Pharma e Biotech - Europa NicOx : Quelli che aspettano ,,,, ridendo !!! (3 lettori)

Stato
Chiusa ad ulteriori risposte.

magolibero

..se la sà gira..
http://www.repubblica.it/supplementi/af/2009/11/23/scienze/029biotek.html

America, la rinascita del biotech
Solo un anno fa, su 370 imprese la metà aveva un’autonomia di cash pari a pochi mesi: oggi sono tutte di nuovo super capitalizzate e agguerrite

I CASI AL NASDAQ

ANDREA RUSTICHELLI


Un raggio di sole per il comparto delle biotecnologie, dopo il grande diluvio. Ritornano sul mercato diverse imprese che rischiavano l’estinzione: le loro azioni riprendono quota o s’involano letteralmente (è il caso delle aziende Vermillion o Human Genome Sciences). Ma se i segnali sono incoraggianti rispetto al pessimismo tombale di qualche mese fa, suffragato da bancarotte e sospensioni dei titoli, l’arcobaleno non è ancora arrivato. Il problema resta quello dei fondi. Appena un anno fa, certe del naufragio, le principali organizzazioni di settore, la statunitense Biotechnology Industry Organisation e la britannica Bioindustry Association, chiedevano a gran voce un deciso intervento dei governi, a suon di tax credits. Spiega Gary Waanders, analista della Nomura: «Appena le aziende biotecnologiche mostrano debolezza nei bilanci vengono semplicemente crocifisse». Lo scorso inverno lo scenario appariva popolato da zombie. Secondo l’associazione statunitense di settore, su 370 piccole aziende la metà aveva un’autonomia di cash inferiore a un anno. Per 70 di esse, poi, un’azione valeva meno di 1 dollaro. In un simile contesto, impossibile vedere nuovi business fare capolino.
Ma i segni della ripresa sono ora innegabili, e così 50 compagnie, le cui azioni erano scese sotto il dollaro, scambiano adesso i loro titoli per almeno 2 dollari. Trenta aziende hanno ripreso consistenza, con una capitalizzazione che supera i 100 milioni di dollari (13 scavalcano la soglia dei 200 milioni). E 10 industrie hanno visto un incremento del loro prezzo sui listini del 1.000% o molto più. Alcuni casi hanno dell’incredibile: la Human Genome Sciences ha guadagnato il 4.000% in Borsa da marzo ad oggi, la Vanda Pharmaceuticals il 2000, la Jazz Pharma il 1000. Intanto il venture capital che era sparito in concomitanza con la crisi finanziaria e il credit crunch torna invece ad affluire senza più riserve sulle aziende più innovative, e si rilancia l’interesse di Big Pharma, alle prese con strategie da reinventare: è recentissima l’operazione da 1 miliardo di dollari del gigante Johnson & Johnson, che ha acquisito Cougar Biotechnology, piccola azienda di Los Angeles specializzata in oncologia (con un farmaco in avanzata sperimentazione per il cancro alla prostata). La Talecris è stata da poco quotata con una capitalizzazione iniziale di 950 milioni.
La storia delle società biotech è costellata di colpi di scena: e gli investitori hanno la memoria lunga. Fatale fu il destino della British Biotech: il capitale azionario superava i 3 miliardi di dollari, prima della polverizzazione alla fine degli anni ’90 (un crollo del 90%), che la portò alla svendita. Per non parlare di PPL Therapeutics, la compagnia che clonò la pecora Dolly nel 1996: cinque anni dopo fu costretta a cedere quella tecnologia dagli alti costi e dalla resa incerta. Un’industria strutturalmente precaria e imprevedibile, con investimenti ad altissimo rischio. Il suo lievito è la ricerca pura, che non sempre porta a risultati remunerativi. «È un’industria dove i prodotti richiedono un’enorme quantità di denaro liquido», afferma Clive Dix, capo della Bioindustry Association. «I fondi che la nutrivano si sono prosciugati con la crisi, perciò abbiamo capito che molte aziende sono guardate dai finanziatori come troppo rischiose».
Secondo gli analisti gli spiragli dell’annunciata ripresa non dipendono troppo da mutate condizioni di sistema. L’elemento decisivo sarebbe ben più imponderabile: fortuna. Ovvero test clinici che producono buoni esiti e, soprattutto, il placet della temutissima Fda (l’ente governativo Usa, Food and Drug Administration): è successo al farmaco Benlysta della Human Genome Sciences (che qualche mese fa valeva mezzo dollaro ad azione e vede ora i propri titoli quotati a 19,50 con una capitalizzazione schizzata a 3 miliardi), è accaduto alla Vanda Pharmaceuticals che sicura di ottenere presto il via libera della FDA al suo prodotto antipsicotico ha venduto i diritti sul farmaco a Novartis, ed è successo alla Jazz Pharma dopo che i test clinici hanno mostrato che il suo prodotto per la narcolessia, Xyrem, può essere usato anche per i dolori cronici accompagnati da disturbi del sonno e dell’umore
 

doctor NO

NO nel DNA
http://www.repubblica.it/supplementi/af/2009/11/23/scienze/029biotek.html

America, la rinascita del biotech
Solo un anno fa, su 370 imprese la metà aveva un’autonomia di cash pari a pochi mesi: oggi sono tutte di nuovo super capitalizzate e agguerrite

I CASI AL NASDAQ

ANDREA RUSTICHELLI


Un raggio di sole per il comparto delle biotecnologie, dopo il grande diluvio. Ritornano sul mercato diverse imprese che rischiavano l’estinzione: le loro azioni riprendono quota o s’involano letteralmente (è il caso delle aziende Vermillion o Human Genome Sciences). Ma se i segnali sono incoraggianti rispetto al pessimismo tombale di qualche mese fa, suffragato da bancarotte e sospensioni dei titoli, l’arcobaleno non è ancora arrivato. Il problema resta quello dei fondi. Appena un anno fa, certe del naufragio, le principali organizzazioni di settore, la statunitense Biotechnology Industry Organisation e la britannica Bioindustry Association, chiedevano a gran voce un deciso intervento dei governi, a suon di tax credits. Spiega Gary Waanders, analista della Nomura: «Appena le aziende biotecnologiche mostrano debolezza nei bilanci vengono semplicemente crocifisse». Lo scorso inverno lo scenario appariva popolato da zombie. Secondo l’associazione statunitense di settore, su 370 piccole aziende la metà aveva un’autonomia di cash inferiore a un anno. Per 70 di esse, poi, un’azione valeva meno di 1 dollaro. In un simile contesto, impossibile vedere nuovi business fare capolino.
Ma i segni della ripresa sono ora innegabili, e così 50 compagnie, le cui azioni erano scese sotto il dollaro, scambiano adesso i loro titoli per almeno 2 dollari. Trenta aziende hanno ripreso consistenza, con una capitalizzazione che supera i 100 milioni di dollari (13 scavalcano la soglia dei 200 milioni). E 10 industrie hanno visto un incremento del loro prezzo sui listini del 1.000% o molto più. Alcuni casi hanno dell’incredibile: la Human Genome Sciences ha guadagnato il 4.000% in Borsa da marzo ad oggi, la Vanda Pharmaceuticals il 2000, la Jazz Pharma il 1000. Intanto il venture capital che era sparito in concomitanza con la crisi finanziaria e il credit crunch torna invece ad affluire senza più riserve sulle aziende più innovative, e si rilancia l’interesse di Big Pharma, alle prese con strategie da reinventare: è recentissima l’operazione da 1 miliardo di dollari del gigante Johnson & Johnson, che ha acquisito Cougar Biotechnology, piccola azienda di Los Angeles specializzata in oncologia (con un farmaco in avanzata sperimentazione per il cancro alla prostata). La Talecris è stata da poco quotata con una capitalizzazione iniziale di 950 milioni.
La storia delle società biotech è costellata di colpi di scena: e gli investitori hanno la memoria lunga. Fatale fu il destino della British Biotech: il capitale azionario superava i 3 miliardi di dollari, prima della polverizzazione alla fine degli anni ’90 (un crollo del 90%), che la portò alla svendita. Per non parlare di PPL Therapeutics, la compagnia che clonò la pecora Dolly nel 1996: cinque anni dopo fu costretta a cedere quella tecnologia dagli alti costi e dalla resa incerta. Un’industria strutturalmente precaria e imprevedibile, con investimenti ad altissimo rischio. Il suo lievito è la ricerca pura, che non sempre porta a risultati remunerativi. «È un’industria dove i prodotti richiedono un’enorme quantità di denaro liquido», afferma Clive Dix, capo della Bioindustry Association. «I fondi che la nutrivano si sono prosciugati con la crisi, perciò abbiamo capito che molte aziende sono guardate dai finanziatori come troppo rischiose».
Secondo gli analisti gli spiragli dell’annunciata ripresa non dipendono troppo da mutate condizioni di sistema. L’elemento decisivo sarebbe ben più imponderabile: fortuna. Ovvero test clinici che producono buoni esiti e, soprattutto, il placet della temutissima Fda (l’ente governativo Usa, Food and Drug Administration): è successo al farmaco Benlysta della Human Genome Sciences (che qualche mese fa valeva mezzo dollaro ad azione e vede ora i propri titoli quotati a 19,50 con una capitalizzazione schizzata a 3 miliardi), è accaduto alla Vanda Pharmaceuticals che sicura di ottenere presto il via libera della FDA al suo prodotto antipsicotico ha venduto i diritti sul farmaco a Novartis, ed è successo alla Jazz Pharma dopo che i test clinici hanno mostrato che il suo prodotto per la narcolessia, Xyrem, può essere usato anche per i dolori cronici accompagnati da disturbi del sonno e dell’umore




chissà perchè:lol::lol::lol: saranno il motore delle pharma senza idee!!!!!!!!!!!!
 

acqua+

ONDA NITRICA
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America, la rinascita del biotech
Solo un anno fa, su 370 imprese la metà aveva un’autonomia di cash pari a pochi mesi: oggi sono tutte di nuovo super capitalizzate e agguerrite

I CASI AL NASDAQ

ANDREA RUSTICHELLI


Un raggio di sole per il comparto delle biotecnologie, dopo il grande diluvio. Ritornano sul mercato diverse imprese che rischiavano l’estinzione: le loro azioni riprendono quota o s’involano letteralmente (è il caso delle aziende Vermillion o Human Genome Sciences). Ma se i segnali sono incoraggianti rispetto al pessimismo tombale di qualche mese fa, suffragato da bancarotte e sospensioni dei titoli, l’arcobaleno non è ancora arrivato. Il problema resta quello dei fondi. Appena un anno fa, certe del naufragio, le principali organizzazioni di settore, la statunitense Biotechnology Industry Organisation e la britannica Bioindustry Association, chiedevano a gran voce un deciso intervento dei governi, a suon di tax credits. Spiega Gary Waanders, analista della Nomura: «Appena le aziende biotecnologiche mostrano debolezza nei bilanci vengono semplicemente crocifisse». Lo scorso inverno lo scenario appariva popolato da zombie. Secondo l’associazione statunitense di settore, su 370 piccole aziende la metà aveva un’autonomia di cash inferiore a un anno. Per 70 di esse, poi, un’azione valeva meno di 1 dollaro. In un simile contesto, impossibile vedere nuovi business fare capolino.
Ma i segni della ripresa sono ora innegabili, e così 50 compagnie, le cui azioni erano scese sotto il dollaro, scambiano adesso i loro titoli per almeno 2 dollari. Trenta aziende hanno ripreso consistenza, con una capitalizzazione che supera i 100 milioni di dollari (13 scavalcano la soglia dei 200 milioni). E 10 industrie hanno visto un incremento del loro prezzo sui listini del 1.000% o molto più. Alcuni casi hanno dell’incredibile: la Human Genome Sciences ha guadagnato il 4.000% in Borsa da marzo ad oggi, la Vanda Pharmaceuticals il 2000, la Jazz Pharma il 1000. Intanto il venture capital che era sparito in concomitanza con la crisi finanziaria e il credit crunch torna invece ad affluire senza più riserve sulle aziende più innovative, e si rilancia l’interesse di Big Pharma, alle prese con strategie da reinventare: è recentissima l’operazione da 1 miliardo di dollari del gigante Johnson & Johnson, che ha acquisito Cougar Biotechnology, piccola azienda di Los Angeles specializzata in oncologia (con un farmaco in avanzata sperimentazione per il cancro alla prostata). La Talecris è stata da poco quotata con una capitalizzazione iniziale di 950 milioni.
La storia delle società biotech è costellata di colpi di scena: e gli investitori hanno la memoria lunga. Fatale fu il destino della British Biotech: il capitale azionario superava i 3 miliardi di dollari, prima della polverizzazione alla fine degli anni ’90 (un crollo del 90%), che la portò alla svendita. Per non parlare di PPL Therapeutics, la compagnia che clonò la pecora Dolly nel 1996: cinque anni dopo fu costretta a cedere quella tecnologia dagli alti costi e dalla resa incerta. Un’industria strutturalmente precaria e imprevedibile, con investimenti ad altissimo rischio. Il suo lievito è la ricerca pura, che non sempre porta a risultati remunerativi. «È un’industria dove i prodotti richiedono un’enorme quantità di denaro liquido», afferma Clive Dix, capo della Bioindustry Association. «I fondi che la nutrivano si sono prosciugati con la crisi, perciò abbiamo capito che molte aziende sono guardate dai finanziatori come troppo rischiose».
Secondo gli analisti gli spiragli dell’annunciata ripresa non dipendono troppo da mutate condizioni di sistema. L’elemento decisivo sarebbe ben più imponderabile: fortuna. Ovvero test clinici che producono buoni esiti e, soprattutto, il placet della temutissima Fda (l’ente governativo Usa, Food and Drug Administration): è successo al farmaco Benlysta della Human Genome Sciences (che qualche mese fa valeva mezzo dollaro ad azione e vede ora i propri titoli quotati a 19,50 con una capitalizzazione schizzata a 3 miliardi), è accaduto alla Vanda Pharmaceuticals che sicura di ottenere presto il via libera della FDA al suo prodotto antipsicotico ha venduto i diritti sul farmaco a Novartis, ed è successo alla Jazz Pharma dopo che i test clinici hanno mostrato che il suo prodotto per la narcolessia, Xyrem, può essere usato anche per i dolori cronici accompagnati da disturbi del sonno e dell’umore


Già ,,,, però dimenticano di citare ,,, quelle SPARITE :eek::eek::eek:

a memoria ,,,, PANACOS, NUVELO, NITROMED, BIOPURE, ACUSPHERE, CELL GENESYS, COLEY, NANOGEN, OSCIENT, NEOPHARM ,,,, e qualche altra decina :wall::wall::wall:
 

DickSIM

Prima o poi....ci becco!
Già ,,,, però dimenticano di citare ,,, quelle SPARITE :eek::eek::eek:

a memoria ,,,, PANACOS, NUVELO, NITROMED, BIOPURE, ACUSPHERE, CELL GENESYS, COLEY, NANOGEN, OSCIENT, NEOPHARM ,,,, e qualche altra decina :wall::wall::wall:

thò và...........è arrivato! :D:Dle hai ancora in ptf?:lol::D

senti ma le BOA?:cool: sei per caso quello a 7,13€ :D:D:D:-?
 

tradermen

Forumer storico
(CercleFinance.com) - Affecté par une recommandation à 'vendre' par Aurel Leven, Nicox poursuit la correction amorcée sous 8,87E: le repli atteint maintenant les -15% et le titre revient tester le plancher des 7,1/7,15E des 22 et 23 décembre 2008 et 13 janvier 2009.
En cas d'enfoncement, le prochain objectif se situerait désormais vers 6,8E, un niveau de cours qui intégrerait plus que largement la dilution anticipée à l'occasion de l'augmentation de capital de 100MnsE.
 
Stato
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