega,
ma si concentrano sulle condizioni del suo killer. È un atto vomitevole e anti-italiano. PD VERGOGNA

Ogni volta ci si trova davanti ad un caso analogo mi domando come possa un avvocato prendere le difese di un assassino spietato.
Mah, evidentemente i quattrini sono più importanti della vita delle vittime.
 
Chi altri - se non uno del pd - poteva mettere in atto un "passaggio di casacca".
Poveri. Poveri. Poveri. Ma neppure al 20% dovete arrivare.

Il passaggio di Sandro Gozi dall’Italia alla Francia non poteva non scatenare la rivolta di larga parte della politica italiana.

L’ex sottosegretario agli Affari europei del governo Renzi e Gentiloni passerà infatti alla corte di Emmanuel Macron
con le stesse deleghe che aveva in Italia ai tempi degli esecutivi Pd.

E questa ipotesi non piace all’attuale esecutivo, ma neanche a molti suoi alleati di partito, in particolare a Carlo Calenda
che non ha nascosto il suo disappunto verso la scelta di andare a Parigi.

“Non si entra in un governo straniero. Non si tratta di un gruppo di lavoro,
ma di ricoprire per due mesi nell’esecutivo francese la carica che ha ricoperto
nel nostro conoscendo posizioni e interessi anche riservati, non sempre coincidenti.
Semplicemente non esiste”
.

Così si è espresso Calenda in uno dei suoi tweet al vetriolo contro Gozi.
E sono parole di peso, soprattutto perché i due erano nello stesso governo
proprio quando sono stati avviati importanti trattative tra Italia e Francia
che hanno coinvolto uno dei nostri principali settori industriali: la cantieristica.

Quando Calenda era ministro e Gozi, allora nel governo italiano, sottosegretario per gli Affari europei (allora per l’Italia),
Roma e Parigi trattavano la fusione tra Fincantieri e Stx.

Iniziava l’affaire di Saint Nazaire, uno degli intrighi industriali più importanti tra Italia e Francia
e in cui Macron non appena eletto alla guida dell’Eliseo, ha messo subito la sua impronta.
E non certo a favore dell’Italia.

Tanto è vero che dopo alcuni mesi – con una mossa giudicata da Roma un vero e proprio sgarbo –
il governo francese ha infatti scatenato l’Antitrust europeo per fermare l’acquisizione da parte di Fincantieri.

Una mossa con cui i francesi si sono schermati dall’accusa di “nazionalismo”, sciorinando le regole della concorrenza europee,
ma che di fatto è servito a Macron per fermare una fusione che non piaceva a Parigi per due ragioni:
dare un vantaggio economico a un’azienda italiana e soprattutto avere l’Italia in quel cantiere.

Meglio i sudcoreani degli italiani: questo il messaggi non troppo sottile inviato dalle rive della Senna a quelle del Tevere.


Se questo dossier bollente basterebbe a far capire il motivo di quanto siano importanti le parole di Calenda,
che non a caso parla di “posizioni e interessi”, non va sottovalutato anche un altro dato:
la presenza di Gozi nel momento in cui il governo Gentiloni (sotto l’egida di Sergio Mattarella) avviava le procure del “Patto del Quirinale”.

Si tratta di un accordo con cui Italia e Francia, sul modello dell’accordo Parigi-Berlino del 1963,
avrebbero dovuto coordinarsi su diverse politiche strategiche. Accordo rimasto molto vago
e soprattutto senza importanza reale, visto che dopo circa un anno, Macron firmava con Angela Merkel il Trattato di Aquisgrana.
E di fatto quello del Quirinale è diventato un patto di serie B.

In Europa, la Francia non voleva l’Italia come partner: ma la Germania.

Mentre Parigi continuava a compiere sgarbi nei confronti di Roma, arrivava poi l’esplosione della crisi in Libia,
con il generale Khalifa Haftar che avanzava verso Tripoli. Sostenuto proprio dalla Francia,
che da sempre ha fatto modo che l’Italia non guidasse la transizione politica del Paese nordafricano,
il maresciallo della Cirenaica ha di fatto colpito duramente il governo sostenuto dall’Italia.

Ma non solo, con un assedio sostenuto da Egitto e potenze arabe, ha messo a repentaglio tutta la strategia delle Nazioni Unite
e del governo italiano ponendo a rischio il nostro gas e dando il via a una potenziale escalation sul tema migranti.

Il tutto con il sostegno della Francia che, guarda caso, ha inviato le sue forze speciali proprio dalle parti di Haftar.
E che ha tutto l’interesse a far saltare i piani italiani.

Ed era sempre Gozi, quello presente nel governo quando la crisi in Libia stava per riacutizzarsi.

Ora, con questi dossier bollenti che ci dividono e con un governo che è all’opposizione rispetto a quello cui partecipava Gozi,
l’ex sottosegretario dem decide di passare dall’altra parte: a Parigi.

Ed è evidente che questa mossa non può non essere considerata “inquietante”, come sostenuto da tutto l’attuale esecutivo ma anche dalle opposizioni.

Quella che ha in mano Macron è un’arma: perché Gozi conosce perfettamente quello che succede a Palazzo Chigi,
ha avuto in mano tutti i dossier che hanno direttamente contrapposto Italia e Francia.

E non è certo un alleato del governo composto da Lega e Movimento Cinque Stelle.

Con queste premesse, il rischio è che ci troviamo di fronte a un “cambio di casacca” pericoloso.

Gozi continua a ribadire che lo scandalo in Italia non è giusto, anzi, si dice sorpreso da quello che sta accadendo
“pensavo che l’Italia sarebbe stata orgogliosa che un connazionale viene a fare il consigliere del governo francese e a ragionare sul futuro dell’Unione”.

Il problema è che si dimentica un dato fondamentale: la Francia non pensa all’Unione europea, semmai pensa alla Francia.

Ma anche l’Italia deve pensare all’Italia.
 
E il passaggio dell'ex sottosegretario dem a Parigi per entrare nella squadra di Emmanuel Macron continua a scatenare lo scontro politico.

Fra i silenzi imbarazzati di un Partito democratico che inanella errori mediatici su errori mediatici
(dopo Gozi, la scelta di Ivan Scalfarotto di andare a trovare in carcere gli assassini del vicebrigadiere Mario Cerciello Rega),
ora il novello funzionario francese si difende.

Ma la sua difesa dalle colonne di Repubblica non riesce a togliere i dubbi sul suo trasferimento a Parigi.
Se non altro perché oltre a sciorinare le solite accuse sul "fascismo" e sui "periodi bui" del nostro Paese,
dimentica completamente una promessa: quella di dire quale sia il suo compenso per il servizio prestato al governo francese.

Il problema però è che non solo non si sa quanto sia pagato Gozi per diventare sottosegretario in Francia.

Un gesto che, secondo lui, è un segnale di amicizia con l'Italia e che dovrebbe invece essere un'opportunità per entrambi i Paesi.

Ma Gozi non spiega neanche il motivo reale dietro questa scelta.
Una decisione che pare che dal Pd nessuno abbia realmente apprezzato, specie i suoi vecchi "datori di lavoro", ovvero Paolo Gentiloni e Matteo Renzi.
Che fino ad ora tacciono, forse per paura che questo affare complici ha loro posizione come ex presidente del Consiglio
che avevano Gozi in squadra proprio quando Roma e Parigi si accordavano (o negoziavano) dei punti molto importanti delle rispettive agende politiche.

E non è un caso che l'unico ad aver espresso la sua totale contrarietà alla decisione del dem sia stato Carlo Calenda,
che da ministro Pd aveva trattato con i francesi per Saint Nazaire e per l'affare Telecom e che in un tweet ha espresso tutto il suo sdegno:

"Non si entra in un governo straniero. Non si ratta di un gruppo di lavoro, ma di ricoprire per due mesi nel governo francese
la carica che ha ricoperto nel nostro governo, conoscendo posizioni e interessi anche riservati non sempre coincidenti. Semplicemente non esiste".

La difesa dei democratici è sempre la stessa.

C'è chi dà del "fascista" a coloro che mettono in dubbio la fedeltà di Gozi e chi parla di nuovo delle ombre russe sulla lega,
facendo un paragone fra lì'asse Pd-Parigi e la presunta alleanza tra via Bellerio e Mosca e il caso Savoini, il Russiagate italiano.

Ma intanto le risposte alle domande dei critici su Gozi non arrivano.

Quanto verrà pagato?

E soprattutto perché Macron in persona si è speso prima per averlo nelle liste di En Marche alle europee
e adesso per un posto al governo in attesa di farlo entrare a Strasburgo tra le fila del suo eurogruppo?

Tutto tace.

E la sua difesa non fa che gettare ancora ombre: ancora più inquietanti.
 
Ha minacciato di morte il ministro dell'Interno, dicendo che si merita "un proiettile in testa".

E Salvini non ha tardato a reagire, affermando: "Zingaraccia, ti mando la ruspa".

Ma, come da copione, ad attirare l'attenzione dei media è stata più l'espressione "zingaraccia" che il proiettile in testa che la rom vuole per il leader leghista

. Insomma, per i buonisti di sinistra "zingaraccia" è naturalmente peggio di una minaccia di morte. Passiamo oltre.

Oggi il consigliere comunale e regionale della Lega Max Bastoni si è recato al campo rom irregolare di cui si parla.
"Alle minacce rispondo presentandomi", ha detto.

Durante il suo sopralluogo ha parlato anche con la rom in questione. "Ha cambiato versione sostenendo che invitava Salvini a ucciderli tutti", spiega Bastoni.

Chi è la rom che ha minacciato Salvini
La donna è agli arresti domiciliari per reiterati furti: 16 anni il cumulo complessivo di condanne.

Insomma, si tratta di una pregiudicata che vive in un campo rom irregolare, all'interno di una casa costruita su un terreno non edificabile.

Ma, nonostante questo, l'onda buonista non ha tardato a prendere le sue difese, con il solito ritornello del razzismo.

"La stessa donna riconosce che i bambini del campo vivono in condizioni disagiate e che gli adulti non lavorano",
conclude Bastoni che si chiede inoltre perché la giustizia minorile e i servizi sociali non agiscano.
 
Un gruppo gay, che si è identificato con la sigla "Riscossa Arcobaleno", ha minacciato un prete-giornalista che si era opposto ad un recente Pride.

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Il fatto è accaduto a Reggio Calabria
 
copri copri ......

«Di nuovo viene tirata in ballo la pista palestinese per intralciare indagini e confondere l’opinione pubblica.
È normale che lo facciano gli avvocati degli imputati, ma quando si cimenta, in questa operazione, gente che si dice di sinistra non è facile.
Noi non guarderemo in faccia nessuno, andremo avanti per la nostra strada e faremo in modo che i nostri avvocati
perseguano fino in fondo questi personaggi di qualsiasi partito siano»:

sono esplicite, gravissime e violente le minacce e le intimidazioni che l’ex-parlamentare Pd, Paolo Bolognesi,
oggi presidente dell’Associazione parenti delle vittime della strage di Bologna lancia contro chiunque si permetta
di mettere in dubbio le risultanze giudiziarie sull’attentato del 2 agosto 1980 ipotizzando la pista palestinese che sta emergendo in questi mesi.

Bolognesi sembra proprio riferirsi con le sue minacce, in particolare, al suo ex-compagno di partito,
l’ex-parlamentare pd pugliese Gero Grassi
che, proprio recentemente, dalle colonne della Gazzetta del Mezzogiorno,
ha detto di non poter rivelare, in quanto vincolato dal segreto, ciò che ha letto fra gli atti della Commissione Parlamentare Moro
come commissario ma che quegli atti, in cui si parla, fra l’altro, del cosiddetto Lodo Moro
e dei rapporti fra i palestinesi e il governo italiano dell’epoca, tenuti dal capocentro del Sismi,
colonnello Stefandenuncio chio Giovannone
, disegnano un’altra verità e, quindi, andrebbero desecretati.

«Da membro della Commissione d’inchiesta Moro, sono tenuto al segreto di Stato sugli atti che ho potuto consultare su quella vicenda.
Non potrei dire nulla né in Tribunale e né in una sede parlamentare – avverte Gero Grassi
Bologna arrivò dopo la strage di Ustica e dopo la morte di Aldo Moro. Il tributo di sangue di Bari fu straziante.
La famiglia Diomede Fresa fu dilaniata, si salvò solo la figlia rimasta a Bari quel giorno. A distanza di 39 anni si impone una revisione di giustizia».

Parole che hanno fatto imbestialire il suo collega di partito Bolognesi,
anch’egli commissario nella Commissione Parlamentare d’inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro.


«Dopo lo scoppio, il presidente del Consiglio Francesco Cossiga – ricorda Gero Grassi – accusò i neofascisti.
Poi, quando era al Quirinale, chiese scusa a Giuseppe Tatarella, allora capogruppo del Msi, e disse che era una vicenda internazionale.
E aggiunse: “Fui depistato dai nostri servizi”. Il magistrato Mancuso dice che il depistaggio su Bologna iniziò qualche minuto dopo la strage.
Il depistaggio di Moro iniziò subito dopo, come per Ustica e Borsellino: queste stragi dunque hanno limiti che non abbiamo ancora definito».

Di qui la proposta di desecretare i documenti della Commissione Moro dove si parla, fra l’altro,
proprio delle minacce di ritorsioni e attentati formulate all’Italia dai palestinesi e dei rapporti che l’ex-capocentro del Sismi a Beirut,
Stefano Giovannone, fedelissimo di Aldo Moro
, teneva, per conto dello Stato italiano, con i vertici dell’Fplp,
il Fronte Popolare di Liberazione della Palestina
nel tentativo di contenerne le intimidazioni esplicite.

«Cossiga per la bomba di Bologna cita il “lodo Moro” con disprezzo nei confronti dello statista di Maglie – ricorda ancora Grassi
è un accordo tra Italia e irredentisti palestinesi dove si consente ai combattenti in guerra con Israele di far passare,
sul nostro suolo nazionale, armi dietro preavviso ai nostri servizi segreti.

Cossiga
evoca il “lodo Moro” per dare una pista, mentre sui condannati Mambro e Fioravanti, dice, con linguaggio criptico, che sono estranei alla strage.
Bisogna decidere cosa far prevalere: la verità o la ragione di Stato?».

Parole che per Bolognesi suonano quasi come un affronto personale.
Di qui la grave minaccia a Gero Grassi agitando, come una clava, nel corso del suo intervento, il nuovo reato di depistaggio, introdotto nel 2016:
«Vedo qui, in sala, David Ermini, (anch’egli ex-parlamentare Pd paracadutato da Renzi, di cui è amicissimo
e conterraneo di Figline Valdarno, sulla poltrona di vicepresidente del Csm, ndr
)
e non posso che ricordare il grande impegno per la legge sul depistaggio che ora non è più un vocabolo ma un reato».

Una intimidazione, quella di Bolognesi, che Gero Grassi respinge con fermezza:
«Io non ho mai parlato della pista palestinese. Bolognesi lo rispetto e può dire quello che vuole, ci mancherebbe altro,
non deve chiedere il permesso a me. Io dico solo che se desecretiamo le carte finiamo la disputa su quello che contengono.
Io non ho una pista o un’idea da difendere. Io chiedo la desecretazione delle carte, perché, desecretandole,
ognuno potrà farsi la sua idea e la magistratura potrà lavorare sui fatti e non sulle ipotesi, tutto qua».

«Le intimidazioni di Bolognesi a Gero Grassi sono inaccettabili . La verità, oltre il segreto sulla strage di Bologna”
al quale hanno aderito esponenti di diversi partiti fra cui anche lo stesso Gero Grassi
Bolognesi
la smetta di parlare da esponente politico, mantenga equilibrio e terzietá nello svolgimento del suo ruolo di presidente dell’associazione delle Vittime».
«Grassi è uomo onesto intellettualmente e di grande coraggio, e per questo gli riconosciamo il giusto tributo».

Quanto alla pista palestinese «ha riscontri solidi, confermati dai componenti delle Commissioni di inchiesta
che hanno visionato i cablogrammi inviati da Giovannone, in cui sarebbe contenuta l’avvertenza
dell’allora responsabile dei servizi segreti a Beirut – e principale contatto con i movimenti palestinesi
di eventuali ritorsioni per l’arresto di Abu Anzeh Saleh e la rottura del cosiddetto “Lodo Moro”».

«Nella Relazione conclusiva della Commissione “Moro 2” approvata dal Parlamento
«una delle principali acquisizioni è giunta dagli approfondimenti sulla dimensione “mediterranea” della vicenda Moro,
con particolare riferimento agli accordi politici e di intelligence che fondavano la politica italiana,
in particolare nei riguardi del Medio Oriente, della Libia e della questione israelo-palestinese.
Gli approfondimenti sul ruolo dei movimenti palestinesi e del centro Sismi di Beirut hanno consentito di gettare nuova luce
sulla vicenda delle trattative per una liberazione di Moro e sul tema dei canali di comunicazione con i brigatisti,
ma anche di cogliere i condizionamenti che poterono derivare dalla collocazione internazionale del nostro Paese
e dal suo essere crocevia di traffici di armi con il Medio Oriente, spesso tollerati per ragioni geopolitiche e di sicurezza nazionale».
 

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