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Malattia dell'economia olandese
Nella moderna scienza economica, la "malattia olandese" è chiamata diminuzione dell'efficienza dell'economia del paese a causa dell'aumento dell'esportazione di materie prime.
Il termine è apparso per la prima volta in una pubblicazione dell'Economist nel novembre 1977 sulla scoperta di un legame tra la crescita della produzione di gas naturale nei Paesi Bassi e il declino della produzione industriale in quel paese.

Nel 1959 fu scoperto un giacimento di gas naturale molto grande nella provincia di Groningen vicino a Slochteren nei Paesi Bassi. Più o meno nello stesso periodo, sotto il fondo del Mare del Nord sono stati conosciuti accumuli di gas naturale su larga scala. Lo sviluppo di questi giacimenti ha fornito gas agli stessi Paesi Bassi e ha anche permesso di esportare materie prime in Norvegia e nel Regno Unito.

Un forte aumento dei proventi delle esportazioni negli anni '70 ha portato a un afflusso di valuta estera nel paese, che ha causato il rafforzamento della valuta nazionale: il fiorino. Inoltre, la crescita dei redditi della popolazione ha creato un'ulteriore domanda di beni e servizi, che ha portato ad un aumento dei prezzi ( inflazione) e un aumento delle importazioni. Le merci straniere sono diventate più accessibili alla popolazione rispetto a quelle locali e l'industria locale ha iniziato a incontrare difficoltà nel marketing sia a livello nazionale che durante l'esportazione di merci (al contrario delle materie prime). Questo, a sua volta, ha portato ad un aumento della disoccupazione nel settore industriale. Di conseguenza, sullo sfondo della rapida crescita dell'industria estrattiva, si è registrato un significativo deterioramento della situazione della popolazione e delle imprese non legate all'estrazione di gas naturale. Inoltre, una fiorente industria estrattiva ha causato un flusso di investimenti e manodopera, che ha limitato le risorse dell'industria manifatturiera, che è diventata stagnante.

Il modello economico della malattia olandese è stato sviluppato nel 1982 dall'economista australiano di origine tedesca Warner Max Corden e dal suo collega irlandese Peter Neary. Secondo questo modello, l'economia è suddivisa in tre settori: il settore dei beni e servizi non commerciabili, cioè beni e servizi che non possono essere spostati tra paesi; un settore in forte espansione dei beni commerciabili (solitamente vari tipi di materie prime); settore dei beni commerciabili non in crescita (beni manifatturieri disponibili per l'esportazione e l'importazione). Quando c'è una forte crescita nel settore delle materie prime, inizia a prelevare risorse di manodopera dal settore industriale, in cui avviene la cosiddetta "deindustrializzazione diretta". Inoltre, gli alti redditi delle persone che lavorano nel settore delle materie prime aumentano i consumi, e quindi la domanda di beni e servizi non commerciabili, che provoca un aumento dei prezzi per loro e il flusso di risorse di lavoro dall'industria al settore dei servizi. Nell'industria, questo crea l'effetto di "deindustrializzazione indiretta".

Il risultato della "malattia olandese" è la rapida crescita del settore estrattivo e del settore dei servizi in un contesto di stagnazione o calo della produzione nel settore manifatturiero. L'effetto è esacerbato dalla crescita del tasso di cambio reale della moneta nazionale e dall'aumento dei prezzi. Se la "malattia olandese" dura abbastanza a lungo, l'industria manifatturiera locale perde la sua competitività sul mercato mondiale e il paese inizia a rimanere notevolmente indietro rispetto alla tendenza globale dello sviluppo industriale. In definitiva, quando le materie prime si esauriscono oi prezzi scendono, il Paese si trova in una difficile situazione economica.
 
⚡Microsoft ha vietato ai russi di scaricare Windows 10 e 11. Quando si tenta di scaricare i sistemi operativi o il programma Media Creation Tool, viene visualizzata una pagina con l'errore "404 - File o directory non trovati".


  • L'Italia potrà sopravvivere all'inverno senza il gas russo, afferma Claudio Descalzi, capo del gruppo Eni Oil and Gas. Per fare ciò, entro ottobre dovrebbe esserci almeno il 70-80% delle riserve, che sarà facilitato, tra l'altro, dal raddoppio delle forniture dall'Algeria. Ora gli impianti di stoccaggio sono pieni al 54%, mancano circa 30 milioni di metri cubi di gas russo al giorno, ma finora l'offerta nel Paese supera la domanda (200 milioni di metri cubi contro 160 milioni di metri cubi), ha detto Descalzi.
 
Neppure se l’avessero fatto apposta gli europei sarebbero riusciti a creare una tempesta economica e finanziaria perfetta come quella attuale. Dopo decenni di crescita e di innovazione tecnologica siamo ripiombati negli anni Settanta: inflazione galoppante, guerra in alcuni paesi produttori di materie prime strategiche, caduta dei salari reali, rallentamento della crescita economica, aumento dei tassi d’interesse e tumulto a piazza affari. Mancano solo le Brigate Rosse, l’Ira, l’Eta e la leva militare negli Usa per guerra in Vietnam per ottenere de-ja-vu storico perfetto.

Negli anni Settanta due guerre posero fine ad un lunghissimo periodo di crescita e prosperità, molto simile a quello che abbiamo vissuto negli ultimi trent’anni. La guerra del Yom Kippur del 1973 e quella tra Iraq ed Iran del 1980. Entrambe causarono una contrazione dell’offerta di petrolio che ne provocò un aumento improvviso dei prezzi. Negli anni Settanta, però, i paesi importatori non avevano nessun potere nei confronti dei paesi produttori. Oggi la decisione di non acquistare più petrolio e gas naturale dalla Russia è stata presa da noi europei. Perché questa decisione è importante? Vediamolo.

L’embargo del 1973 che fece quadruplicare i prezzi del petrolio quasi nottetempo fu un evento di portata mondiale, tutti ne risentirono e quindi si dovette correre ai ripari usando organizzazioni internazionali come il Fondo Monetario. A seguito dell’aumento vertiginoso delle entrate in dollari nella bilancia dei pagamenti dei paesi produttori di petrolio, il Fmi iniziò il riciclaggio dei petroldollari, incanalò questa liquidità nel sistema finanziario occidentale. I petroldollari sostennero l’economia americana e quella occidentale attraverso investimenti principalmente finanziari.

Oggi la situazione è completamente diversa. Paesi emergenti come la Cina, l’India ed una buona fetta del continente africano non partecipano all’embargo ed acquistano petrolio e gas russo in rubli a prezzi privilegiati, stabiliti da contratti bilaterali. Grazie al fracking, gli Stati Uniti sono tornati ad essere un esportatore netto di petrolio e gas naturale, e quindi beneficiano dell’aumento del prezzo, nonostante partecipino alle sanzioni. L’improvvisa impennata della domanda energetica europea è stata positiva per gli Stati Uniti, ha assorbito l’aumento di capacità produttiva iniziato nel 2017 e programmato per soddisfare l’ascesa futura della domanda asiatica. La Russia, come avvenne negli anni Settanta con i paesi arabi produttori di petrolio, si è trovata a dover gestire un improvviso aumento delle entrate energetiche nella bilancia dei pagament, – e già la contrazione della domanda europea non ne ha fiaccato le finanze grazie all’aumento vertiginoso dei prezzi -, entrate a quanto pare in gran misura in rubli. Ma certo non verrà a riciclarle da noi.


Morale, la situazione in Europa è critica come lo era negli anni Settanta, ma non nel resto del mondo, e questa criticità viene messa in evidenza dal ritorno di un’inflazione galoppante. Negli Stati Uniti, invece, l’impennata dei prezzi è dovuta alla crescita sostenuta delle domanda interna nel post Covid. Tanto per capire, il prezzo della benzina negli Stati Uniti è la metà di quello che paghiamo in Europa, i salari dei lavoratori privi di qualificazione sono aumentati dal 2019 e continuano a salire per attirare forza lavoro, l’offerta di lavoro continua a crescere. Riequilibrare l’economia americana sarà più facile perché è essenzialmente una questione interna legata, riequilibrare l’economia europea è molto più complicato a causa della dipendenza dal petrolio e dal gas estero.

Sapevano gli americani che lanciare la campagna di sanzioni contro la Russia avrebbe fiaccato noi europei e rafforzato la propria economia energetica? E’ chiaro che la risposta è positiva, Washington non avrebbe mai preso una decisione tanto negativa per la propria economia. Noi invece sì.


Adesso che la guerra in Ucraina sta diventando una realtà di lungo periodo e che fare il pieno di benzina costa quanto un biglietto aereo low cost, ci si accorge che siamo noi quelli che stanno peggio di tutti. Persino la politica di armare l’Ucraina è più positiva per gli Stati Uniti, dove si trova l’epicentro dell’industria bellica occidentale e spera che i governi continuino a spedire armi ed armamenti svuotando i magazzini militari e così facendo dando spazio all’acquisto di nuove armi, più moderne e micidiali. Altro pilastro della politica delle sanzioni l’embargo su tutti i prodotti russi, e così non solo si è chiuso l’accesso del Vecchio Continente a fonti energetiche a prezzi competitivi, con un colpo di spugna è scomparso anche il mercato russo per i nostri esportatori e per l’industria del turismo. Voilà, la crisi energetica ed il ritorno agli anni Settanta in Europa. E la Russia? Dopo lo choc iniziale l’economia sembra riprendersi, anche grazie all’aumento vertiginoso dei prezzi energetici.

Una domanda: ma che succederà a guerra finita? Ipotizzando che Putin perda, cosa pensano i nostri leader europei che succederà in Russia? Un’elezione democratica? O il caos che abbiamo visto negli anni Novanta. Sia che Putin perda o vinca quel petrolio e gas naturale a basso prezzo non lo vedremo più! Riflettiamo su questo punto.

La cosa più triste è che alla guida dell’Italia durante questo disastro di politica estera c’era l’uomo che ha salvato l’Europa dalla crisi del debito sovrano, così almeno si diceva. Ma stampare soldi, va detto, è molto, molto più semplice di guadagnarli.




Ucraina, nessuno intende negoziare: tutti hanno da guadagnarci. Tranne noi europei - Il Fatto Quotidiano
 
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Neppure se l’avessero fatto apposta gli europei sarebbero riusciti a creare una tempesta economica e finanziaria perfetta come quella attuale. Dopo decenni di crescita e di innovazione tecnologica siamo ripiombati negli anni Settanta: inflazione galoppante, guerra in alcuni paesi produttori di materie prime strategiche, caduta dei salari reali, rallentamento della crescita economica, aumento dei tassi d’interesse e tumulto a piazza affari. Mancano solo le Brigate Rosse, l’Ira, l’Eta e la leva militare negli Usa per guerra in Vietnam per ottenere de-ja-vu storico perfetto.

Negli anni Settanta due guerre posero fine ad un lunghissimo periodo di crescita e prosperità, molto simile a quello che abbiamo vissuto negli ultimi trent’anni. La guerra del Yom Kippur del 1973 e quella tra Iraq ed Iran del 1980. Entrambe causarono una contrazione dell’offerta di petrolio che ne provocò un aumento improvviso dei prezzi. Negli anni Settanta, però, i paesi importatori non avevano nessun potere nei confronti dei paesi produttori. Oggi la decisione di non acquistare più petrolio e gas naturale dalla Russia è stata presa da noi europei. Perché questa decisione è importante? Vediamolo.

L’embargo del 1973 che fece quadruplicare i prezzi del petrolio quasi nottetempo fu un evento di portata mondiale, tutti ne risentirono e quindi si dovette correre ai ripari usando organizzazioni internazionali come il Fondo Monetario. A seguito dell’aumento vertiginoso delle entrate in dollari nella bilancia dei pagamenti dei paesi produttori di petrolio, il Fmi iniziò il riciclaggio dei petroldollari, incanalò questa liquidità nel sistema finanziario occidentale. I petroldollari sostennero l’economia americana e quella occidentale attraverso investimenti principalmente finanziari.

Oggi la situazione è completamente diversa. Paesi emergenti come la Cina, l’India ed una buona fetta del continente africano non partecipano all’embargo ed acquistano petrolio e gas russo in rubli a prezzi privilegiati, stabiliti da contratti bilaterali. Grazie al fracking, gli Stati Uniti sono tornati ad essere un esportatore netto di petrolio e gas naturale, e quindi beneficiano dell’aumento del prezzo, nonostante partecipino alle sanzioni. L’improvvisa impennata della domanda energetica europea è stata positiva per gli Stati Uniti, ha assorbito l’aumento di capacità produttiva iniziato nel 2017 e programmato per soddisfare l’ascesa futura della domanda asiatica. La Russia, come avvenne negli anni Settanta con i paesi arabi produttori di petrolio, si è trovata a dover gestire un improvviso aumento delle entrate energetiche nella bilancia dei pagament, – e già la contrazione della domanda europea non ne ha fiaccato le finanze grazie all’aumento vertiginoso dei prezzi -, entrate a quanto pare in gran misura in rubli. Ma certo non verrà a riciclarle da noi.


Morale, la situazione in Europa è critica come lo era negli anni Settanta, ma non nel resto del mondo, e questa criticità viene messa in evidenza dal ritorno di un’inflazione galoppante. Negli Stati Uniti, invece, l’impennata dei prezzi è dovuta alla crescita sostenuta delle domanda interna nel post Covid. Tanto per capire, il prezzo della benzina negli Stati Uniti è la metà di quello che paghiamo in Europa, i salari dei lavoratori privi di qualificazione sono aumentati dal 2019 e continuano a salire per attirare forza lavoro, l’offerta di lavoro continua a crescere. Riequilibrare l’economia americana sarà più facile perché è essenzialmente una questione interna legata, riequilibrare l’economia europea è molto più complicato a causa della dipendenza dal petrolio e dal gas estero.

Sapevano gli americani che lanciare la campagna di sanzioni contro la Russia avrebbe fiaccato noi europei e rafforzato la propria economia energetica? E’ chiaro che la risposta è positiva, Washington non avrebbe mai preso una decisione tanto negativa per la propria economia. Noi invece sì.


Adesso che la guerra in Ucraina sta diventando una realtà di lungo periodo e che fare il pieno di benzina costa quanto un biglietto aereo low cost, ci si accorge che siamo noi quelli che stanno peggio di tutti. Persino la politica di armare l’Ucraina è più positiva per gli Stati Uniti, dove si trova l’epicentro dell’industria bellica occidentale e spera che i governi continuino a spedire armi ed armamenti svuotando i magazzini militari e così facendo dando spazio all’acquisto di nuove armi, più moderne e micidiali. Altro pilastro della politica delle sanzioni l’embargo su tutti i prodotti russi, e così non solo si è chiuso l’accesso del Vecchio Continente a fonti energetiche a prezzi competitivi, con un colpo di spugna è scomparso anche il mercato russo per i nostri esportatori e per l’industria del turismo. Voilà, la crisi energetica ed il ritorno agli anni Settanta in Europa. E la Russia? Dopo lo choc iniziale l’economia sembra riprendersi, anche grazie all’aumento vertiginoso dei prezzi energetici.

Una domanda: ma che succederà a guerra finita? Ipotizzando che Putin perda, cosa pensano i nostri leader europei che succederà in Russia? Un’elezione democratica? O il caos che abbiamo visto negli anni Novanta. Sia che Putin perda o vinca quel petrolio e gas naturale a basso prezzo non lo vedremo più! Riflettiamo su questo punto.

La cosa più triste è che alla guida dell’Italia durante questo disastro di politica estera c’era l’uomo che ha salvato l’Europa dalla crisi del debito sovrano, così almeno si diceva. Ma stampare soldi, va detto, è molto, molto più semplice di guadagnarli.




Ucraina, nessuno intende negoziare: tutti hanno da guadagnarci. Tranne noi europei - Il Fatto Quotidiano
Tancredi, dai su..... alla gente interessa Sprtiz e mare, vai in spiaggia a vedere la spensieratezza con la quale si spende e spande senza se e senza ma. Ma che crisi, su......
 
quindi c'e una grande diversita' di vedute tra la banca centrale e la realta' dei fatti
banca centrale, inutile dirlo, espressione di putin (la nabiullina l'ha messa lui e l'ha tenuta mentre voleva andarsene)
il consumatore/elettore medio non e' capace di un ragionamento complesso....se la spesa va su c'e' inflazione e quindi governo ladro
quindi dalla propaganda non ci si puo' aspettare altro che controllo dell'inflazione...se poi sfociera' in deflazione...e' sempre un ragionamento troppo complesso:D



+++++Il primo vice primo ministro Andrey Belousov, in un'intervista a Interfax, ha affermato che il tasso di cambio ottimale del rublo è ora compreso tra 70 e 80 rubli per dollaro e deve essere raggiunto il prima possibile.++++++

Ha affermato che l'inflation targeting con riserve bloccate della Banca Centrale ha cessato di funzionare, e non esclude di "ripensare" il meccanismo per la stabilità del rublo e di svilupparne uno nuovo, "in cui c'è posto per uno scambio di equilibrio Vota." Quindi Belousov ha risposto alla domanda sul possibile targeting del corso.

Ha riconosciuto le questioni del corso come "il campo di responsabilità della Banca di Russia", tuttavia, ha affermato di contare sul lavoro congiunto del governo con la Banca centrale nell'interesse dell'attuazione dei compiti da lui menzionati - e menzionato la loro responsabilità congiunta.

Belousov ritiene che il tasso chiave ottimale sia del 5-6% (ora 9,5%). Considera la stima del calo del PIL del Ministero dello Sviluppo Economico (8%) come il massimo e si aspetta il 3-5%, "se è possibile risvegliare la domanda interna attraverso gli sforzi congiunti della Banca di Russia e il governo."



Il presidente della Banca centrale Elvira Nabiullina ha dichiarato venerdì che non è necessario indebolire in modo specifico il rublo: "La posizione della Banca centrale è che puntiamo all'inflazione, ma non al tasso di cambio. Il rublo deve restare sospeso».

“Sembrano strane le voci su un possibile targeting del tasso di cambio del rublo, viste le riserve congelate e la mancanza di un efficace meccanismo di controllo del cambio, e il corso proclamato dalle autorità per la “svalutazione” dell'economia (stimolando la vendita di valuta e la crescita del rublo),” Loko- Invest" Dmitry Polevoy. Secondo lui, senza interventi sui cambi, l'unico modo per fermare la crescita eccessiva del rublo è stimolare la domanda/importazioni e/o limitare le esportazioni, "ma sarà difficile calibrare [queste misure] in termini di impatto il tasso di cambio."

Anche le parole sulla responsabilità congiunta della politica monetaria sono percepite negativamente, sebbene nelle condizioni attuali sia davvero necessario un migliore coordinamento tra Banca centrale e governo prima dell'emergere di una nuova regola di bilancio (poiché la spesa di bilancio incide direttamente sulla domanda), afferma l'esperto .

Se l'inflazione rimane bassa, resta il potenziale per ulteriori tagli dei tassi al 7-8% nei prossimi 6-9 mesi, ma “ogni dubbio sull'indipendenza della Banca Centrale sarà estremamente negativo per l'economia e il mercato finanziario, riducendo il impatto positivo dei tassi bassi sul costo dei prestiti attraverso un aumento del premio per il rischio”, afferma Polevoy.
 
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ancora scintille tra i due organismi


15:14 Il vicepresidente della Banca centrale Alexei Zabotkin ha spiegato alla Duma di Stato perché l'obiettivo del tasso di cambio, a cui è stato accennato dal primo vice primo ministro Andrei Belousov, è pericoloso. (post di prima)

"Devi capire che qualsiasi idea relativa al targeting dei tassi, se implementata, porterà inevitabilmente a una diminuzione dell'efficienza e alla perdita della sovranità della politica economica", ha affermato Zabotkin. "Se il tasso di cambio fisso è determinato da un intervallo predeterminato, stiamo essenzialmente abbandonando la politica monetaria indipendente a favore del paese alla cui valuta leghiamo il nostro tasso". Inoltre, le stesse valute "di riserva" sono cambiate: a causa dell'elevata inflazione, il loro potere d'acquisto ha cessato di essere sostenibile. Se leghiamo il tasso di cambio alla valuta dell'economia con un'inflazione dell'8-10%, la nostra inflazione sarà la stessa, ha osservato il vicepresidente della Banca centrale.
 
come si leggeva purtroppo....cmq andranno di gran carriera verso la malattia olandese ....che gia' ce l'hanno va detto
tutto per soddisfare l'ego del killer psicopatico
lossero' sul rublo (a breve termine, nel lungo nessuno e' mai riuscito a fermare il tempo) ma voglio vederli fallire....so soddisfazioni :pollicione:

La Banca centrale si è opposta alla transizione verso il tasso di cambio del rublo
Puntare sul tasso di cambio del rublo comporterà la perdita di indipendenza della politica monetaria e l'importazione di inflazione, ha affermato Alexei Zabotkin, vice capo della Banca centrale



Il passaggio a una politica mirata al tasso di cambio del rublo anziché all'inflazione comporterà una serie di conseguenze inaccettabili per l'economia russa. Questa opinione è stata espressa dal vicepresidente della Banca centrale Alexei Zabotkin in una riunione della commissione per il bilancio e le tasse della Duma di Stato.

Ha spiegato che qualsiasi idea relativa al rate targeting inevitabilmente, se attuata, porterà a una diminuzione dell'efficacia e alla perdita di sovranità della politica economica perseguita.

“Cosa succede quando puntiamo al tasso di cambio? Fissiamo questo tasso o il tasso, che è determinato da un intervallo predeterminato, e questo significa che, di fatto, rifiutiamo di condurre una politica monetaria indipendente a favore della politica monetaria del paese alla cui valuta leghiamo il nostro tasso, - disse Zabotkin.

Ha ricordato che la Russia aveva già utilizzato questo approccio negli anni 2000 e nella prima metà degli anni 2010, ma nelle condizioni attuali sopporta alcuni rischi, principalmente associati all'aumento dell'inflazione.

“Quelle valute in relazione alle quali abbiamo legato il tasso nella prima parte della nostra storia economica e di altri paesi sono valute di riserva: il dollaro, l'euro. Per quasi quattro decenni, il loro potere d'acquisto è stato molto stabile, l'inflazione in questi paesi è stata bassa. Ora non è così. Pertanto, se perseguiamo la nostra politica monetaria e leghiamo i suoi parametri al fatto che il rublo ha un tasso nominale fisso o leggermente fluttuante rispetto a valute in cui l'inflazione è dell'8-10%, la nostra inflazione sarà la stessa. Questa è l'opzione per noi inaccettabile", ha sottolineato.
 
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prendiamo il gas che stanno fermando per mancanza delle turbine siemens in riparazione in canada
cioe' non sanno fare un cazzo....solo caviale e petrolio
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