Ora se ne accorgono tutti...
Il salvataggio pubblico non sarà indolore
Il salvataggio pubblico di Mps, che scatterà tra oggi e domani, poteva e doveva essere effettuato mesi o settimane fa, quando l’urgenza non era ancora diventata un’emergenza. In assenza di interventi sul capitale, tra nove giorni sarà bail in. In questo senso, ha ragione il Governo a definire «salva risparmio» il provvedimento che ad ore prenderà la forma di un decreto.
Senza salvataggio pubblico, la terza banca italiana finirebbe in procedura di risoluzione con l’azzeramento del valore di azio obbligazioni subordinate. Un dramma per molte famiglie, che vedrebbero andare in fumo i risparmi investiti in 2 miliardi di bond subordinati collocati dalla rete di vendita di Mps nel 2008, quando le nuove regole europee non erano ancora in vigore
Va detto con chiarezza fin da ora, in attesa dei dettagli che saranno contenuti nel decreto e negoziati con la Ue, che il salvataggio comunque non sarà indolore per i detentori di obbligazioni subordinate. La procedura di burden sharing che si s per aprire prevede la conversione forzosa in azioni a un prezzo, per ora ignoto, che non sarà pari al valore del capitale inves I bond oggetto della conversione scadono nel 2018 e chi dimostrerà di averli acquistati senza avere il profilo di rischio adegu sarà rimborsato per intero da un fondo statale (o della nuova banca pubblica).
Peggior sorte avranno gli investitori istituzionali che detengono gli altri due miliardi di subordinati, tra cui le Assicurazioni Generali con 400 milioni, che perderanno buona parte del capitale investito. Una distruzione di valore colossale, frutto di u serie di scelte scriteriate del passato che non riguardano solo l’acquisizione di AntonVeneta ma anche e soprattutto l’erogazi del credito «allegra» andata avanti per troppi anni, come dimostra il cumulo di 27 miliardi lordi di crediti in sofferenza.
Se l’intervento pubblico è ormai inevitabile per evitare conseguenze peggiori ai risparmiatori-investitori e ai depositanti, è lecito interrogarsi su quali basi poggiasse il maldestro tentativo di salvataggio basato su capitali privati che oggi il cda del Monte dichiarerà ufficialmente fallito. Una banca che oggi capitalizza sul mercato poco più di 400 milioni puntava a raccogl 5 miliardi, ufficialmente tutti sul mercato, entro il termine del 31 dicembre fissato arbitrariamente dalla Vigilanza europea d Bce.
Per motivazioni esclusivamente politiche, il piano è stato rinviato fino al referendum costituzionale del 4 dicembre. Subito d la crisi-lampo di Governo, il nuovo esecutivo ha dato disposizioni di ripartire con il piano privato secondo lo schema, riserv che puntava a raccogliere i 5 miliardi con un misto di risorse pubbliche e private. Due miliardi dovevano arrivare dalla conversione dei bond in azioni, un miliardo dal collocamento azionario sul mercato curato da JP Morgan e Mediobanca, un miliardo dai fondi sovrani cinesi e del Qatar (in contatto col Governo italiano più che con le banche d’affari), un miliardo dal Stato che, restando sotto il 20%, avrebbe avuto il via libera della Ue sul nodo aiuti di Stato.
Lo scorso week end, dopo una serie di conference call con i registi pubblici e privati dell’operazione, il Governo ha deciso ch non c’erano più i margini per il piano originario e ha svoltato definitivamente verso l’intervento diretto e la sperimentazion burden sharing.