intervista a Lovaglio sul Corriere online di oggi
Mps, parla Luigi Lovaglio: datemi quattro mesi e due miliardi e mezzo e salverò la banca
di
Stefano Righi11 lug 2022
Quattro mesi per salvare il Monte dei Paschi di Siena: 550 anni di storia bancaria naufragati in quindici stagioni di crisi ed errori. Una situazione più volte al limite del crollo, che oggi vede Luigi Lovaglio confezionare un piano di salvataggio «semplice, concreto e fattibile». Lovaglio, che si formò in Polonia ai tempi in cui guidava Pekao per conto di Unicredit, si è manifestato sul mercato italiano con il salvataggio del Credito Valtellinese e la successiva vendita all’Agricole («one billion dollars bank»), affronta ora la sua partita più difficile.
Lovaglio, il 7 febbraio lei è diventato «ceo» di Mps. Se l’aspettava?
«No. Certo Mps l’ho sempre guardata con attenzione. È una sfida molto importante, con un elevato livello di complessità, ma che ho accettato senza esitazioni. È una partita che è giusto si chiuda nel migliore dei modi nell’interesse di tutti. E sento la responsabilità di questo incarico, a cui sto dedicando tutte le mie energie».
Prime impressioni?
«Da fuori si ha una percezione diversa di questa banca. Mps c’è! In questi primi mesi questa è stata la sorpresa più piacevole. Mps ha già un suo valore e il mio compito è farlo emergere, far sì che questa banca venga valorizzata in modo corretto».
Quando parla di valore di Mps a cosa pensa?
«Al franchise così radicato, a un legame forte con la propria clientela e al grande potenziale della piattaforma Widiba».
Che situazione ha trovato?
«Ho trovato una banca con una forte presa sul territorio, una sua capacità di essere vicina ai clienti e un generale sentimento di affezione verso la banca. Una situazione ideale per una banca commerciale che è presente dalle Alpi alla Sicilia e ha una posizione di vertice in alcune regioni particolarmente ricche, come la Toscana, il Veneto e la Lombardia. Mps è, a mio avviso, la vera banca commerciale italiana. Oltre a questo, credo ci siano le competenze giuste e un diffuso desiderio di far vedere quanto vale la banca. Sento frequentemente dire, da colleghi e da clienti: io devo molto a questa banca, il Montepaschi mi ha aiutato a essere dove sono. Quindi farò di tutto perché questa banca abbia il futuro che merita».
Sembra il quadro che lei dipinse nel 2018 arrivando al Credito Valtellinese…
«È una situazione tipica delle banche con forte radicamento territoriale. Siena ha in più una storia lunga 550 anni, che si respira appena si varca la soglia della Rocca. Se poi scendi nella pinacoteca, il quadro del Rustichino “La Sapienza e la Prudenza” ti ricorda qual è la sintesi migliore del modo di fare banca».
Il piano industriale vede una banca focalizzata su tre aspetti: lavoro con i clienti, efficienza, semplificazione.
«Credo che la semplificazione sia una conseguenza della sapienza di cui dicevamo prima. A volte le organizzazioni, ed è il caso del Montepaschi, hanno un eccessivo livello di complessità. Così abbiamo cercato di semplificare, anche incorporando nella capogruppo tre società importanti, come Mps Capital services, il Consorzio, che è la macchina It operativa, e Mps leasing & factoring. Queste incorporazioni, approvate dal consiglio il 23 giugno, sono il segno concreto che le cose all’interno del Monte stanno accadendo. Stiamo già eseguendo il piano. Era un progetto che la banca voleva realizzare da tempo, e ora lo realizziamo».
Avete cambiato anche il modello organizzativo.
«Se vuoi cambiare le cose, devi partire da lì».
Negli anni Mps è stato uno dei grandi produttori di Npl, i crediti inesigibili. Ne venderete ancora?
«Sì. C’è uno stock di 700-800 milioni di euro che intendiamo cedere entro fine 2022».
Tra le eredità più scomode dal passato, ci sono cause straordinarie per circa 1,9 miliardi di euro.
«In verità le cause vere e proprie al momento hanno un petitum di circa 1 miliardo, abbiamo adeguata copertura e ci sono anche recenti sentenze favorevoli a Mps. Per il resto sono claims, reclami, che gestiamo con un approccio basato su riscontri oggettivi».
Questo il passato. Il futuro prossimo è un aumento di capitale da 2,5 miliardi di euro. Oggi il Monte vale in Borsa circa 460 milioni, tecnicamente si parla di aumento iperdiluitivo.
«Sì. È un aumento che riteniamo necessario per far ripartire la banca in quanto è propedeutico al raggiungimento degli obiettivi di piano con una parte rilevante destinata a fronteggiare i costi di uscita del personale».
Cosa vuol dire?
«Che circa 800 milioni di quell’aumento serviranno per finanziare l’uscita volontaria di circa 3.500 persone entro la fine dell’anno, attraverso il Fondo di solidarietà. Abbiamo già aperto un confronto con i sindacati. E attraverso questa manovra, la banca migliorerà decisamente la sua struttura».
Quando farete l’aumento di capitale?
«Fra quattro mesi, se tutto andrà come deve, credo che il problema del Montepaschi potrà essere in avanzata fase di risoluzione a quel punto».
Non è troppo ottimista?
«Abbiamo in corso una istanza con la Bce per le necessarie autorizzazioni collegate all’aumento. All’inizio di agosto convocheremo l’assemblea che si riunirà dopo il via libera di Bce e poi ci concentreremo sull’aumento di capitale che dovrebbe partire tra fine ottobre e novembre. In tempo per chiudere il programma delle uscite volontarie entro il 30 novembre. Un programma complesso che però garantisce il futuro dei 17.500 dipendenti che restano e che consentiranno al Montepaschi di continuare a fare banca, una cosa che Mps sa fare veramente bene».
Lei vede centrale l’operazione di aumento di capitale.
«Lo è perché cambierà volto alla banca, snellendola e mettendo Mps in una situazione di maggiore stabilità, anche in previsione di situazioni macro sfidanti».
All’aumento di capitale il governo italiano parteciperà sottoscrivendo la sua quota del 64 per cento di capitale. Quando uscirà lo stato italiano dal capitale del Monte dei Paschi?
«La negoziazione che riguarda la proroga del periodo è tra la Repubblica italiana e la Dg Comp. Ciò che mi pare positivo è la volontà di definire il tema in tempi brevi».
Si è parlato di aggregazioni e addirittura di spin-off di una parte di sportelli, di una fusione con la Popolare di Bari. Progetti naufragati?
«Mps nel 2024 punta a fare 700 milioni di utile prima delle tasse. Se poi utilizziamo una piccola parte dei crediti fiscali esistenti, le Dta, arriviamo facilmente al miliardo di utile. Per cui…».
Il titolo in Borsa viene da due settimane tremende, è finito sotto i 50 centesimi.
«I primi feedback sul piano sono positivi. Non penso quindi ci sia una specifica relazione tra piano industriale e andamento del titolo in Borsa. L’aumento è iperdiluitivo, il titolo è sottile e questo crea un’elevata volatilità».
Una delle vostre maggiori voci di ricavo è la «bancassurance».
«Il bilancio di Mps vede più commissioni che interessi, in questo la banca è stata apripista nel sistema bancario italiano. Le commissioni valgono circa 1,5 miliardi di euro e questo dà qualità al bilancio, senza consumare capitale. Mps nel 2024 produrrà 800 milioni di commissioni tra asset management e il mondo assicurativo. Non sono in tante a poterlo fare».
Resta che l’accordo con Axa sembra favorire più loro che voi.
«Quello con Axa è un accordo stringente, ma con queste dimensioni di business noi siamo una banca estremamente attraente».
Lei parlava del 2024. In quell’anno lei promette 700 milioni di utile lordo. Come ci arriva?
«Ci arriveremo dopo un buon 2023, che inizierà, il primo gennaio, con 270 milioni di costi in meno per il personale una volta attivato il Fondo di solidarietà».
Il dividendo quando arriverà?
«Con gli utili del 2025 e 2026, con un 30 per cento di payout ratio».
C’è chi vede Mps come un’altra Alitalia.
«La grande differenza che vedo io sta nella fedeltà dei nostri clienti, che fino ad oggi hanno continuato a “volare” con Mps».
Abbiamo parlato di dipendenti, parliamo della rete. Quanti sportelli chiuderete?
«Noi partiamo da un presupposto: vanno chiuse le filiali che non sono redditizie, non si tratta di scelte fatte a priori per risparmiare sui costi. Andranno considerate anche le valenze sociali e strategiche delle singole filiali. Comunque l’attenzione ai clienti sarà sempre prevalente».
Tra i grandi misteri di Mps c’è Widiba. A chi serve, che funzione ha?
«Widiba è una delle migliori piattaforme europee dal punto di vista tecnologico. Ha un potenziale molto elevato e noi abbiamo deciso di investire in Widiba perché crediamo in questo progetto. Ci sono oltre 30 milioni di investimenti nel piano, perché Widiba ci consente di offrire modelli di servizio differenti alla clientela. La riteniamo fondamentale ed è necessario che continui a operare secondo modelli differenti . Certo, Widiba ora deve crescere, nelle masse, nella clientela e nell’offerta dei prodotti».
Il suo piano prevede circa 4 mila esuberi, un percorso «stand alone» e un aumento di capitale da 2,5 miliardi di euro. Le stesse cose prospettate dal suo predecessore Guido Bastianini. Dov’è la differenza?
«Se guardiamo agli indirizzi dei piani del sistema bancario è facile trovare punti in comune. Quello che può fare la differenza è il modo e la capacità di far accadere le cose».
Chi si è portato da fuori?
Andrea Maffezzoni, nuovo «cfo» del Montepaschi
«Il responsabile della finanza, il cfo, Andrea Maffezzoni, da Unicredit, dove è stato anche co-coordinatore del team che nel 2021 ha seguito il progetto sul Monte. Questo conferma che Mps è in grado di attirare talenti».
Dal 7 febbraio vive a Siena o a Milano?
«A Siena, dove ho fatto una full immersion. Ho voluto sentire tutti, capire, per poter agire al meglio. Siena è centrale per la banca. La presentazione del piano è stata fatta a Siena proprio perché dalle radici della banca vogliamo ripartire. Fin qui è stato un periodo intenso, e avverto chiaramente il senso dell’urgenza».
Qual è la difficoltà maggiore che ha incontrato in questi mesi al Montepaschi?
«Sciogliere i nodi delle complessità».
Lei è reduce da un tour, conclusosi giovedì a Londra, nel corso del quale ha incontrato investitori istituzionali. Con che cosa torna a casa?
«Abbiamo incontrato una trentina di investitori. Il feed back sul piano industriale è stato in generale positivo. Sia per quanto riguarda la ratio del piano, che è stata percepita solida, che per i principali target, ritenuti credibili. Su Mps c’è interesse e si sente parlare di opportunità di investimento dopo che per anni si è parlato solo di rischi».
Sembra tutto allineato, Lovaglio a questo punto non ha alibi.
«Più che agli alibi, ora penso solo a far sì che le cose accadano».
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