una buona pratica e' non concedere mai lo sblocco dello smartphone col volto
Russia e riconoscimento facciale: così il regime usa la tecnologia per reprimere il dissenso. «È come Matrix»
di Paolo Ottolina
I controlli sugli smartphone dei cittadini e dei russi o degli stranieri che fuggono dal Paese. E soprattutto l’utilizzo sempre più pervasivo di software e riprese video: oggi possono identificare una persona anche se il volto non è visibile
Per qualcuno è come «1984» di Orwell. Per qualcun’altro, come il professor Giovanni Savino, fuggito dalla Russia dopo 17 anni nel Paese anche peggio . «È come un film di fantascienza, come Matrix». La «democrazia imperfetta» con la guerra scivola in fretta verso scenari staliniani e la tecnologia è il perfetto nastro adesivo per silenziare ogni dissidenza. Come in «Matrix» c’è la realtà e c’è la narrazione dei media approvati dal Cremlino (bloccati i siti scomodi, quelli stranieri e anche i social network). Come in «Matrix» non si sfugge alle macchine o meglio alla macchina (del controllo), che gira soprattutto intorno alle tecnologie di riconoscimento facciale. Sono utilizzate per tracciare e riconoscere i dissidenti, sfruttando una rete vastissima di telecamere di sorveglianza: solo a Mosca si stima ce ne siano 175 mila.
La Russia putiniana non inventa nulla, al più si ispira all’esempio cinese, dove l’uso della biometria facciale per autenticarsi è diffusissimo (a Pechino può servire usare il volto anche per ottenere i quadratini di carta igienica nei servizi pubblici). La chiara volontà del Cremlino è quella di costruire un database il più ampio possibile, con la classica offerta che non si può rifiutare: «Accedi col volto, paga col volto. È più comodo è veloce».
L’autenticazione facciale è arrivata ad esempio nelle banche. Altre raccolte massicce, come denunciano associazioni quali Human Rights Watch, sono passate attraverso i pass scolastici e il monitoraggio del traffico. L’obiettivo del governo è avere immagini facciali e campioni vocali di 70 milioni di persone entro il 2024. Nel novembre scorso, Putin aveva affermato che solo lo Stato dovrebbe avere la piena «responsabilità della raccolta di dati biometrici» per garantirne la sicurezza e che dovrebbe anche regolare l’accesso da parte di terzi.
Solo un mese più tardi, alcuni emendamenti alla legge sull’Informazione sono andati proprio in questa direzione. Il Sistema Biometrico Unificato è stato dichiarato un “sistema statale”, dando al governo il pieno controllo, compresa la regolamentazione dell’accesso ad esso, con la gestione tecnica dell’operatore di telefonia Rostelecom. Alla fine del 2021, il Sistema biometrico unificato contava però soltanto 216 mila individui registrati. Il Cremlino vuole accelerare: nel corso di quest’anno i soggetti privati, come le banche, dovranno cedere i loro database al sistema governativo, senza poterne conservare copia.
La mossa più eclatante per accelerare questa raccolta massiccia è stata l’introduzione l’anno scorso di Face Pay, un sistema per accedere alla metropolitana di Mosca semplicemente mostrando il volto. Face Pay consente di accedere a più di 240 stazioni della splendida metropolitana moscovita, che ha oltre 6 milioni di passeggeri al giorno, fermandosi al tornello e fissando una telecamera. Per attivare il sistema bisogna inviare una foto e associare una carta di pagamento e gli evenutali dati dell’abbonamento ai mezzi.
Moltissime le critiche e le polemiche. «Privacy dei dati garantita!» ironizzò all’annuncio del servizio Meduza, sito di news indipendente e critico verso il regime, oggi tra quelli bloccati in Russia. Un’attivista ha dimostrato come nei gruppi Telegram sia possibile, pagando cifre anche modeste (200 dollari), ottenere decine di immagini di una persona tratte dall’ampia rete di sorveglianza attiva nella capitale russa. Il problema più rilevante resta però l’uso in chiave repressiva di questi dati.
Una data chiave dell’evoluzione sempre più apertamente anti-democratica di queste tecnologie è il settembre 2019, quando almeno 20 mila persone scesero in piazza a Mosca. Tutti i manifestanti furono «obbligati a passare attraverso metal detector dotati di telecamere a circuito chiuso, installate all’altezza degli occhi», denunciarono gli attivisti. Poco prima, il governo di Mosca aveva annunciato di voler utilizzare la tecnologia di riconoscimento facciale in caso di raduni pubblici. Una denuncia presso un tribunale moscovita da parte degli attivisti non sortì effetto: la corte respinse la denuncia, sostenendo che l’uso della tecnologia da parte del governo era legale, anche se la legge russa in quel momento richiedeva il consenso esplicito per la raccolta di dati biometrici tramite la tecnologia di riconoscimento facciale.
Negli ultimi due anni, l’uso di queste tecnologie da parte del Cremlino ha subito una netta accelerazione. Secondo le stesse autorità, ci sono algoritmi che processano in modo automatico flussi provenienti da circa 125 mila videocamere di sorveglianza installate in città. Il riconoscimento facciale è stato utilizzato durante i lockdown per il Covid, scovando e identificando alcune centinaia di persone che non rispettavano le regole sanitarie.
Oggi si va ancora più in là. I sistemi di processamento e analisi dei dati video sono in grado di definire un “ritratto”, un profilo chiaro di una persona in base ad altezza, taglia, abbigliamento e altri fattori: possono tracciare i movimenti anche quando il volto di un soggetto non è visibile. Questi nuovi ed evoluti sistemi sono già attivi in cinque regioni della Russia.
«Un grande passaggio rispetto ad alcuni anni fa - spiega Stefano Tubaro, docente di Telecomunicazioni e direttore del Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria del Politecnico di Milano - è stato il miglioramento della risoluzione delle camere, grazie a cui si possono fare analisi automatiche che con camere analogiche non erano pensabili. Poi l’altro passo avanti riguarda proprio la capacità di identificare le persone anche quando non sono riprese perfettamente. Al momento attuale siamo in una fase intermedia, in cui i software riescono a fare da soli gran parte del lavoro, ma non ancora tutto».
Negli ultimi anni, il controllo tecnocratico sui cittadini russi e sui residenti stranieri è passato grandemente attraverso la sorveglianza attiva degli smartphone. Tutti gli smart devices (telefoni, computer, tv) venduti in Russia devono per legge avere software russi pre-installati. Una legge a cui anche Apple si era piegata (ora Cupertino ha bloccato le vendite nel Paese). Anche chi lascia il Paese, dopo il giro di vite che proibisce anche soltanto di parlare di “guerra” entro i confini russi, deve fare attenzione a cosa contiene il suo smartphone. Testimoni raccontano di lunghi interrogatori all’uscita e di perquisizioni su telefoni e laptop.
Insomma, se come scrive l’Economist, Putin con la guerra ha virato dalla cosiddetta “democratura” a un’aperta stalinizzazione del suo Paese, lo scenario del controllo non è quello burocratico e analogico dell’era sovietica ma si avvicina a quello delle distopie fantascientifiche. Scenari che per le democrazie occidentali devono essere anche un monito per sviluppare i giusti anticorpi, come ricorda Fabio Chiusi, docente all’Università di San Marino e da anni fra gli esperti più attivi nel denunciare i rischi legati alla tutela dei dati personali: «Quello che accade in Russia è un esempio concreto della fallacia della frase “Se non hai niente da nascondere non hai nulla da temere”.
Noi viviamo in Italia e nell’Unione Europea, che pur fra alcuni buchi e disastri, sono tra i più attenti sul tema della privacy. Dove le istituzioni non arrivano, per fortuna c’è una grande reti di avvisti e di esperti che si fa sentire come nel caso della campagna “Reclaim your face”.»
Ma il punto di fondo, ricordando il proliferare di camere di sorveglianza e di biometria più o meno “allegra” anche dalle nostre parti, secondo Chiusi è questo: «È una buona idea concedere di continuo il nostro volto? È normale vivere in una società dove per tutelarmi devo occultare il mio viso perché viene in continuazione raccolto?
E questi dati, ricordiamo, sempre più spesso vengono dati in pasto ad algoritmi opachi, basati su principi parascientifici, che dovrebbero ad esempio prevenire aggressioni di genere o decidere se un migrante va fermato ai confini o no». E Fabio Chiusi poi conclude: «Quando esco con il cane nella mia città, Udine, se passeggio davanti al Tribunale il mio volto viene ripreso da videocamere di un’azienda cinese. In molti Paesi democratici queste aziende non possono vendere i loro sistemi, ma qui da noi sì. È una buona idea? Il cittadino italiano deve essere conscio di tutti questi temi».
I controlli sui telefoni e l'uso di algoritmi e videocamere: oggi si può identificare una persona anche se il volto non è visibile
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