Obbligazioni bancarie Obbligazioni Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca

Banca Popolare di Vicenza, il legale Aduc: arrivano le solite "conciliazioni"
Di Citizen Writers | oggi alle 16:45 | 0 commenti







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Riceviamo da Anna D'Antuono, legale Aduc, e pubblichiamo

Dalla Banca Popolare di Vicenza sono pervenute le prime indicazioni sul "parziale ristoro" previsto per gli azionisti. Procedura che di sicuro sarà copiata da Veneto Banca e che interessa quindi anche gli azionisti di questa. E' prevista un’offerta pubblica di transazione pari al 20% della perdita. La motivazione è che "quello in azioni è, in ogni caso, un investimento a maggiore rischio". Specie, aggiungiamo noi, se a gestire la società vi sono incompetenti, o peggio.


clicca qui. Come agire in concreto? Domani, 15 ottobre, sarà istituita la segreteria tecnica dell'Arbitro per le Controversie Finanziarie. Oramai, manca solo la nomina del Collegio ed è tutto pronto per l'avvio dell'Acf, previsto per gennaio. Se il ricorso presso la Consob dovesse andare male, sarà sempre possibile intentare causa. Ricordiamo che l'Acf è competente fino a 500mila euro per ciascun soggetto, quindi chi lamentasse danni di importo superiore farà bene a questo punto ad avviare il tentativo obbligatorio di mediazione con la banca, in modo da guadagnare tempo. Le due banche non si stanno presentando alle mediazioni, quindi ci si toglie il pensiero in un mese al solo costo della spesa fissa di avvio procedura. Aduc sta seguendo da tempo un forte numero di azionisti. Chi fosse interessato all'assistenza, o anche solo a ricevere maggiori informazioni, può contattare Aduc sul canale Investire Informati del sito web ADUC - Investireoppure direttamente nelle seguenti sedi: - Brescia - mail: [email protected], tel 0305030934 - Roma - mail:[email protected], tel 3331092697 - Napoli - mail: [email protected], tel 3331092697
 
La compagnia scaligera ha un problema non da poco. Si chiama Popolare di Vicenza, con la quale il rapporto di joint venture nella bancassurance si è chiuso, ma che resta pur sempre il loro primo azionista. Da quel che risulta il 15% in mano alla Popolare è diventato una specie di incubo per i veronesi. Temono che se subentrasse un investitore finanziario al posto della Vicenza questo premerebbe per la trasformazione in spa. Pressioni che alcuni azionisti a mezzo stampa hanno già fatto sentire nell’ultima settimana. Cattolica starebbe sondando soggetti interessati a prendere il posto di Bpvi. E pare che una delle prime porte a cui siano andati a bussare sia proprio quella della Fondazione. Sul capitolo banche del territorio, Veneto Banca e Bpvi, infine, l’ente presieduto da Mazzucco non è un osservatore neutro. Su Popolare di Vicenza, prima dell’aumento di capitale andato male, prima della quotazione fallita e l’intervento salvifico di Atlante (al quale Cariverona non ha partecipato come sottoscrittore) la Fondazione si era proposta insieme a Fortress per un piano alternativo. Le due popolari stanno definendo i piani di turnaround, esuberi e vendita degli npl. Ripulite le due banche possono diventare appetibili per aggregazioni, magari con qualche istituto quotato. In quel caso l’interesse di Cariverona si riaccenderebbe. A Verona nessuno ne fa mistero, se le due venete arrivassero sul listino, la Fondazione sarebbe pronta a prendersi parte delle quote di Atlante
 
«Dobbiamo fare una banca veneta
gli imprenditori disponibili ci sono»

Zaia ha incontrato Mion (Bpvi) e chiede una tregua al governo: già pronto un gruppo di lavoro
VENEZIA «La Lombardia ha le banche lombarde, il Friuli Venezia Giulia ha le banche friulane, l’Emilia Romagna non ne parliamo neanche di che sistema di banche emiliano-romagnole ha… E vi pare possibile che il Veneto non abbia più una banca veneta?». Incredibile ma vero, verrebbe da rispondere a Luca Zaia, presidente di una regione che in questi mesi ha visto la proprietà della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca passare nelle mani di Atlante, fondo che però potrebbe decidere di fare un passo indietro nel possesso azionario, nel momento in cui si profilasse la necessità di ricapitalizzare i due istituti dopo la cessione delle sofferenze. Chissà se il governatore ha parlato anche di questo con Gianni Mion, il numero uno di Bpvi che studia la fusione con Montebelluna e che gli ha fatto visita a San Vendemiano («Sì, ci siamo incontrati nel mio ufficio e abbiamo avuto uno scambio di vedute», si limita a confermare).

Dunque pensa che si possa arrivare, o tornare, a una banca del territorio?
«Non è che si può: si deve. Lo so anch’io che il mondo bancario sarà sempre meno analogico e sempre più digitale, perché se una volta si andava in filiale con la stessa frequenza con cui si va in panificio, adesso c’è l’home banking. Ma noi abbiamo il dovere di salvaguardare l’occupazione. E a dispetto di quello che tutti dicono, io vado controcorrente e penso che il lavoro dei nostri bancari veneti si salva dando vita a un istituto in Veneto, a partire dalle ceneri delle ex Popolari. E non solo da quelle».

Servirebbero però degli imprenditori.
«Infatti ci sono. Più di qualcuno si è dichiarato disponibile a partecipare sulla base di un progetto serio. Se c’è un buon piano industriale, e se il governo capisce che ad un territorio sano non puoi togliere le sue banche, e se Bankitalia e la Cassa depositi e prestiti e Veneto Sviluppo sono presenti, le forze imprenditoriali si aggregano velocemente».

Davvero? Alla fine nessuna di loro ha sostenuto le ultime ricapitalizzazioni...
«Ma al loro posto non l’avrei fatto nemmeno io. Un imprenditore ha una propensione genetica al business e non ci voleva mica una laurea in economia per capire che quello non era certo un affare. Ora che le due banche sono state salvate, però, siamo in una situazione completamente diversa. O prendiamo questo treno, o dovremo prepararci ad avere un interlocutore finanziario e creditizio straniero. E io mi rifiuto di pensare che un Veneto che conta 600 mila partite Iva e 150 miliardi di euro di Pil, dove l’85% degli imprenditori interpellati dalla Fondazione Nord Est dice di volere più autonomia, decida di regalare il suo sistema del credito a soggetti che vengono da fuori. Per questo anche gli stakeholder istituzionali, come governo, Regione e associazioni di categoria, devono scandagliare fino in fondo il dossier della banca del territorio, prima di chiuderlo».

Che ruolo avranno allora in questa partita la Regione e la sua finanziaria?
«Non abbiamo nessuna velleità di regìa, siamo semplicemente a disposizione, anche per non sentire più quella storia del Veneto “gigante economico e nano politico”. Dopo la riunione con Veneto Sviluppo e le categorie economiche sulla crisi delle ex Popolari, abbiamo disegnato una road map, che prevede fra l’altro la costituzione di un gruppo di lavoro, in cui gli esperti indicheranno l’impatto dei tre scenari prospettati da Alessandro Penati (il presidente di Quaestio Sgr., società di gestione di Atlante, ndr.): vendita, spezzettamento e fusione. Con la consapevolezza che noi potremo arrivare solo fino ad un certo punto».

Dipendesse da lei?
«La mia idea sarebbe di aggregare non solo le due ex Popolari, entrambe detenute da Atlante che però non è una banca bensì un ponte di pulizia e garanzia, ma pure il Credito cooperativo, anche se non sono un giurista, per cui non so se sarebbe fattibile la fusione delle Spa con le Bcc. Ma il concetto è: non chiudere nessuna porta, di fronte alla possibilità di avere una banca del territorio. E sia chiaro che questo non è rozzo localismo leghista, ma una ovvia regola di mercato: come New York ha le banche newyorkesi e Londra ha le banche londinesi, così è giusto che pure il Veneto abbia una banca veneta. In questi giorni sento Matteo Renzi parlare molto di Veneto. Bene: riusciamo per una volta a fare una cosa insieme senza litigare?».

Sarebbe una notizia. Ma, nel caso, come penserebbe di riconquistare la fiducia di risparmiatori e correntisti?
«Bisogna che le ex Popolari restituiscano i soldi ai risparmiatori beffati, accantonando gli utili per questo scopo e non per acquistare immobili o fare sponsorizzazioni. Non sarà facile, ma questo è l’unico modo perché il territorio possa chiudere il doloroso capitolo del crollo delle azioni e ricordare di essere cresciuto proprio grazie alle banche del territorio, le sole che erogavano fidi e mutui quando gli altri istituti si giravano dall’altra parte».

18 ottobre 2016
 
Banca regionale veneta, Patrizia Bartelle: con la scusa di salvarci, qui ci scippano le banche da sotto il naso
Di Redazione VicenzaPiù | oggi alle 12:23 | 0 commenti







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Riceviamo da Consigliera Regione Veneto Patrizia Bartelle in Grillo e pubblichiamo
"Con la scusa di salvarci, qui ci scippano le banche da sotto il naso. Da quel che traspare negli ultimi giorni - spiega la Bartelle - pare che il governatore intenda collegare la trasformazione degli istituti popolari oggi in atto e dovuta ai “prestiti non performanti” presenti nelle loro pance, al disegno di una grande banca regionale veneta.

Il tutto nasce dalla constatazione che l’utilizzo del fondo “Atlante”, arrivato in aiuto al sistema bancario veneto per scongiurare il bail-in, possa comportare la prospettiva della cessione della proprietà delle banche, dopo il risanamento, fuori dal Veneto.
Zaia sembra intenzionato a risolvere il problema dando vita a una 'banca veneta del vino' unendo gli istituti che finanziano la filiera Prosecco e pensando di creare tramite la partecipata pubblica 'Veneto sviluppo' una grande banca capace di riprendere in mano i cordoni della borsa e che sia saldamente ancorata al territorio, grazie gli imprenditori veneti che dovrebbero parteciparvi.
L’idea non sarebbe di per sè malvagia, anche se bisogna notare che la proprietà privata della banca ha evidentemente fallito come modello di sviluppo nella misura in cui nel Consiglio di Amministrazione della stessa finiscono direttamente imprenditori o amici, ricreando probabilmente le stesse problematiche che ci hanno portato a questo punto". Una grande banca veneta che faccia gli interessi del territorio è un progetto presente nel programma regionale dei Cinque Stelle ma è una banca privata sotto il totale controllo pubblico, quello a cui pensava il Movimento e non viceversa".Modelli, d'altro canto, non mancano: "La Germania possiede una banca, la 'KfW' di proprietà dei Land e che finanzia il suo sistema industriale senza creare debito pubblico essendo quella banca di diritto privato ma in mano pubblica e perciò al di fuori del perimetro del debito pubblico", spiega la Bartelle. E anche la Francia ha seguito quest'esempio creando la Banca Pubblica d’Investimento (BPI), nata dalla fusione di tre enti: la filiale “aziende” della Caisse des Dépôts, Oséo (una banca per le start up creata dal governo Fillon) e l’Fsi (Fondo strategico d’investimento). "Il consiglio che rivolgiamo al governatore - chiude la consigliera - è di abbandonando il modello famigliare 'dell’imprenditore de casa nostra' per pensare in grande, magari alla creazione di strumenti che incidano realmente sul cuneo fiscale consentendo l’abbassamento delle tasse sull’impresa e sul lavoratore e che potrebbero essere finanziati da una banca simile".
 

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