Recessione futura? sì-no?

BOLLETTINO DI GUERRA

Mentre sul fronte cinese le guerra economica aveva trovato un pò di pausa grazie al mega piano di aiuti economici varato domenica dal presidente cinese,
in America si sono aperti numerosi NUOVI focolai di guerriglia.

La FED e il Tesoro americano sono in difficoltà, e la rivolta dei consumatori, dei disoccupati, dei tagli agli investimenti, dei fallimenti, della fiducia ecc ecc sembra che abbia il sopravvento.

Ecco le principali notizie dal fronte di guerra di ieri..

- American Express si trasforma in una "bank holding company". Ovvero diventa una banca che può accedere ai fondi messi a disposizione dalla FED. La richiesta di AMEX è stata approvata con urgenza da parte della FED a causa delle condizioni "d'emergenza" in cui si trovano i mercati finanziari (e, aggiungo io, la stessa American Express).

-Gli investimenti mondiali in aziende e in progetti legati all'energia pulita sono crollati drammaticamente nel terzo trimestre dell'anno.

- Santander ha lanciato ieri un aumento di capitale per 7,2 miliardi di euro. La banca ha detto che la ricapitalizzazione serve per migliorare la sua situazione patrimoniale. Pensate che fino a ieri era considerata una delle migliori banche in Europa (pensate come sono conciate le altre...)

-AIG ha riportato pesanti perdite e il Tesoro americano ha deciso di investire altri 40 miliardi nell'ex colosso assicurativo. Il costo del salvataggio continua a salire.

-Fannie Mae ha riportato perdite per quasi 30 miliardi di dollari e ha annunciato di aver bisogno di altri fondi pubblici per sopravvivere.

-DHL ha annunciato il taglio di migliaia di 9500 posti di lavoro

-La World Bank oggi varerà un piano d'aiuti finanziari per "i paesi occidentali"! come cambiano i tempi......fino a pochi anni fa si occupava solo dei paesi in via di sviluppo...

-Circuit City, un'importante catena americana che vendeva prodotti di elettronica, ha richiesto la procedura fallimentare e ha tagliato di 7000 posti la sua forza lavoro (chiudendo 1/5 dei negozi).

-Nortel ha tagliato 1300 posti di lavoro e annunciato pesanti perdite.

-Le azioni della General Motors non valgono neppure 1 centesimo. A questa conclusione è arrivata ieri la Deutsche Bank con un suo report.


Obama ieri sera ha parlato con Bush e ha chiesto al presidente americano di aiutare Detroit. Le solite manfrine politiche (anche Berlusconi chiese a Prodi di aiutare Alitalia). I titoli della GM sono crollati ieri del 23% a i minimi da 60 anni.

-Il petrolio scende sotto i 60 dollari sposando lo scenario di recessione violenta.

- In Italia netto calo a settembre per la produzione industriale. Lo ha reso noto l'Istat, che rileva un calo annuo del 5,7% dell'indice.

Ma come ben sapete la potenza di fuoco della FED e delle organizzazioni internazionali sta aumentando
Anche Obama sta muovendo i suoi primi passi...

Quella che oggi appare una cocente sconfitta...domani può trasformarsi in un attacco contro i ribelli.
Il tutto non fa che spostare i mercati in su e in giù molto violentemente.


Novembre è ancora lungo!!!!
Pubblicato da consulenza finanziaria di Mercato Libero a martedì, novembre 11, 2008 0 commenti
 
Con Obama presidente ci attende un futuro veramente nero Novembre 8, 2008 at 10:09 am · Filed under Attualità

di
Marco Pizzuti


L'elezione di Obama presidente è stata accolta dai media mondiali con una benefica ondata di ottimismo. E sotto certi aspetti questo atteggiamento è perfettamente condivisibile, Obama è certamente molto più simpatico e intelligente del suo predecessore Bush, un burattino talmente poco brillante che non riusciva neppure a nascondere di esserlo.

da
http://www.movisol.org/08news275.htm


"È certamente positivo per gli USA che un candidato il cui genitore nacque in Africa possa diventare presidente, così come sarebbe stato positivo se Hillary Clinton fosse diventata il primo presidente donna. Ma sarebbe sciocco ignorare i metodi che sono stati usati per costringere Hillary, che ha ricevuto più voti popolari di Obama nelle primarie, a cedere. E sarebbe altrettanto sciocco ignorare il ruolo svolto da George Soros nella vittoria di Obama".
"La prova della verità per il mondo intero arriverà presto. Romperà Obama con George Soros e Wall Street e opterà per un nuovo sistema di Bretton Woods e un New Deal nella tradizione di Roosevelt? Proporrà Obama una nuova architettura finanziaria che sancirà la fine del colonialismo per le nazioni del cosiddetto Terzo Mondo, e porrà fine alle guerre per le materie prime come quella attualmente in corso in Congo? Cesserà Obama l'accerchiamento strategico di Russia, Cina e India, permettendo invece la costruzione di un ordine mondiale
 
Germania, Pil in rosso anche nel terzo trimestre: è recessione tecnica - 13/11/2008

Il prodotto interno lordo del colosso economico europeo ha fatto registrare – nel terzo trimestre del 2008 – il secondo rosso consecutivo

La recessione colpisce la Germania. Il prodotto interno lordo del colosso economico europeo ha fatto registrare - nel terzo trimestre del 2008 - il secondo rosso consecutivo: un -0,5% che la porta, appunto, in uno stato di “recessione tecnica”.
La notizia è stata battuta questa mattina dall'agenzia Bloomberg, che cita l'Ufficio statistico tedesco.

E arriva dopo l'allarme lanciato ieri dal consiglio dei “Cinque saggi” (il principale organismo consultivo per l'economia in Germania), che ha parlato di Pil negativo anche per il 2009. Una previsione più pessimista di quella fatta dal governo guidato da Angela Merkel, che ha previsto per il prossimo anno un aumento, seppur contenuto, dello stesso indicatore: +0,2%.
In realtà, sebbene da un punto di vista “emotivo” il segno meno e la parola recessione facciano tremare in molti, il dato significativo è che ormai tutte le previsione parlano di un Pil tedesco intorno allo zero. Il che significa che la prima economia europea andrà incontro ad un periodo di grande difficoltà, le cui conseguenze si ripercuoteranno, probabilmente, sull'intero Vecchio Continente.
Per quanto riguarda il 2008, invece, le previsioni complessive parlano ancora di un discreto tasso di crescita: +1,7%, grazie alla performance record fatta registrare nel primo trimestre.
Se davvero la recessione per il 2009 sarà confermata - spiega l'agenzia Apcom - si tratterà della prima volta dal 2005. Inoltre, il numero dei disoccupati tedeschi tornerà a crescere, salendo su media annua da 3,26 a 3,30 milioni, e il tasso di disoccupazione, sceso rapidamente dall'11,7% del 2005 al 7,8% atteso per quest'anno, farà registrare un lieve aumento (passando al 7,9%). Anche l'export, perderà inoltre slancio, facendo segnare un aumento contenuto: +0,4%, contro il 7,5% del 2007 e il 4,2% atteso per quest'anno.
http://www.valori.it/italian/mondo.php?idnews=587&start=0
 
Cina, Russia e Asia in uscita dal dollaro

Ci sono parecchi articoli sui giornali americani ed inglesi che parlano di decine di migliaia di fabbriche in Cina che falliscono e centinaia di migliaia di persone che affollano le stazioni ferroviarie come quella di Guoang zu (come si chiama) licenziate che tornano in campagna. I siti di osservatori della Cina dicono che il ministro delle Finance è stato richiamato d'urgenza nel mezzo di una conferenza economica in Perù per lanciare subito questo pacchetto di misure di emergenza da 500 miliardi e passa (la cosa è stata così frettolosa che ancora non si capisce quasi niente di cosa ci sia dentro)


Taiwan, Singapore e Corea stanno lanciando anche loro mega programmi fiscali sulla scia della Cina

In Russia la maggiore banca predice un crac del rublo del -30% dopo che ha perso già un 10% contro euro e un -30% contro dollaro il che ovviamente spiega forse perchè società come Gazpron costino 2 volte gli utili (se il cambio cede perdì parecchio) e S&P ha messo la Russia in outlook negativo

In Venezuela non sto a farla lunga ma con il petrolio giù del -60% Chavez sta nazionalizzando tutto (ieri ha preso la miniera d'oro canadese di Cristallex).

In Dubai il boom immobiliare è scoppiato e non avendo quasi petrolio sono nei guai, persino il Kuwait ha avuto problemi bancari.

Cina e Russia e tanti altri paesi sono motivati (disperati) di fare qualcosa anche più dell'America (Obama ha due mesi di interregno e per ora non ha nominato nessuno) ed Europa (non ci sono elezioni vicine eccetto che per la Merkel) e fare qualcosa vuole dire usare le riserve in dollari che hanno accumulato per 5 anni

Dato che questi paesi però sono quelli che hanno sostenuto finora il dollaro comprando tonnellate di bonds americani ora dovrebbe esserci un'uscita, ordinata e progressiva o caotica e nel panico, dal dollaro.
Se gli S&P crollano ancora da 900 a 700 il dollaro sale perchè il panico dei fondi USA li fa liquidare ancora, ma ...




http://cobraf.wallstreetitalia.com/forum/coolpost.php?topic_id=6191&reply_id=124005
 
IL: ISTAT, IN TERZO TRIMESTRE -0,5%, -0,9% ANNUO ++


(ANSA) - ROMA, 14 NOV - Il prodotto interno lordo italiano
nel terzo trimestre del 2008 e' calato dello 0,5% rispetto al
trimestre precedente e dello 0,9% rispetto al terzo trimestre
2007. Lo comunica l'Istat, precisando che si tratta di una stima
preliminare.
L'Italia e' dunque in recessione tecnica perche' e' il
secondo trimestre consecutivo che registra il Pil in calo
congiunturale (-0,4% nel secondo trimestre, rivisto oggi in
peggioramento dalla precedente stima di -0,3%).(ANSA).
 
tratto da http://www.longshortinvest.com/4684.html

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Molti consulenti consigliano nella crisi di comperare oro. Asseriscono che questo bene reale é o sará uno dei pochi a guadagnare di valore durante la corrente recessione e indicano come possibile obiettivo un prezzo di USD 2000 all'oncia contro gli attuali 725 USD (prezzo del 12 novembre).

Noi pensiamo che questa sia soprattutto una credenza senza il sostegno di nessuna dimostrazione economica o storica. Nell'ottica di certi scenari a lungo termine che prevedono inflazione (o iperinflazione) consigliamo investimenti in oro ma nel prossimo futuro, con recessione e deflazione alle porte, non c'é ragione di investire massicciamente nel metallo giallo. Cerchiamo di spiegarvi semplicemente le nostre ragioni e di convincervi della nostra opinione.

Innanzitutto é meglio avere una buona idea di come il prezzo dell'oro si é sviluppato nella storia. Sapete che per lungo tempo il valore di questo metallo prezioso é stato determinato dalle banche centrali. Prima di Bretton Woods (1944) il prezzo era stato fissato a USD 20.67 all'oncia. Poi fino al 1971, anno in cui il Presidente Nixon ha annullato la convertibilità dell'oro in USD liberalizzandone di fatto il prezzo, un'oncia valeva USD 35.
Studiate con attenzione le charts dell'oro poiché sono importanti per capire le nostre argomentazioni.

Oro contro la recessione, l'inflazione o la perdita di valore della moneta. Cosa c'è di vero in tutto questo?

Cominciamo dalla situazione attuale - recessione.
Durante i rallentamenti economici l'oro si comporta come una qualsiasi materia prima ed é sottoposto alla legge della domanda e dell'offerta. Esiste un'effetto di bene rifugio che sfocia in aumento della domanda a scopo d'investimento ma questo non significa che il prezzo dell'oro sale. Scende solamente meno di altri beni reali o materie prime offrendo un'effetto di ammorbidimento della caduta. Ma quanto sta succeddendo ora, con una discesa di circa 300 USD dal massimo, corrisponde alla normalità. In una crisi chi ha bisogno di liquidità vende anche oro ed il suo valore scende - non sale!

A qualcosa però l'oro serve e lo vediamo nella chart sottostante che mostra lo sviluppo dell'oro in USD (blù scuro) e EUR (celeste) per oncia dal 1973 al 7 di novembre di quest'anno.

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Esiste una correlazione inversa tra USD e prezzo dell'oro. Questo significa che l'oro riesce in parte a compensare le oscillazioni di valore della moneta americana. Notate come il prezzo dell'oro espresso in EUR subisca minori variazioni. Nelle fasi di svalutazione dell'USD l'oro potrebbe costituire un'ancora di salvezza. Sul lungo termine vedete però che questo effetto é moderato.

Molto più interessante diventa il discorso quando si parla di inflazione. Guardate la chart sottostante dove assieme al prezzo dell'oro in USD per oncia(in nero) viene raffigurato il prezzo ripulito dell'inflazione (in blù scuro).

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Il prezzo dell'oro é esploso alla fine degli anni 70 in concomitanza con il massiccio aumento dell'inflazione e l'enorme rialzo dei tassi d'interesse. Ovviamente in caso di forte inflazione l'oro costituisce un'ottimo bene rifugio e sale di valore anche in termini reali.

Possiamo fornirvi abbondante materiale a sostegno della nostra tesi ma é evidente che nella situazione attuale investire in oro non serve a difendere il valore del vostro patrimonio. Se però le Banche Centrali continueranno ad innondare i mercati di liquidità come stanno facendo ora, dopo una fase deflattiva di alcuni anni potrebbe seguire un periodo di iperinflazione come visto nella Germania degli anni 20, in Sud America negli anni 90 e recentemente in Zimbabwe. Sotto questa ottica un'investimento in metalli preziosi é auspicabile.
A questo scopo diamo un'occhiata ad un grafico recente del prezzo dell'oro.

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L'oro ha toccato un massimo a 1032 USD per oncia il 17 di marzo di quest'anno. Un massimo discendente é stato toccato a metà luglio in concomitanza con il top nel prezzo del petrolio. Con l'affiorare della recessione é iniziato il calo dei prezzi delle materie prime e l'oro ha partecipato al ribasso. Intorno ai 720 USD all'oncia sembra essersi formato a breve termine un solido supporto che potrebbe costituire una base per un movimento rialzista. Una solida fascia di supporto a medio si trova però solamente tra i 650 ed i 700 USD. Il trend attuale é ancora orientato al ribasso e di conseguenza in un'ottica a lungo termine attenderemo prezzi sotto i 700 USD prima di cominciare ad accumulare il metallo giallo.

Se temete una depressione come negli anni trenta evitate investimenti finanziari in oro. Vi consigliamo di comprare oro fisico come mezzo di pagamento (monete), un'abbondante pezzo di terra ed un manuale di giardinaggio. Vi assicuriamo che la coltivazione di patate e pomodori sarà più importante che navigare in Internet in cerca di suggerimenti d'investimen
 
MIKHAIL KHAZIN: GLI USA AFFRONTERANNO PRESTO UNA NUOVA "GRANDE DEPRESSIONE"
Data: Lunedi 17 Novembre 2008 (19:00)
Argomento: Economia

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=5258

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Il noto economista aveva previsto la crisi finanziaria statunitense fin dal 2000

DI YEVGENIY CHERNYX
Komsomolskaya Pravda

Cinque anni fa dirigevo le pagine culturali della Komsomolskaya Pravda. Era normale che le case editrici mi inviassero mucchi di novità da recensire. Un giorno, scavando all'interno dell'ultimo carico di libri, mi sono imbattuto in un volume intitolato "Il Tramonto dell'Impero del Dollaro e la Fine della Pax Americana".
Ricordo di essermi ripetuto il titolo, tra me e me, in tono incredulo. Ai vecchi tempi, gli americanologi dell'Unione Sovietica adoravano dibattere sul collasso dell'impero finanziario statunitense. Ma questo libro era del 2003.
Lo sfogliai, dando una rapida occhiata al testo. La conclusione dell'autore (l'economista Mikhail Khazin) sembrava piuttosto convincente. Perciò passai il libro alla sezione economica della KP, curata da Jenya Anisimov, che scrisse una recensione e in seguito intervistò l'autore nella nostra redazione.
In questi anni non mi sono scordato di Khazin e ne ho seguito la carriera, mentre teneva svariate conferenze in tutta la Russia. Sembrava sicuro che gli U.S.A. si trovassero sull'orlo di un crollo economico, teoria che gli altri analisti si affrettavano a rifiutare. E oggi, mentre la sua prognosi, un tempo così ostica, comincia ad avverarsi, la KP ha contattato Khazin per un'altra intervista.



Licenziato dal Cremlino!

KP: Mikhail Leonidovich, cos'è che l'ha portata a predire l'attuale crisi finanziaria? Khazin: Nella primavera del 1997 il Cremlino costituì il Dipartimento Economico della Presidenza, e io ne fui nominato vicedirettore. Il nostro primo incarico fu la stesura di un rapporto per [l'allora Presidente Boris] Eltsin, riguardo la situazione economica. Rilevammo che per la Russia una crisi economica era imminente, e che si sarebbe scatenata tra la fine dell'estate e l'inizio dell'autunno del 1998, a meno che la politica economica del paese non fosse cambiata. KP: Quali spunti presero le alte sfere dal vostro rapporto?

Khazin: Nessunissimo, in realtà. A parte il vicepresidente e lo stesso Eltsin, nessuno lesse il rapporto. Nell'estate del 1998, l'Amministrazione ci licenziò tutti, perché avevamo cercato di bloccare un progetto di investimenti chiamato "Titoli di Stato - Corridoio dei Tassi di Cambio". Si trattava della più grande operazione finanziaria dell'era post-sovietica. Come avevamo previsto, la crisi economica colpì quello stesso agosto. Insieme ai miei colleghi, ho continuato a esaminare le ragioni di quella crisi. Dopo aver studiato approfonditamente il sistema finanziario statunitense, rilevammo un parallelo fin lì ignorato. Così come il nostro mercato dei Titoli di Stato aveva prosciugato l'economia russa, il mercato finanziario statunitense stava risucchiando le risorse dell'intero pianeta. Ci rendemmo conto che un destino simile attendeva il sistema finanziario degli U.S.A. Il nostro articolo venne pubblicato nell'estate del 2000, sulla rivista Ekspert, col titolo "Gli Stati Uniti Stanno Spianando la Strada all'Apocalisse?" La nostra conclusione era che una crisi economica statunitense fosse inevitabile quanto il collasso finanziario russo.

Fare gli Scemi

KP: Evidentemente negli U.S.A. non avevano ascoltato la canzone dei LUBE [gruppo rock russo] durante la Perestroka, "Don't Play the Fool, America!" Seriamente, comunque, qual è la vera ragione di questo crollo economico? Cerchiamo di spiegarlo senza ricorrere a un linguaggio troppo tecnico...

Khazin: Ci proverò! Il modello economico che ha portato al crollo è derivato dalla crisi degli anni 70. Fu una tremenda crisi finanziaria causata dal surplus di capitale. Persino i classici dell'economia del XIX secolo avevano concluso che il capitale tende a crescere più velocemente dei redditi da lavoro. Questo porta a una diminuzione della domanda. Nel capitalismo tradizionale, il problema si risolveva in una crisi di sovraproduzione, e in un'economia di tipo imperialistico in una fuga di capitali. Ma, arrivati agli anni 70, questi sfoghi non funzionavano già più. Eppure, la situazione internazionale esigeva che gli Stati Uniti effettuassero un grande balzo tecnologico in avanti, o avrebbero perso la Guerra Fredda con l'Unione Sovietica. L'amministrazione Carter e il presidente della Federal Reserve Paul Walker elaborarono un'idea molto scaltra. Per la prima volta nella storia del capitalismo, i capitalisti iniziarono ad aiutare la collettività, mettendo in circolazione nuova moneta che stimolasse la domanda aggregata.

KP: Decisero di far andare le stampatrici?

Khazin: Esatto. Nei primi anni 80 cominciarono a stimolare la domanda tramite i contributi dello Stato. Per esempio, lanciarono il programma delle "Guerre Stellari". E nel 1983 misero l'accento sui risparmi delle famiglie.

KP: Intende dire che si affidarono al cittadino qualunque?

Khazin: Sì. Per un intero quarto di secolo, nell'economia delle famiglie è stata riversata una quantità di valuta sempre maggiore.

KP: In parole povere, parliamo di credito?

Khazin: Sì. Gli Stati Uniti furono in grado di raggiungere un ulteriore traguardo del progresso tecnologico grazie a questo eccesso di domanda. Ottennero il collasso dell'Unione Sovietica e fugarono molti dei loro maggiori timori. Ma... L'espansione si era realizzata grazie a risorse che avrebbero dovuto provvedere alla crescita futura. Il paese divorava sostanze con due generazioni di anticipo. Gli Stati Uniti accumularono un debito spaventoso. Risulta evidente se confrontiamo la crescita del debito delle famiglie coll'insieme del debito statunitense e col PIL. L'economia cresce a un tasso annuale del 2-3%, al massimo del 4. Ma il debito cresce a un tasso dell'8-10%.

KP: Be', che cresca pure... Finora gli Stati Uniti se la sono cavata alla grande... Meglio di noi!

Khazin: Sì, gli U.S.A., stimolando la domanda nei consumatori, hanno creato un alto tenore di vita. Intere generazioni hanno vissuto senza conoscere la povertà. Ma è impossibile vivere per sempre a credito. Il debito delle famiglie è diventato più grande dell'economia nazionale, più di 14 bilioni di dollari. E adesso siamo all'incasso. Ovviamente, Wall Street ha cercato di rimandare il crollo. Non voglio entrare nel dettaglio dei titoli derivati e di altri simili prodotti finanziari, basti dire che si trattava di un ultimo respiro prima dell'inevitabile soffocamento.
Un ulteriore problema degli Stati Uniti è che intorno alla domanda in crescita sono state create grandi industrie. Qualunque decisione prenda Wall Street, la domanda è destinata a precipitare. Cosa ne sarà di queste aziende? Nel 200 stimammo che sarebbe scomparso il 25% dell'economia statunitense. Oggi riteniamo che la percentuale più verosimile sia un terzo, se non di più.

KP: È davvero tanto!

Khazin: È una quantità enorme. Ma cosa comporta esattamente questo, la distruzione di un quarto dell'economia degli Stati Uniti? Comporta una crescita incontrollabile della disoccupazione, una gravissima depressione, una brusca impennata dell'incidenza dei servizi sociali sulla spesa pubblica... In questo momento gli Stati Uniti si agitano nel tentativo di salvare questa porzione dell'economia. Il governo sta aiutando banche e industria manifatturiera... Ma nonostante tutto, entro due o tre anni gli Stati Uniti dovranno fronteggiare una crisi simile alla Grande Depressione.

Yevgeniy Chernyx
Fonte: www.informationclearinghouse.info
Link: http://www.informationclearinghouse.info/article21189.htm

Traduzione per Come don Chisciotte a cura di DOMENICO D'AMICO

(*) Mikhail Leonidovich Khazin è nato nel 1962. Ha studiato matematica all'Università di Stato di Yaroslavl e all'Università di Stato di Mosca. Dal 1984 al 1991 ha lavorato all'Accademia Sovietica delle Scienze. Tra il 1993 e il 1994 ha lavorato al Centro Studi Statale per le Riforme Economiche. Tra il 1995 e il 1997 è stato a capo del Dipartimento per la Politica del Credito presso il Ministero dell'Economia. Tra il 1997 e il 1998 è stato vicedirettore del Dipartimento Economico della Presidenza. Nel giugno del 1998 ha lasciato il pubblico servizio. Attualmente è il presidente della ditta di consulenza Neokon.http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=5258
 
Il Falò delle Banalità di Eugenio Benetazzo

Le emittenti nazionali fanno ormai a gara ad organizzare nei loro palinsesti la tal puntata di turno incentrata sulla crisi finanziaria del 2008, invitando uno stuolo di politici e pseudo giornalisti finanziari improvvisati economisti che fino a qualche mese fa se ne uscivano con sparate del tipo "tanto l'economia europea è sana e la crisi dei mutui più di tanto non cagionerà danno al nostro sistema bancario". Opinionsiti degni di un titolo di laurea honoris causa rilasciato dall'Università per Barbieri di Paperopoli. Adesso sono diventati tutti catastrofisti e terroristi finanziari, alla faccia del falso ottimismo e garantismo che si sciorinava nei dibattiti pubblici sino a qualche semestre fa. Una fenomenale opera di banalizzazione e volgare semplificazione di quanto sta accadendo che non consente di spiegare in modo esaustivo a livello socioeconomico e macroeconomico l'attuale scenario di mercato.

Mi piace in particolar modo come vengono dipinti e rappresentati i mutui subprime (che tra l'altro esistono da decenni) ovvero come mutui erogati agli homeless che girano con le buste ed i carrelli della spesa rubati a qualche jet market. Niente di più fuorviante: quando in realtà rappresentano mutui erogati a soggetti che hanno un credit score (punteggio di merito creditizio) inferiore a 670 punti (su una scala valori che va da 500 a 850), in seguito a tardivi o mancati pagamenti su prestiti precedentemente concessi o impegni di pagamento verso utenze di servizi primari (bollette della luce, gas e telefono). Dai subprime si devono distinguere i mutui "nodocs" ovvero "no documents" quelli concessi a soggetti privi di un lavoro a tempo indeterminato e senza mezzi patrimoniali propri, mutui che erano sin dall'inizio destinati ad essere titolarizzati (faccio notare che questa tipologia di mutui ipotecari li hanno erogati anche in Italia ai cosi detti precari, i nuovi morti di fame in giacca e cravatta).

Sappiate comunque che oltre il 25 % della popolazione americana rientra nella categoria di affidamento subprime, mentre il restante 75 % si divide nelle altre due fasce: i soggetti prime e midprime. Tuttavia l'apoteosi di questo falò di banalità propinatoci dai media nazionali l'abbiamo con le spiegazioni sull'origine della crisi (secondo loro passeggera) riconducibili ad una semplice argomentazione: le banche americane che hanno prima concesso mutui a tutti e successivamente hanno cartolarizzato all'inverosimile. Niente di più fuorviante ! L'attuale scenario che stiamo vivendo non rappresenta infatti una crisi generale del sistema finanziario quanto piuttosto una fase terminale che scaturisce dalla convergenza delle conseguenze economiche e sociali causate dal WTO. L'Organizzazione Mondiale del Commercio (World Trade Organization), nata dalle ceneri del GATT (un sistema multilaterale di accordi internazionali per favorire il commercio mondiale voluti dagli USA nel 1947 per controllare e dominare l'economia di tutto il pianeta) ha uno scopo principe ovvero promuovere la globalizzazione di tutti i mercati, tanto finanziari quanto alimentari. Un mercato globalizzato presuppone l'abbattimento di tutte le barriere commerciali (dazi e restrizioni doganali) unito all'abolizione dei sussidi all'agricoltura assieme alla libera circolazione dei capitali.

Proprio il WTO ha reso conveniente e possibile le tanto famigerate delocalizzazioni produttive che hanno rappresentato sia per gli USA quanto per l'Unione Europea un'autentica emorragia di posti di lavoro e capitali a favore di paesi come la Cina e l'India che adesso vengono considerate le due fabbriche del pianeta. Le grandi corporations industriali, sfruttando le economie di scala attraverso i ridicoli costi di manodopera di questi paesi, hanno potuto in questo modo aumentare a dismisura i loro profitti a parità di output produttivo, il quale poteva venire assorbito solo dai mercati occidentali statunitensi ed europei. A fronte di questo diabolico arricchimento di pochi si è contrapposto un drammatico depauperamento in Occidente a causa della polverizzazione dei posti di lavoro ed a causa della concorrenza spietata di prodotti e beni di consumo importati che spazzano via per convenienza economica sul prezzo quelli autoctoni.

La trasformazione del tessuto sociale ed imprenditoriale tanto negli USA quanto in Europa, che adesso devono convivere con il mostro che hanno creato ovvero un esercito di impiegati ed operai senza alcuna prospettiva lavorativa ed una occupazione a singhiozzo, ha lentamente impoverito il paese creando nuove sacche di povertà e disagio sociale a ritmo costante. Solo con il ricorso al debito questi zombie globalizzati hanno potuto continuare a consumare come prima, fino a quando non si è raggiunta la saturazione finanziaria. Nessuno ha fatto ancora notare come in questi ultimi anni tutto è stato venduto a rate, dalle abitazioni alle vacanze alle isole tropicali, causa estinzione della capacità di risparmio, soprattutto nelle giovani generazioni. Il peggioramento dello scenario planetario porterà ad un consistente ridimensionamento dei fatturati delle imprese a cui faranno seguito un crollo del gettito fiscale ed un aumento vertiginoso della disoccupazione.

Le borse in questi termini ci possono aiutare a leggere il futuro: si comportano letteralmente come un termometro che misura la temperatura dello stato febbrile, i loro continui crolli rappresentano un sensibile ridimensionamento delle proiezioni degli utili attesi in futuro e quindi della capacità di fare profitto per le aziende nei prossimi anni. Dalla contrazione del credito bancario concesso alle imprese passando per il crollo del mercato dei consumi, le aspettative future sono tutt'altro che confortanti. Per comprendere la gravità di quanto stiamo vivendo vi voglio ricordare che durante la Grande Depressione degli anni Trenta oltre il 60 % della popolazione mondiale era impiegata nel settore primario (agricoltura) e le donne non avevano una presenza consistente nel mondo del lavoro visto che la società era organizzata attorno al modello della famiglia patriarcale. Oggi l'1% del pianeta mantiene il restante 99% sul piano alimentare, mentre la società è caratterizzata da una spiccata presenza della donna nel mondo lavorativo a cui si deve affiancare il modello di famiglia mononucleare che ha sostituito quella patriarcale. Se in futuro dovessimo descrivere all'interno di un libro quest'epoca infelice e la sua futura evoluzione, adesso ci troveremmo a leggere la prefazione.


http://www.eugeniobenetazzo.com/falo_delle_banalita.htm
 
Beati loro che sono così sicuri e così ben governati
almeno loro hanno politici che amministrano eticamente

da noi ci sono solo... politicanti e politicastri
tutti tesi ai loro bisogni familiari mentre l'Italia è POVERA ed INDIFESA

Crisi, Germania perderà 130mila posti, in gran parte in 2009

BERLINO (Reuters) - L'attuale crisi economica sembra destinata a pesare sul mercato del lavoro in Germania meno di altre: lo ha detto oggi in un'intervista il direttore dell'Ufficio del Lavoro tedesco, aggiungendo che i posti persi saranno 130mila, in gran parte nel 2009. "Nello scenario peggiore, con una crescita di -0,5%, il nostro istituto di ricerca si aspetta 130mila disoccupati in più sulla media annuale del 2009", ha detto al quotidiano Bild Frank-Juergen Weise. "In caso di crescita zero, saranno 30mila". Sono circa un milione i posti di lavoro ancora liberi in Germania, aggiungendo che in molte regioni c'è la piena occupazione e che la durata media della disoccupazione si è dimezzata dal 2005. "L'Ufficio del Lavoro non ha bisogno di nuovi programmi per il mercato del lavoro. Siamo ben preparati alla crisi", ha detto Weise nell'intervista, che uscirà sull'edizione di domani ma che il quotidiano ha anticipato oggi. Il ministro dell'Economia tedesco ha detto la settimana scorsa che le riforme hanno reso il mercato del lavoro in Germania più elastico, e che non c'è ragione di temere la disoccupazione di massa. A ottobre i disoccupati in Germania erano 2 milioni 997mila, per la prima volta dal 1992 sotto i 3 milioni di unità. Nel terzo trimestre la Germania è entrata in recessione, col Pil calato dello 0,5%. Secondo il ministero dell'Economia i dati sul quarto trimestre sono però lievemente migliori. Il governo prevede per il 2009 una crescita dello 0,2%
index.asp
 
Un anno di recessione americana

La recessione negli Usa, ha comunicato il NBER, è iniziata 12 mesi fa. Sono stati pochi gli esperti che l'hanno vista arrivare: quella minoranza che ha creduto nella bontà delle proprie analisi e non ha avuto paura di prendere le distanze dall'opinione comune. A loro si è ispirato l'Investitore Accorto.

da http://investitoreaccorto.investireoggi.it/un-anno-di-recessione-americana.htmlhttp://investitoreaccorto.investireoggi.it/un-anno-di-recessione-americana.html#form E così il National Bureau of Economic Research (NBER), l’organismo incaricato di stabilire i punti di svolta del ciclo economico americano, ha finalmente pronunciato il suo verdetto e dichiarato che la recessione in corso è iniziata esattamente un anno fa, a dicembre del 2007. Pochi, a quel tempo, l’avevano capito.


Non l’aveva compreso la Federal Reserve, che, come già ho raccontato nel post Recessioni, bear market e castelli in aria, un anno fa di questi tempi aveva da poco pubblicato un aggiornamento trimestrale delle sue stime macroeconomiche in cui tagliava la previsione di crescita per il 2008 all’1,8%-2,5% citando il deterioramento dei mercati della casa e del credito come motivi di preoccupazione. Ma in un’audizione di fronte al Congresso, il presidente Ben Bernanke si diceva convinto che la crescita, per quanto rallentata, sarebbe rimasta positiva a cavallo tra la fine del 2007 e l’inizio del 2008. Dopodichè, aggiungeva, “pensiamo che a partire dalla primavera (ndr, 2008), a mano a mano che i problemi creditizi si risolvono e, come speriamo, il mercato della casa comincia a toccare il fondo […] l’economia si riprenderà.”

Fallimenti convenzionali
Neppure gli esperti del settore privato, collettivamente considerati, se la sono cavata meglio. Per valutarne la performance sono andato a spulciare i dati raccolti dal Wall Street Journal nel sondaggio che svolge mensilmente tra oltre una cinquantina dei più noti economisti americani.
A dicembre dello scorso anno la probabilità che veniva mediamente assegnata a uno scenario di recessione era del 38%, in lieve aumento rispetto ai mesi precedenti. Solo 5 economisti su 54 ritenevano che i rischi fossero superiori al 50%: Kathleen Camilli di Camilli Economics, Ram Bhagavatula di Combinatrics Capital, David Rosenberg di Merrill Lynch, Richard Berner & David Greenlaw di Morgan Stanley, Paul Kasriel di Northern Trust.
Le stime cambiarono di poco nei mesi immediatamente successivi e lievitarono verso il 60% solo a marzo, per rimanere poi stabili a quel livello fino alla fine dell’estate.

A settembre 2008, gli economisti che calcolavano una probabilità di recessione superiore al 50% erano 27 su 55, all’incirca la metà. Chi si fosse affidato all’Economic Forecasting Survey del Wall Street Journal o a qualsiasi altra opinione di consenso diffusa dai media finanziari sarebbe stato indotto a pensare che la situazione era ancora molto incerta. Sappiamo ora che, in quel momento, la recessione era già in corso da 10 mesi.


La consapevolezza della gravità della situazione economica si è diffusa e radicata presso gli “esperti” solo a ottobre, dopo il fallimento di Lehman Brothers e il collasso delle Borse. Il campione del Wall Street Journal, nel sondaggio di ottobre, stimava una probabilità di recessione dell’89%. Tutti, a quel punto, avevano aperto gli occhi, e non serviva affatto un dottorato di ricerca in economia in un’università dell’Ivy League e magari l’incentivo di uno stipendio a sette cifre per capire che la recessione, come da allora si è cominciato a ripetere ossessivamente, sarebbe stata lunga e profonda.
L’ultimo sondaggio del Wall Street Journal dice che l’economia americana continuerà a contrarsi fino alla metà del 2009 e che una flebile ripresa comincerà a manifestarsi nel secondo semestre. Visti i precedenti, è giusto coltivare un certo scetticismo.
Gli esperti, in genere, non sanno prevedere il futuro. E anche quando hanno delle abilità superiori alla media, queste sono messe spesso sotto scacco da altre, conflittuali esigenze, come quella di compiacere particolari gruppi di interesse o di evitare di distaccarsi troppo dall’opinione comune, finendo per esporsi a rischi indesiderabili. Come disse John Maynard Keynes, col consueto acume, “la saggezza del mondo insegna che è cosa migliore per la reputazione fallire in modo convenzionale, anziché riuscire in modo non convenzionale.”



L’Investitore Accorto e la recessione: in cerca d’illuminazione
E l’Investitore Accorto, in questa complessiva débacle, come se l’è cavata? Io, naturalmente, come spesso ripeto, non sono un analista né un economista.

Sono solo un giornalista che si sforza di capire e di raccontare la realtà dopo aver sottoposto le analisi altrui a un esame critico e libero da secondi fini. Nella mia scarsa “saggezza del mondo”, l’idea di correre, così facendo, dei rischi reputazionali non mi sfiora. E questo mi ha aiutato. Comunque, non spetta a me fare bilanci. Della qualità del mio lavoro giudichino i lettori. Quello che segue è un breve sunto di come, nell’ultimo anno, ho raccontato la crisi dell’economia americana, che ha poi trascinato con sé il resto del mondo.
A settembre del 2007, nel post L’economia Usa e lo spettro della recessione, tracciavo un quadro ancora in chiaroscuro. Notavo come gli indicatori anticipatori del ciclo lasciavano al momento presagire “un periodo di bassa crescita, ma non il baratro della recessione.” E aggiungevo: “C’è chi pensa che i prezzi medi delle case siano destinati a flettere del 20-30% prima che il mercato tocchi il fondo. La crisi, cioè, è ancora agli inizi. Quello che è già evidente è che il collasso del settore immobiliare è il più grave dalla depressione degli anni ’30. Che questo basti a gettare la poderosa economia Usa nella recessione non è scontato. Per ora le famiglie americane hanno cominciato a stringere i cordoni della borsa ma non al punto da mandare in stallo la crescita.”
Il 21 ottobre del 2007, nel post Mini-crollo a Wall Street e prospettive di Borsa, il tono già si era fatto più allarmato. Davo la parola al bravissimo Paul Kasriel, chief economist di Northern Trust (come abbiamo visto, uno dei 5 su 55 che nel sondaggio di dicembre del Wall Street Journal avrebbero considerato probabile una recessione) e ne sposavo la conclusione che “una recessione negli Usa non può ancora essere data per certa. Ma le probabilità che sia evitata non sono poi così alte come molti pensano.”
Il 22 novembre del 2007, nel post Un bear market azionario è forse alle porte?, osservavo come “i rischi di recessione[…] sono in aumento,” e paventavo l’avvio di un bear market azionario. “Un quadro tecnico e fondamentale in peggioramento, e due enormi bolle – quella della casa e quella del credito – che hanno appena iniziato a sgonfiarsi, mi pare che rendano più credibile, almeno per ora, mettere in conto che le soglie di agosto non reggano a lungo.”

Agli inizi di gennaio 2008, nel post Perché una recessione negli Usa è probabile, tracciavo un quadro ormai cupo della congiuntura e concludevo così: “Se, come appare dunque sempre più probabile, una contrazione dell’economia americana sarà nei prossimi mesi difficile da evitare, quale potrà essere l’impatto sull’Europa? […] E’ facile notare la stretta correlazione tra le economie americana ed europea negli ultimi due cicli, con la funzione di traino (sia nelle fasi ascendenti che in quelle discendenti) che gli Usa hanno storicamente esercitato. La conclusione, insomma, è che se gli Usa sono in procinto di cadere in recessione, la crescita europea potrebbe in pochi mesi squagliarsi come neve al sole.” (ndr, l’economia europea cominciò a contrarsi tre mesi dopo).
A metà gennaio, nel post Ci salverà la Federal Reserve?, citavo Paul Krugman e le sue sconsolate considerazioni sull’impotenza cui il crollo del mercato immobiliare condannava la politica monetaria della Federal Reserve. “E’ mai possibile che la Fed riesca a tagliare i tassi al punto da creare un altro boom immobiliare? […] E se non è possibile, quanto può davvero fare la Fed per aiutare l’economia?” si chiedeva Krugman. E io così osservavo: Può fare poco, sembra. Sia per sostenere i mercati che l’economia. Ma questa è la storia di tutte le bolle. Sono, purtroppo, eccezionali: nell’euforia che generano, e nelle depressioni che lasciano al loro passaggio.”


Di nuovo a metà gennaio, nel post Buffett, Gross e gli schemi di Ponzi delle banche, davo spazio alle amare considerazioni di Warren Buffett e Bill Gross sull’enormità della crisi finanziaria che incombeva. La conclusione di Gross è che il sistema bancario è miseramente sottocapitalizzato per far fronte al collasso di tutti questi ’schemi di Ponzi.’ Alcuni istituti salteranno, altri saranno ridimensionati. La forzata contrazione nell’attività di credito (credit crunch) renderà inevitabile una recessione. Il ’sistema bancario ombra’ scomparirà e chi sopravvivrà – grazie anche agli energici interventi di politica monetaria e fiscale che le autorità metteranno in campo - […] si ritroverà in un sistema finanziario diverso, con nuovi rischi ma, sicuramente, meno effetto leva. […] Dunque, riassumendo, per Buffett il fondo della crisi è ancora lontano e ci vorranno anni per completare il lavoro di pulizia. Per Gross è scoppiata una bolla epocale fatta di speculazioni e schemi piramidali che costringerà a ridisegnare il sistema finanziario americano e globale. Per ogni investitore accorto non può che essere tempo di paziente attesa e grande cautela. Alla fine, per chi avrà saputo aspettare, le opportunità si ripresenteranno.”
A metà febbraio, nel post Recessione, Borse e ottimismo al Sole 24 Ore, polemizzavo con la rubrica “Settimana finanziaria” del Sole 24 Ore, che quella settimana annunciava, nel suo titolo, “Spiragli di ottimismo” sia per la congiuntura che per le Borse. L’autore, Walter Riolfi, dichiarava apertamente il suo “scetticismo” sulla possibilità di un’imminente recessione negli Usa. Faceva appello a una serie di dati macroeconomici diffusi in quei giorni, a suo giudizio “superiori alle attese”, e ai commenti di Ben Bernanke che aveva previsto una congiuntura di bassa crescita nel primo semestre seguita da un “andamento più sostenuto” nella seconda parte dell’anno. La mia critica era piuttosto dettagliata e in gran parte basata sulle analisi di Paul Kasriel, secondo il quale, scrivevo, “gli Usa sono con ogni probabilità già entrati in recessione.” Inoltre, “a differenza che nel 2001, quando furono gli investimenti delle imprese a mettere in ginocchio l’economia, questa volta saranno i consumi delle famiglie a farlo – determinando una crisi di più difficile soluzione.” Chiudevo così: “Spiragli di ottimismo risulta a me difficile vederne. Una recessione negli Usa resta molto probabile ed è forse già iniziata.”
Due giorni dopo tornavo sulla questione nel post Qualche grafico sulla crisi dell’economia Usa. Armato di nuovi e, a mio giudizio, ancor più persuasivi argomenti, scrivevo: “Appare evidente come solo l’export regga ancora. Per il resto, mercato della casa, consumi delle famiglie, servizi e occupazione sono o stanno entrando in una crisi sempre più cupa.”
Ai primi di maggio prendevo di petto, nel post Economia Usa, i rischi di recessione restano alti, l’ottimismo che si era diffuso tra analisti, media e mercati in conseguenza dell’effimera azione di stimolo esercitata dalla manovra fiscale introdotta dall’amministrazione Bush. Scrivevo così: “Sarà per il rally delle Borse, risalite del 15% dai minimi di marzo facendo segnare ad aprile il miglior risultato mensile dal 2003, sarà per un po’ di dati macroeconomici dalle apparenze rassicuranti, ma in queste due ultime settimane si è diffuso un ottimismo sulle prospettive dell’economia americana che mi pare ingiustificato. […] L’economia Usa, nonostante il sostegno che viene dal dollaro debole e da una domanda estera ancora tonica, resta un malato in via di peggioramento. […] Resto dell’avviso che anche i mercati azionari, nelle prossime settimane, esaurito lo spiritato bear market rally dell’ultimo mese e mezzo, torneranno a rammentarcelo.” (ndr, i mercati azionari volsero di nuovo al ribasso a partire dalla settimana seguente)
Pochi giorni dopo, l’11 maggio, nel post Tra bear market e Bear Stearns, dove va la Borsa?, citavo il leading index dell’ECRI (uno dei più prestigiosi centri privati di ricerca economica), secondo il quale le prospettive restavano “recessive”. E davo la parola ai fondatori dell’ECRI, Lakshman Achuthan and Anirvan Banerji: “L’economia sta transitando verso la recessione. Implica che almeno una delle due ultime stime trimestrali sul Pil, che sono state lievemente positive, e forse tutte e due, saranno riviste e corrette in dati di segno negativo entro l’anno prossimo. Oppure, vedremo uno o due trimestri di crescita negativa del Pil nel corso del resto dell’anno.” (ndr, entrambe le predizioni si sono poi avverate). “Mentre l’accertamento definitivo della recessione potrebbe dover attendere almeno un altro anno, resta il fatto che i nostri indicatori anticipatori non sono mai stati così deboli se non nel corso di una recessione.”
A metà maggio, nel post Mercato Usa della casa e prospettive del ciclo, citavo un articolo di Martin Feldstein, allora presidente del NBER, titolato “Ingannevoli statistiche sulla crescita offrono falso conforto”. L’articolo – riassumevo – “mette in evidenza come, dall’inizio dell’anno, l’economia americana ha cominciato a contrarsi un po’ in tutti i settori: è in calo l’occupazione (che ha toccato il suo picco a novembre), sono in diminuzione i redditi, continua a crollare il mercato della casa, scendono le vendite al dettaglio, flette la produzione industriale.” Il dato sul Pil del primo trimestre (+0,6%) andava trattato come una “statistica ingannevole che rischia di indurre un infondato senso di sicurezza, un po’ in tutti ma in particolare tra le autorità politiche e monetarie”. La spirale al ribasso dei prezzi delle case costituiva un gravo rischio per la ricchezza delle famiglie e il capitale delle istituzioni finanziarie. “Potrebbe produrre la recessione più severa e più duratura tra quelle degli ultimi svariati decenni.” Nella seconda parte citavo Kasriel e la sua analisi degli effetti del collasso del mercato immobiliare sulla solidità patrimoniale delle banche. Diceva Kasriel: Anche se la Fed continuerà a prestare liquidità a basso costo al sistema finanziario, la domanda delle banche per l’offerta della Fed sarà debole dato che si troveranno prive del capitale per sostenere il credito al settore privato.” Per Kasriel erano ormai inevitabili una “grave recessione” nel 2008 e una stagnazione destinata a protrarsi almeno per tutto il 2009”.
Il 9 giugno, nel post Informazione, rumore e scelte d’investimento, cercavo di portare un po’ di chiarezza su una serie di dati sul mercato del lavoro che erano stati oggetto di contraddittorie interpretazioni e che avevano mandato in fibrillazione le Borse, spingendole prima con forza al rialzo e poi con ancora maggiore prepotenza al ribasso. Concludevo così la mia analisi: “Le statistiche economiche di questa settimana sono non solo compatibili tra loro, ma anche coerenticon la gran parte delle evidenze degli ultimi mesi, provenienti dai più diversi ambiti dell’economia americana. Assieme, compongono un quadro che consente di affermare – per ora in modo probabilistico e senza certezze definitive - che una recessione, negli Usa, è già in corso da qualche mese.”
Il 25 luglio, nel post L’incredibile rally dei titoli finanziari, definivo insostenibile il bear market rally in corso e della congiuntura economica parlavo nei seguenti termini: “L’avvitamento della congiuntura che, in un anno elettorale, le autorità stanno tentando di combattere con tutti i mezzi – tra cui il condizionamento psicologico delle aspettative – avanza inesorabile. Lo dicono molti dati, ma tra i più chiari e affidabili ci sono il Leading Economic Indicator curato dal Conference Board (da noi noto come superindice economico) e il Leading Index dell’ECRI.”
Infine, il 13 agosto, nel post Recessioni, bear market e castelli in aria, ironizzavo un po’ sull’ostinazione con cui i più sembravano voler continuare a negare l’evidenza di una recessione in corso. Molta gente – scrivevo citando Twain“usa le statistiche come un ubriaco i lampioni: più per sostegno che per illuminazione.”



Ora che il NBER ha posto fine alle diatribe sulla possibile recessione del 2008, certificando che c’è, c’è stata e che ha avuto inizio – oibò – nel 2007, il motto di Twain resta, mi pare, la morale migliore di questa storia.
 

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