[GLI AMANTI] SEPARATI
Non scrivere. Sono triste, e vorrei spegnermi
Le belle estati senza di te, sono come una notte senza una luce
Ho richiuso le mie braccia, non possono raggiungerti,
e bussare al mio cuore è come bussare su una tomba.
Non scrivere!
Non scrivere. Impariamo a morire per noi stessi.
Non chiedo che a Dio, che a te, se ti amavo!
Nel profondo della tua assenza, ascoltare che tu mi ami
è comprendere il cielo senza mai salirci.
Non scrivere!
Non scrivere. Ho paura di te, ho paura della mia memoria:
ha conservato la tua voce che spesso mi chiama.
Non mostrare la acque di fonte a chi non la può bere.
Una cara scrittura è un ritratto vivente.
Non scrivere!
Non scrivere quelle dolci parole che non oso più leggere:
sembra che la tua voce le versi sul mio cuore;
che le veda bruciare attraverso il tuo sorriso;
sembra che un bacio le imprima sul mio cuore.
Non scrivere!
LES SEPAREES (testo originale)
N'écris pas. Je suis triste, et je voudrais m'éteindre.
Les beaux étés sans toi, c'est la nuit sans flambeau.
J'ai refermé mes bras qui ne peuvent t'atteindre,
Et frapper à mon coeur, c'est frapper au tombeau.
N'écris pas !
N'écris pas. N'apprenons qu'à mourir à nous-mêmes.
Ne demande qu'à Dieu… qu'à toi, si je t'aimais !
Au fond de ton absence écouter que tu m'aimes,
C'est entendre le ciel sans y monter jamais.
N'écris pas !
N'écris pas. Je te crains ; j'ai peur de ma mémoire ;
Elle a gardé ta voix qui m'appelle souvent.
Ne montre pas l'eau vive à qui ne peut la boire.
Une chère écriture est un portrait vivant.
N'écris pas !
N'écris pas ces doux mots que je n'ose plus lire :
Il semble que ta voix les répand sur mon coeur ;
Que je les vois brûler à travers ton sourire ;
Il semble qu'un baiser les empreint sur mon coeur.
N'écris pas !
Marceline Desbordes - Valmore
LES SÉPARÉS version Benjamin Biolay - YouTube
Marceline Desbordes-Valmore nasce a Douai il 20 giugno 1786, piccola città della Fiandra Francese, in una famiglia piccola borghese.
Con la Rivoluzione, arriva la povertà ed inizia l’esodo familiare, la madre la costringe, fin da bambina, a recitare in compagnie itineranti tra disagi e miserie.
Nel tentativo di risanare la situazione finanziaria della famiglia, sua madre decide di andare insieme a Marceline nella Guadalupa, dove risiede un cugino arricchitosi, ma all’arrivo scoprono che il loro parente è stato ucciso a seguito di una rivolta di schiavi. A peggiorare le cose la madre si ammala di febbre gialla e muore.
Marceline rientra in Francia, appena sedicenne, e si dedica alla professione di cantante e attrice (chanteuse), ha una forte sensibilità espressiva e si impadronisce facilmente dei segreti del verso e della rima, studia e impara memoria i classici della letteratura francese, autodidatta, ed inizia a scrivere.
A 22 anni è già conosciuta come poetessa ed ha già pubblicato su diverse riviste.
Passa la sua vita da teatro in teatro, conosce uno scrittore e commediante Henry Latouche, se ne innamora follemente: è un legame tormentato, assente per lunghissimi periodi e la trascura, ma sarà l’amante segreto per 20 anni, avrà anche un figlio, che muore a cinque anni.
Si sposa nel 1817 con Prosper Valmore, attore bello e mediocre, che le darà quattro figli, dei quali tre le moriranno prematuramente.
Ma il suo cuore resterà sempre dominato dal bizzarro Latouche, a cui dedicherà tutte le poesie d’amore sotto il nome di Olivier.
Con il marito istaura un rapporto di solidarietà e di dignità, lui la ama in modo sincero e duraturo.
Malgrado le numerose disavventure, per tutti questi anni Marceline scrive con instancabile passione.
Muore di cancro a Parigi il 23 luglio 1859.
Nel 1820 Marceline lascia il palcoscenico come cantante, e nel 1832 anche come attrice, per dedicare il suo tempo completamente alla scrittura.
I soggetti che sceglie sono quelli dei romantici, canta l’amore per i bambini, i poveri, i disabili, i prigionieri politici, ovvero per tutti gli esseri fragili. Scrive anche di spiritualità, scrive sull’amore, sul suo amore, sulla maternità, (in particolare sul suo unico figlio vivente, sulle morti premature, sulla morte dei suoi figli), sulla assenza e sulla morte.
In sostanza ci troviamo di fronte ad una libera pensatrice, colta e sensuale, fiorente ed abissale.
È suo, fra i molti, il significativo e coraggioso aforisma, tratto da una bellissima lettera (Lettre de Femme) “Les femmes, je le sais, ne doivent pas écrire; J'écris pourtant” (so bene che le donne non dovrebbero scrivere; ciononostante, io scrivo)
Pochi hanno saputo scavare così profondamente nei rapporti uomo-donna, analizzare le frustrazioni dell’animo femminile di fronte allo spirito inquieto dell’altro che sa amare, ma è attratto da altre cose, da avventure, da viaggi.
Marceline, oltre alle poesie, ha scritto anche racconti, romanzi e molte lettere, ed è stata un riferimento espressivo per grandi autori francesi, come Hugo, Rimbaud, Mallarmé.
Honoré de Balzac, apprezzava con convinzione il suo talento e la spontaneità dei suoi versi.
E’ considerata la poetessa che ha influito l'evoluzione della scrittura di Paul Verlaine, il quale dichiara: « Proclamiamo ad alta e intelligibile voce che Marceline Desbordes-Valmore è senz'altro […] la sola donna di genio e di talento di questo secolo e di tutti i secoli […]»
È l’unica donna inclusa nella celebre antologia di Verlaine “I poeti maledetti”. Particolarmente stimata da Charles Baudelaire, che parla di lei come la perfetta incarnazione della donna, afferma: « Mme Desbordes-Valmore fu donna, fu sempre donna e non fu nient'altro che donna; ma ebbe un grado straordinario di espressione poetica intrisa di tutte le bellezze naturali della donna.»
Ha inventato il verso libero, è stata la prima ad utilizzare il verso dispari e ad occuparsi della musicalità della parola, e a fare uso della figura retorica della sinestesia.
Il fatto di essere donna, e di essere presa poco su serio, le ha permesso di essere più coraggiosa, più audace, di tentare nuovi modi di poetare, insomma di sperimentare.
Tutti i letterati di Francia erano rimasti incantati da lei, per il fatto che incarnava, come pochi, lo spirito del tempo, cioè il tramonto del Romanticismo, ed i primi bagliori del Simbolismo, la chiamavano “maestro” e la osannavano, cosa questa che non le ha però permesso negli anni seguenti, di trovare il giusto o un minimo spazio nelle antologie.
Probabilmente perché era soltanto una donna.