Mi domandavo, leggendo....
Chiedo, a chi dice che prostituirsi non sia diverso da un qualsiasi altro lavoro...
Ma se la prostituzione quando è frutto di sfruttamento va vietata, se è vero che è uguale agli altri lavori in cui c'è sfruttamento, perché non si vietano anche gli altri lavori, quando vi è sfruttamento del lavoratore?
Esistono lavori sgradevoli, faticosi, che non richiedono una competenza qualificata. Diventano umilianti perché sono svolti solo da alcuni in un rapporto di gerarchia, giusto? E, secondo molti non sono diversi dalla prostituzione (cd "libera")
Possiamo ammettere l'ingiustizia e immaginare come soluzione
la redistribuzione di questi lavori. Parliamo di lavori necessari o comunque socialmente utili. Lavori che svolgeremmo anche in una società di liberi ed eguali, con una diversa organizzazione del lavoro più giusta ed egualitaria. Lavori che spesso svolgiamo anche volontariamente.
In tutti questi lavori, l'umiliazione, l'alienazione, lo sfruttamento sono dati accessori per quanto prevalenti, ma non necessari.
Nella prostituzione sono invece dati costitutivi.
L'ingiustizia della prostituzione non si corregge redistribuendola. In una società di liberi ed eguali, la prostituzione non avrebbe senso di esistere, poichè la sessualità femminile sarebbe realmente libera, in quanto non controllata e finalizzata dal desiderio maschile.
La vedete la differenza tra chi vende, come dite voi il proprio lavoro, il proprio cervello, le proprie abilità e chi vende sesso?
In tutti i lavori manuali, il corpo del lavoratore usa strumenti.
Nella prostituzione una persona usa il corpo di un’altra persona, come fosse esso stesso uno strumento. Il corpo è una unità psicofisica e coincide con la persona. Molti libertari della prostituzione immaginano di superare la distinzione tra le diverse parti del corpo, parti intime e non, ma riprongono di fatto la distinzione tra corpo ed anima. Per cui vendere il corpo sarebbe vendere altro da sé.
Ma non funziona proprio così, leggete un'altra testimonianza di una prostituta
La mia lotta per avere un futuro | Lunanuvola's Blog
Ne estrapolo alcuni passaggi:
(...) "Quando sei in qualche modo uscita dalla prostituzione, la grande domanda senza risposta è: Com’è che non sono morta? E non c’è risposta, solo altre domande, solo un retroscena di colpevolezza da sopravvissuta, solo un vuoto che non sarà mai riempito.
Una delle ragioni per cui posso essere sopravvissuta, una ragione per cui numerose donne uscite dalla prostituzione sono sopravvissute, è che ci siamo costruite un cuore di ghiaccio. Potete chiamarlo distacco, potete dire che è protezione dalla follia dell’autodistruzione, tutto quel che io so è che ora sono a posto e stabile, ma il ghiaccio si fa vivo in troppe occasioni. (…)
Ho piazzato il mondo della mia prostituzione in una camera di ghiaccio, sperando morisse d’inedia – solo per scoprire che la mia mente “dimentica”, ma il mio corpo è malato di ricordi profondi che richiedono attenzione. Volevo essere la Regina di Ghiaccio e non avere più sensazioni, soffocare tutto il mio passato, dimenticarmi che importa – perché curarsi di qualcosa è troppo doloroso, porta alla superficie una sofferenza enorme, significa vivere mentre sogni di morire.
Ma so di non essere la Regina di Ghiaccio, so che il mio cuore non è congelato, so che la mia paura di essere viva è una reazione naturale al fatto che non mi è mai stato permesso sapere cosa significhi l’essere viva. (…)
Non avendo vie di fuga e avendo perso ogni speranza mi sono adattata. Adattata al punto di dire che stavo bene. Mi sono adattata alla prostituzione, all’essere usata per il porno “amatoriale”, mi sono adattata e ho dipinto sulla mia faccia il sorriso della Puttana Insensibile.
Mi sono adattata a perdere ogni contatto con i miei sentimenti, ogni contatto con la speranza, ogni contatto con un mondo a cui poteva importare – mi sono adattata al palazzo di ghiaccio in cui vivevo.
Per la maggior parte dei miei anni di prostituzione, la conchiglia in cui vivevo appariva confortevole e persino, relativamente, di lusso. Ero sempre all’interno, avevo uno o più letti, dovevo avere solo 10 o 12 uomini al massimo, in una notte. Era più sicuro dello stare su una strada o in qualche tipo di bordello. Mi dicevo di essere fortunata. (...)
(...) Come vivi sapendo che non c’è parte del tuo corpo che non sia stata in zona di guerra, una guerra che si pretende di non vedere, di non sentire e di non conoscere? Non attraverserò i miei molteplici ricordi, dico solo che il sadismo è come un’ombra su di me, dico solo che quando ho qualsiasi dolore in qualsiasi parte del mio corpo, esso mi collega al passato anche se io non voglio.
Dico solo che ho dolore alle orecchie, perché dei clienti hanno pensato che era divertente vedere se i loro uccelli passavano per quel buco.
Dico solo che tendo a tossire per liberarmi la gola sino alla nausea, ed ha senso, perché sono stata costretta sott’acqua mentre subivo uno stupro anale, strangolata, soffocata, e un po’ troppi oggetti/pugni/peni sono stati forzati nella mia gola: è stato il non essere in grado di urlare, e nemmeno di avere una voce, come prostituta.
Dico solo che le mie gambe sono spesso terribilmente doloranti – forse perché molto spesso sono stata legata, o perché correre via non era una possibilità, quando mi prostituivo.
Questo è il trauma ordinario di una donna uscita dalla prostituzione. E’ la nostra norma, la nostra realtà: quella che la società tenta con tanto impegno di negare. (...)"
Ci sarà ancora qualcuno che avrà il coraggio di dire che "è un lavoro come un altro" o che il bordello rappresenta un radicale miglioramento?
