Sharnin 2
Forumer storico
Pesante caduta delle Borse
Alfonso Tuor
La tanto «prevista» correzione dei mercati azionari sembra finalmente iniziata. Ieri infatti le Borse di tutto il mondo hanno registrato consistenti perdite. Il movimento al ribasso, segno della nuova geografia dell’economia mondiale, è stato innescato dal tonfo del 9% della Borsa di Shanghai, si è in seguito esteso ai mercati europei per poi colpire anche Wall Street. Per il momento, secondo la stragrande maggioranza degli analisti, non vi è motivo di ritenere che questa correzione, che molto probabilmente sarà breve e secca, sia l’inizio di un’inversione di tendenza dei mercati, ossia l’inizio di un movimento al ribasso duraturo.
A sostegno di questa tesi vi sono numerose ragioni. La prima e la più importante è che oggi nel mondo vi è un eccesso di liquidità in circolazione. Questa liquidità aiuta il mercato azionario attraverso parecchie vie: dai programmi di riacquisto di azioni proprie varati da molte società americane ed europee ai capitali che raccolgono i fondi private equity che spesso acquistano società quotate in borsa per poi toglierle dal listino, ecc.
La seconda ragione è che gli utili societari stanno ancora crescendo e che le azioni non sono care, in base ai classici criteri di valutazione. Inoltre le aspettative di crescita degli utili, pur essendo state corrette al ribasso, giustificano l’attuale livello dei listini. La terza ragione è che i rendimenti offerti dalle obbligazioni sono ancora relativamente bassi e quindi che il reddito fisso non offre un’alternativa soddisfacente agli investitori. D’altronde, la correzione di ieri ha ulteriormente spinto al ribasso i rendimenti, ossia i tassi di interesse a lungo termine. In base a queste considerazioni, la maggior parte degli analisti ritiene che si tratti solo di una correzione, anche se potrebbe rivelarsi piuttosto pesante.
I motivi addotti sono corretti e soprattutto «forti», ma l’analisi trascura alcuni fattori che aleggiano da tempo come una «spada di Damocle» sul sistema finanziario internazionale. Innanzitutto le Borse possono essere considerate un barometro (anche se non sempre affidabile, poiché la storia dimostra che hanno anticipato più recessioni di quante si siano poi realmente concretizzate). Ma se ritorniamo col pensiero al marzo del 2001, ossia all’inizio dello scoppio della bolla speculativa, nessuno allora pensava che l’economia americana sarebbe caduta nel giro di pochi mesi in recessione. Eppure è quanto allora accadde. Oggi i segnali di malessere dell’economia statunitense sono ben più chiari di quanto lo fossero all’inizio di questo decennio. In particolare, vi è un mercato immobiliare in notevole difficoltà, vi sono fallimenti di società immobiliari, vi è un forte aumento degli accantonamenti da parte delle banche contro le sofferenze che stanno crescendo nel mercato ipotecario e vi è pure un’impennata dei fallimenti personali. Insomma, quanto basta per spingere un profondo conoscitore dell’economia a stelle e strisce, come l’ex presidente della Federal Reserve Alan Greenspan, a dichiarare che «verso la fine dell’anno è possibile una recessione negli Stati Uniti». A sostenere questa tesi vi è da tempo l’inversione della curva dei tassi in America (ossia i tassi a lunga sono inferiori a quelli a breve) e ultimamente anche il movimento al ribasso di molte materie prime. La prospettiva di una recessione renderebbe carta straccia le attuali aspettative di crescita degli utili e giustificherebbe un movimento al ribasso dei listini.
Vi è un altro motivo completamente trascurato che potrebbe provocare spiacevoli sorprese: il successo dei nuovi strumenti finanziari, i cui rischi per l’intero sistema sono poco o punto conosciuti. Si deve pensare ai capitali gestiti dagli hedge funds, al successo dei fondi Private Equity, alla moltiplicazione dei derivati sul credito e così via. Il successo di questi strumenti è fortemente dipendente dall’eccesso di liquidità in circolazione, che ha mantenuto il costo del denaro a livelli bassi e che soprattutto ha ridotto a livelli storicamente mai visti il premio di rischio che i creditori devono pagare. Ebbene, questi fondi e questi strumenti si basano su un uso spregiudicato della leva (ossia dell’indebitamento) per moltiplicare l’entità delle loro «scommesse» sui mercati finanziari. Spesso usano ampiamente anche il cosiddetto «carry trade», ossia si indebitano a breve in yen giapponesi o in franchi svizzeri per approfittare di tassi di interesse inferiori e poi investono questi capitali in altri paesi (quindi sono esposti ad un forte rischio di cambio). Infine, e questo riguarda soprattutto gli hedge funds, la bassa volatilità dei mercati degli ultimi anni li ha costretti ad aumentare le loro «puntate», ossia la loro esposizione al rischio. Le conseguenze dei timidi segnali di rivalutazione dello yen giapponese e del franco svizzero e gli effetti di una secca correzione borsistica su questo «arcipelago» non sottoposto ad alcun controllo potrebbero riservare spiacevoli sorprese, anche perché le controparti di questi fondi sono le maggiori banche di investimento del mondo, che non sono assolutamente in grado di farvi fronte senza il soccorso delle autorità monetarie (come accadde nel 1998 con il caso LTCM).
Infine, non bisogna dimenticare che le Borse stanno salendo dal marzo del 2003 e che soprattutto dall’agosto dello scorso anno il movimento al rialzo ha subito un’accelerazione che ha fatto sì che molti indici (tra cui l’SMI della Borsa svizzera) superassero i massimi storici. Il ciclo borsistico appare dunque «maturo». In conclusione, molto probabilmente siamo in presenza solo di una correzione, anche se è prematuro escludere che si possa trattare di qualcosa di più serio.
CdT 27.02.07
Alfonso Tuor
La tanto «prevista» correzione dei mercati azionari sembra finalmente iniziata. Ieri infatti le Borse di tutto il mondo hanno registrato consistenti perdite. Il movimento al ribasso, segno della nuova geografia dell’economia mondiale, è stato innescato dal tonfo del 9% della Borsa di Shanghai, si è in seguito esteso ai mercati europei per poi colpire anche Wall Street. Per il momento, secondo la stragrande maggioranza degli analisti, non vi è motivo di ritenere che questa correzione, che molto probabilmente sarà breve e secca, sia l’inizio di un’inversione di tendenza dei mercati, ossia l’inizio di un movimento al ribasso duraturo.
A sostegno di questa tesi vi sono numerose ragioni. La prima e la più importante è che oggi nel mondo vi è un eccesso di liquidità in circolazione. Questa liquidità aiuta il mercato azionario attraverso parecchie vie: dai programmi di riacquisto di azioni proprie varati da molte società americane ed europee ai capitali che raccolgono i fondi private equity che spesso acquistano società quotate in borsa per poi toglierle dal listino, ecc.
La seconda ragione è che gli utili societari stanno ancora crescendo e che le azioni non sono care, in base ai classici criteri di valutazione. Inoltre le aspettative di crescita degli utili, pur essendo state corrette al ribasso, giustificano l’attuale livello dei listini. La terza ragione è che i rendimenti offerti dalle obbligazioni sono ancora relativamente bassi e quindi che il reddito fisso non offre un’alternativa soddisfacente agli investitori. D’altronde, la correzione di ieri ha ulteriormente spinto al ribasso i rendimenti, ossia i tassi di interesse a lungo termine. In base a queste considerazioni, la maggior parte degli analisti ritiene che si tratti solo di una correzione, anche se potrebbe rivelarsi piuttosto pesante.
I motivi addotti sono corretti e soprattutto «forti», ma l’analisi trascura alcuni fattori che aleggiano da tempo come una «spada di Damocle» sul sistema finanziario internazionale. Innanzitutto le Borse possono essere considerate un barometro (anche se non sempre affidabile, poiché la storia dimostra che hanno anticipato più recessioni di quante si siano poi realmente concretizzate). Ma se ritorniamo col pensiero al marzo del 2001, ossia all’inizio dello scoppio della bolla speculativa, nessuno allora pensava che l’economia americana sarebbe caduta nel giro di pochi mesi in recessione. Eppure è quanto allora accadde. Oggi i segnali di malessere dell’economia statunitense sono ben più chiari di quanto lo fossero all’inizio di questo decennio. In particolare, vi è un mercato immobiliare in notevole difficoltà, vi sono fallimenti di società immobiliari, vi è un forte aumento degli accantonamenti da parte delle banche contro le sofferenze che stanno crescendo nel mercato ipotecario e vi è pure un’impennata dei fallimenti personali. Insomma, quanto basta per spingere un profondo conoscitore dell’economia a stelle e strisce, come l’ex presidente della Federal Reserve Alan Greenspan, a dichiarare che «verso la fine dell’anno è possibile una recessione negli Stati Uniti». A sostenere questa tesi vi è da tempo l’inversione della curva dei tassi in America (ossia i tassi a lunga sono inferiori a quelli a breve) e ultimamente anche il movimento al ribasso di molte materie prime. La prospettiva di una recessione renderebbe carta straccia le attuali aspettative di crescita degli utili e giustificherebbe un movimento al ribasso dei listini.
Vi è un altro motivo completamente trascurato che potrebbe provocare spiacevoli sorprese: il successo dei nuovi strumenti finanziari, i cui rischi per l’intero sistema sono poco o punto conosciuti. Si deve pensare ai capitali gestiti dagli hedge funds, al successo dei fondi Private Equity, alla moltiplicazione dei derivati sul credito e così via. Il successo di questi strumenti è fortemente dipendente dall’eccesso di liquidità in circolazione, che ha mantenuto il costo del denaro a livelli bassi e che soprattutto ha ridotto a livelli storicamente mai visti il premio di rischio che i creditori devono pagare. Ebbene, questi fondi e questi strumenti si basano su un uso spregiudicato della leva (ossia dell’indebitamento) per moltiplicare l’entità delle loro «scommesse» sui mercati finanziari. Spesso usano ampiamente anche il cosiddetto «carry trade», ossia si indebitano a breve in yen giapponesi o in franchi svizzeri per approfittare di tassi di interesse inferiori e poi investono questi capitali in altri paesi (quindi sono esposti ad un forte rischio di cambio). Infine, e questo riguarda soprattutto gli hedge funds, la bassa volatilità dei mercati degli ultimi anni li ha costretti ad aumentare le loro «puntate», ossia la loro esposizione al rischio. Le conseguenze dei timidi segnali di rivalutazione dello yen giapponese e del franco svizzero e gli effetti di una secca correzione borsistica su questo «arcipelago» non sottoposto ad alcun controllo potrebbero riservare spiacevoli sorprese, anche perché le controparti di questi fondi sono le maggiori banche di investimento del mondo, che non sono assolutamente in grado di farvi fronte senza il soccorso delle autorità monetarie (come accadde nel 1998 con il caso LTCM).
Infine, non bisogna dimenticare che le Borse stanno salendo dal marzo del 2003 e che soprattutto dall’agosto dello scorso anno il movimento al rialzo ha subito un’accelerazione che ha fatto sì che molti indici (tra cui l’SMI della Borsa svizzera) superassero i massimi storici. Il ciclo borsistico appare dunque «maturo». In conclusione, molto probabilmente siamo in presenza solo di una correzione, anche se è prematuro escludere che si possa trattare di qualcosa di più serio.
CdT 27.02.07