SE TI LASCI ANDARE, LE COSE ANDANO...

Illustrando al Senato l’imminente campagna italiana vaccini,
il ministro della sanità (salute è altra cosa) ha usato toni epici,
parlando di sforzi che porteranno a “chiudere questa pagina tragica per l’intera umanità”.

Tuttavia, ecco alcune domande da quattro soldi:


1) Sono state “opzionate” all’Italia oltre il 13% dei contratti formalizzati da parte dall’Europa,
sulla base di un meccanismo di acquisto promosso in particolare dall’Italia (che è fra i sette negoziatori).
Quanto sono costati questi 220 milioni di dosi? Da quale voce del bilancio saranno presi?


2) I prezzi dei “candidati vaccini” sono diversi per le varie marche?


3) Su che base sono state stabilite le quote per le varie marche?


4) I “candidati vaccini” non sono ancora approvati da Ema e Aifa.
Qualora non superassero l’esame, il pagamento in tutto o in parte è comunque previsto dai contratti?


5) Quanto costerà l’operazione bellica necessaria a somministrare i vaccini ad almeno al 60% degli italiani,
percentuale che è il vostro obiettivo per raggiungere quella “immunità di gregge” della quale adesso tanto parlate dopo averla demonizzata?
Distribuzione, personale, materiale sanitario accessorio?
In quale voce del bilancio saranno inserite le spese?


6) Il ministro ha spiegato che la “catena del freddo estrema” (sic), quella necessaria per il vaccino Pfizer (meno 75°), sarà gestita così:
l’azienda produttrice consegnerà le pozioni a 300 punti vaccinali già condivisi con la regione e le province autonome.
Chi pagherà questo costo superiore, dall’azienda al consumatore finale?


7) L’opzione per 220 milioni di dosi per la sola Italia non rischia di provocare uno spreco (già accaduto in passato)
qualora il quadro epidemiologico italiano e mondiale dovesse cambiare?
E’ previsto comunque di usare tutte le dosi, negli anni?
 
Votate ancora questi poveri diavoli.:dietro:


Ore di lavoro intenso per l’esecutivo mentre sta per tagliare il traguardo il prossimo DPCM
che ci accompagnerà per tutto il periodo natalizio, dal 4 dicembre fino almeno al 7 gennaio
(non è escluso che si arrivi al 15 gennaio).


Il Governo ha deciso di imboccare la via del rigore senza se e senza ma. Tradotto: sarà un Natale blindato.


IL RETROSCENA CHE INGUAIA CONTE E SPERANZA –


Il Premier ed il Ministro della Salute Speranza intanto sono finiti nella bufera per un retroscena scomodo sui ristoranti
ricostruito da Il Tempo che cita un documento del Comitato Tecnico Scientifico (CTS) datato 17 ottobre dal quale emerge che
– contrariamente a quanto detto pubblicamente – non sono stati gli scienziati a spingere per le chiusure serali dei locali
come invece stabilito dal DPCM ufficializzato qualche giorno dopo.


Questo il testo che emerge dai verbali pubblicati dal quotidiano:

Per ciò che concerne il settore della ristorazione, il CTS rimarca il rigoroso rispetto e controllo
delle misure già più volte indicate dal CTS ed oggetto delle norme attualmente in vigore
(es. distanziamento, prevenzione degli assembramenti, obbligo nell’uso della mascherina negli esercizi commerciali e di ristorazione)
con intensificazione della vigilanza e delle azioni di contrasto che devono essere rese più agevoli nella loro possibilità di adozione
(es.: obbligo di affissione del numero massimo di clienti che è possibile accogliere negli esercizi).
Il CTS suggerisce la coerenza della limitazione già prevista dalle raccomandazioni vigenti per i contesti domestici
relativa al numero massimo di persone che possono condividere il medesimo tavolo all’interno dei locali di ristorazione”.



Per gli scienziati, dunque, i locali sarebbero potuti restare aperti, ovviamente nel rigoroso rispetto delle normative di sicurezza.


OPPOSIZIONI SUL PIEDE DI GUERRA

Un’onda polemica subito cavalcata dalle opposizioni, Giorgia Meloni in testa:

“Lo scorso 17 ottobre gli scienziati del Cts mettevano nero su bianco che i
protocolli di sicurezza imposti ai ristoranti erano efficaci, quindi non c’era alcun bisogno di chiuderli
.
È stato il Governo a scegliere di inasprire le misure, dando un’altra pesantissima mazzata ad un settore fondamentale dell’economia italiana.
Conte e i suoi sodali dimostrano ancora una volta di voler scaricare la propria incapacità di gestione dell’epidemia sulle imprese e sulle partite iva,
compromettendo l’intera economia italiana”.
 
Un caso, per fortuna divertente, narrato a Radioradio ci spiega quanto bene funzionino le banche dati del covid-19 e dei morti giornalieri.

La signora di cui leggete le vicende sicuramente compariva nelle liste dei morti giornalieri ed avrà allargato la pressione per le chiusure, per i lockdown, etc


“Innanzitutto io e la mia compagna siamo venuti fuori dal Covid
e vorrei rassicurare avendo il massimo rispetto per tutte le persone che sono decedute
che noi lo abbiamo passato con un piede solo, nel senso che a 37,5°C noi maschietti abbiamo la caratteristica di soffrire molto le influenze
(in passato le mie influenze erano dilanianti) e questa a 38°C per me è stata una passeggiata di salute.


La storia. La mia compagna va a fare il tampone, contatta il suo medico
perché in quanto occupata ha bisogno di chiedere i giorni di permesso ulteriore per la malattia,
ma il medico non la trova più sulla sua banca dati.

“C’è tuo padre, c’è tuo fratello, c’è tuo nipote ma tu non risulti più presente”, le dice.

Dopo 20 minuti la richiama e con una certa dose di allegria e col sorriso,
il medico le comunica che lei è deceduta.
Lei lo ha poi detto a me e ci siamo fatti una risata”.




“Mi chiedo allora se può essere plausibile il concetto per cui una persona nottetempo prende qualcuno
che risulta nella banca dati del servizio sanitario come malato Covid e non lo faccia morire per qualche ora
per poi farlo tornare in vita con un semplice clic ?
Questa persona non se ne accorgerebbe mai.
Sostanzialmente mi terrorizza l’idea che possa esserci un percorso per cui si tengono alti i dati dei morti
che morti non sono, per poi giustificare tutte queste chiusure
“.

 
Questa della chiusura di Natale è veramente indifendibile.

Pensate che la nostra provincia ha 340.000 abitanti.
Suddivisi in 84 comuni.

In Italia ci sono 7 città che hanno più di 340.000 abitanti.
Qualche piccola differenza c'è , non pare anche a Voi ?

Pensate che nella nostra provincia ci sono 6 comuni con più di 10.000 abitanti.

Ma ci sono 66 comuni con meno di 5.000 abitanti.

Non pensate che qualche genitore, fratello, nonno, zio, cugino, moroso,
abiti nel comune limitrofo od in quello dopo ?

E NON SI POSSONO INCONTRARE A NATALE ?

Ma se uno mi fermerà quel giorno o quello dopo, io li brucio.........
 
Nella storia della Repubblica il termine “manina” fu sdoganato da Bettino Craxi
all’indomani del secondo ritrovamento del Memoriale Moro,
un affaire che di lì a poco avrebbe fatto scoppiare una delle più gravi crisi istituzionali
portando alle dimissioni il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga.

Ieri a Montecitorio il termine ha fatto capolino di nuovo, procurando un brivido ai cronisti più anziani.

«[Al governo] si verificano delle manine che cancellano delle norme».


Non tragga in inganno l’italiano “colloquiale, perché la voce appartiene a uno di quelli che conta, nel Governo e nel Movimento 5 Stelle.

La voce è quella di Marcello Minenna, direttore della Agenzia Dogane e Monopoli.

La frase che Minenna mette a verbale non è un retroscena ma una precisa accusa fatta in un’occasione ufficiale,
la sua audizione in Commissione Finanze tenutasi appunto ieri.


Il responsabile delle Dogane si riferisce al maxi-regalo fiscale che i governi Conte 1 e 2 hanno concesso alla multinazionale del tabacco Philip Morris.


E se nella prima Repubblica “le manine” facevano sparire segreti di Stato imbarazzanti,
in questa melassa di regime che non osiamo chiamare né seconda né terza repubblica,
le manine fanno sparire leggi che valgono centinaia di milioni.

Minenna sta parlando della sparizione, denunciata dal Riformista venerdì scorso, di una norma dalla bozza della legge di bilancio.


L’oggetto era l’aumento della tassazione sul tabacco riscaldato, prodotto di Philip Morris,
che come d’incanto si dissolve nel passaggio dal Governo a Montecitorio
con un risparmio netto per la multinazionale di svariati milioni.



Incalzato dal deputato Raffaele Trano, ex-presidente della Commissione Finanze, commercialista di professione
e anima cheta che alla bisogna diventa mastino, Minenna ieri non si è tirato indietro.

«Sono un servitore dello Stato… sulle norme che entrano e scompaiono dalle leggi c’è agli atti del Senato un mio documento.
Ho rivelato che si verificano delle manine che cancellano delle norme».



A quel punto le chat dei parlamentari M5S, e non solo, iniziano a bollire.


Tutti sanno che Minenna si sta riferendo a Laura Castelli, vice-ministro al Mef.


Quello che rimane sullo sfondo, in tutta questa vicenda è il ruolo di Giuseppe Conte e del ministro dell’Economia Gualtieri.

È pensabile che su un tema così rilevante, diventato politicamente incandescente, i vertici del governo nulla sapessero?


Davvero Laura Castelli è in grado di imporre all’intero governo uno sconto fiscale di centinaia di milioni di euro l’anno
alla multinazionale del tabacco mentre l’Italia è piegata dal Covid e dalla conseguente crisi economica?


Le “manine” di cui parla Marcello Minenna sono solo quelle del vice-ministro?


C’è un giorno che a Palazzo Chigi non è stato dimenticato.

Era il 7 luglio 2020 e non fu proprio un giorno facile per Giuseppe Conte.


A detta di chi quel giorno era presente, furono le tre ore tra le più “faticose” del suo impegno politico.


Il termine deriva da una serie di “stranezze”, tre per l’esattezza:

la durata,

l’inesistenza di una traccia documentale che attesti gli argomenti trattati,

la mancanza di testimoni.


«Tutte circostanze che non si sono mai verificate nel corso della Presidenza Conte»,
racconta al Riformista un dirigente di lungo corso di Palazzo Chigi.


Conte tenne per sé anche gli appunti presi durante il lungo colloquio, senza consegnarli come da prassi al suo ufficio di gabinetto.


Un incontro rimasto praticamente segreto.

Fino a poche ore prima Palazzo Chigi negava addirittura che si sarebbe tenuto.

All’uscita Casaleggio fu di poche parole.

“Ho presentato il piano elaborato dall’associazione Gianroberto Casaleggio”.
Avete parlato di regionali? “Anche”.

La partita si chiuse lì.


«A che titolo Davide incontra Conte?

Se fa solo il tecnico per il Movimento perché parla di alleanze?».


Queste le reazioni all’interno del Movimento.


C’è però una coincidenza, in questa storia di “manine”,
articoli della finanziaria che saltano,
contratti milionari e summit incomprensibili.

In quegli stessi giorni, tra la fine di giugno e l’inizio di luglio decine di deputati
– Trano, per esempio, ma anche Fioramonti, Rossella Muroni e Fassina di Leu, parlamentari di Fratelli d’Italia e del Movimento -
avevano presentato per la seconda volta una serie di emendamenti al Decreto legge Rilancio con un preciso obiettivo:

innalzare la tassazione per i prodotti di Philip Morris, il cliente di Davide Casaleggio,
con l’obiettivo di creare un fondo per i malati cronici che in tempo di Covid hanno bisogno di cure domicilia
ri.


Il 7 luglio, proprio il giorno in cui Casaleggio si trovava a Chigi, il decreto legge venne licenziato dalle commissioni.

Il 9 approdò nell’aula di Montecitorio.

Degli emendamenti per i malati che alzavano le tasse a Philip Morris non c’era più traccia: il governo li aveva cassati tutti.

La Camera approvò.

Qualcuno tirò un sospiro di sollievo.

Non ci sono prove che in quell’incontro si parlò anche di affari.


Rimane un dato ineliminabile: la segretezza totale che ancora oggi avvolge quell’incontro

tra un presidente del Consiglio e il capo di un’azienda privata.

Il giallo su quali e quante siano le “manine” sporche di tabacco sposta il suo set: da Milano a Palazzo Chigi.
 
Il danno che questi incapaci al governo, gente eletta con duecento voti sulla piattaforma Rousseau,
quindi da soli amici e parenti, oggi pure vice ministri, sta producendo all'economia del Paese e alla psiche dei cittadini è incalcolabile.

Matteo Salvini, uscendo dal Conte 1 ha commesso un errore drammatico, soprattutto alla sua Lombardia, al nord,
il cui riferimento è stato persino tolto dal simbolo per sostituirlo con un Salvini premier che difficilmente si avvererà.

Siamo prossimi all'ennesimo Dpcm che creerà ancora una volta discriminazioni spaventose tra i cittadini italiani.

Ora che il Lazio restasse zona gialla era fuori discussione
altrimenti dove andrebbero a pranzare i parlamentari
e l'esercito di dipendenti della mostruosa macchina burocratica romana
se i ristoranti fossero chiusi come in Lombardia?

E il cappuccino col cornetto mica lo consumano all'aperto, al freddo e sotto la pioggia.

Sono romani loro, non lombardi.


Con le nuove regole pare che la Lombardia resterà ancora un po' in zona arancione,
quindi niente spostamenti tra comuni oltre alle altre limitazioni.

Ma vivere a Milano, Monza, Lecco e vivere a Robbiate, Calco, Garlate c'è una bella differenza.

Se stai a Milano - non diciamo Roma dove nulla è cambiato rispetto a prima della pandemia -
hai una mobilità che ti consente di evitare lo psicoterapeuta, ma se stai a Cremella lo psicologo
- e Dio non voglia lo psichiatra - rischia di diventare indispensabile.


Possibile che i Boccia, Bonafede, Speranza e compagnia di incapaci non se ne rendano conto?


E poi siamo sicuri che queste limitazioni siano costituzionali?



Chi scrive, anni fa con uno studio legale, ha promosso ricorso contro l'indeducibilità totale (2012) dell'Imu
che provocava una imposta (ires) sull'imposta (imu) che valutò incostituzionale.

Ebbene il 19 novembre 2020 la Corte Costituzionale ha accolto il ricorso sentenziando l'incostituzionalità della norma.

Questo per dire che a volte Davide vince su Golia anche quando nessuno scommetterebbe un centesimo su di lui.


In questo quadro fosco per la Lombardia (che produce il 25% del Pil nazionale
e rappresenta un sesto di tutto l'agroalimentare italiano) arriva pure la beffa.



Con un gioco dell'oca, certo non casuale, si è creato un corridoio libero che consente di partire da Reggio Calabria

ed arrivare fino a Trento e Trieste attraversando Basilicata, Puglia, Lazio, Umbria, Marche, Emilia-Romagna e Veneto senza rischi di sanzioni.



Mentre noi non possiamo andare da Merate a Robbiate.


Ma ci vogliamo ribellare a questi cialtroni?


E non si tirino in ballo i dati sanitari.

La Lombardia ha 1.435 posti letto nelle terapie intensive su circa ottomila in tutta Italia.

Il tasso di attualmente contagiati rispetto alla popolazione è il seguente (dati del 2 dicembre):

Campania 1,77 -

Piemonte 1,63 -

Emilia Romagna 1,60 -

Lazio 1,56 -

Veneto 1,40 -

Friuli Venezia Giulia 1,21 -

Lombardia 1,18 -

Puglia 1,01.


Magari si sottolinei anche questo oltre ai numeri assoluti diffusi ogni giorno.


Elementi che al ponentino Speranza forse non sono chiari.
 
Il dpcm non l'ho ancora letto, ma ......delirio......probabilmente il suo ultimo atto.......
Questi fanno finta di non sapere che l'influenza vera arriverà adesso, con l'inverno,
perchè l'inverno inizia il 22 dicembre e SICURAMENTE - avremo l'ondata influenzale
fra gennaio e febbraio del prossimo anno, indipendentemente da quanto faremo a Natale.


Il governo blinda il Natale e va allo scontro con le Regioni imponendo il divieto di spostamento anche tra i Comuni per il 25 dicembre, Santo Stefano e Capodanno.


«Abbiamo evitato il lockdown generalizzato - sintetizza all’ora di cena il premier Giuseppe Conte spiegando il provvedimento -
ma ora non dobbiamo abbassare la guardia. Dobbiamo scongiurare una terza ondata che potrebbe arrivare già a gennaio e non essere meno violenta della prima».

E’ una misura “ingiustificata» rispondono i presidenti in rivolta, secondo i quali si crea una disparità di trattamento tra chi abita in una grande città
e i milioni di italiani che vivono invece nei piccoli comuni.
Ma lo scontro è anche nel Pd, con 25 senatori che chiedono al premier di rivedere le «misure sbagliate».


Qualche deroga sarà però concessa, anche alla luce del parere del Comitato tecnico scientifico secondo il quale,
proprio in considerazione della differenza di dimensioni tra città metropolitane e comuni minori,
vanno comunque garantiti per le realtà più piccole gli spostamenti «per situazioni di necessità e per la fruizione dei servizi necessari»,
a partire dal non lasciare gli anziani da soli.

Lo stesso Conte conferma che tra i motivi che rientrano nello «stato di necessità» c’è l’assistenza alle persona non autosufficienti,
così come sarà possibile sempre rientrare non solo alla propria residenza
ma anche nel luogo «dove si abita con continuità», una formula per consentire il ricongiungimento delle coppie conviventi.



Il decreto legge ’cornicè, già in vigore, e il Dpcm valido dal 4 dicembre fino al 15 gennaio,
contengono tutte le restrizioni già annunciate nei giorni scorsi e nessuna delle ’concessionì che erano state ipotizzate o chieste dai governatori.

Niente centri commerciali aperti nei fine settimana e nei festivi, ristoranti chiusi la sera, niente sci fino al 7 gennaio, quarantena per chi viene dall’estero.

Ma è sulle misure previste dal 21 dicembre al 6 gennaio che si è acceso lo scontro più duro.

Chi va all’estero dovrà poi rimanere due settimane in quarantena,
chi decide di passare l’ultimo dell’anno in albergo dovrà cenere in camera
ma soprattutto non ci si potrà muovere dal proprio Comune a Natale, Santo Stefano e Capodanno,
giorno questo in cui anzi il coprifuoco sarà posticipato dalle 5 alle 7.

Unica concessione, l’apertura dei ristoranti a pranzo il 25 e 26 dicembre e il 1 gennaio, anche se il divieto di muoversi sarà comunque un ostacolo.


«C’è stupore e rammarico per il mancato confronto», attaccano le Regioni sottolineando che il metodo utilizzato dal governo
“contrasta con lo spirito di legale collaborazione» tra istituzioni e impedisce di arrivare a
«soluzioni più idonee per contemperare le misure di contenimento e il contesto di relazioni familiari e sociali tipiche» del Natale.

I governatori criticano anche il fatto che né nel decreto legge né nel Dpcm si faccia riferimento ai ristori promessi per le attività costrette a chiudere.

Il divieto di andare da un comune all’altro è una “limitazione ingiustificata e lunare» dice Attilio Fontana
mentre Luca Zaia chiede «quale tecnico sanitario abbia avallato una cosa del genere».

E se il presidente della Liguria Giovanni Toti definisce quello del governo un comportamento «scorretto” che «mortifica i sacrifici dei cittadini»,
quello della Valle d’Aosta Erik Lavevaz parla di una misura «iniqua»
e Massimiliano Fedriga di «disparità di trattamento» tra chi abita in una grande città e chi invece nei piccoli comuni.


«Il governo non conosce l’Italia e i suoi ottomila comuni e divide le famiglie. Un conto è abitare a Milano o Roma,
un altro è essere residente dei 5.495 comuni che hanno meno di 5mila abitanti e che spesso hanno figli e genitori,
nonni e nipoti, divisi da una manciata di chilometri».

Ai governatori risponde Boccia ribandendo che coprifuoco e limitazione alla mobilità sono punti “inamovibili”.


Una crepa si apre però anche nel governo.

Le ministre di Italia Viva Teresa Bellanova ed Elena Bonetti avrebbero chiesto che il verbale del Cdm
registri la loro netta contrarietà alla misura e 25 senatori del Pd, molti vicini all’ex leader Matteo Renzi
, chiedono di modificare la norma rendendo possibili i ricongiungimenti familiari a Natale.

E’ una misura «sbagliata” dice il capogruppo Andrea Marcucci, rivolgendosi direttamente al premier.
 
Svegliarsi, che è ora. Basta con le limitazioni alla LIBERTA'.
Il mio destino lo decido io.


Continua a far discutere il divieto di spostamento tra Comuni a Natale, Santo Stefano e Capodanno (1 gennaio),
contenuto nel decreto legge approvato nella notte dal Consiglio dei ministri.

«Questo provvedimento deve essere eliminato»: è questa, in sostanza, la richiesta avanzata dalle Regioni all’Esecutivo.

«Abbiamo ribadito come questa scelta crei una disparità di trattamento tra chi abita in grandi città e chi invece in piccoli comuni
– ha sottolineato il presidente Attilio Fontana -. Queste limitazioni creano non poche difficoltà a tanti cittadini
che si trovano nell’impossibilità di vedere parenti e incontrare nonni o genitori anziani.
Esistono infatti situazioni di parenti che si trovano divisi da una linea di confine, pur trovandosi a 500 metri di distanza».


I governatori hanno quindi chiesto al premier Giuseppe Conte di rivedere il divieto.

«Conte ha detto che valuterà l’approvazione di Faq che forniscano un’interpretazione più lasca della norma,
ma credo che così si crei ulteriore confusione.
Abbiamo proposto quindi di valutare l’approvazione in Parlamento di un emendamento che modifichi il decreto legge.
Si deve eliminare questa sostanziale e ingiustificata limitazione alla vita dei cittadini».




Nel corso della conferenza stampa convocata questa sera al Pirellone (giovedì 3 dicembre)
il governatore lombardo è anche intervenuto in merito alla possibilità che la Lombardia diventi zona gialla prima di Natale.

«Dovrebbe essere un passaggio automatico. Se i numeri continueranno a essere quelli degli ultimi giorni dovremmo passare nella zona gialla l’11 dicembre,
giorno in cui saranno trascorse le due settimane di stabilizzazione dei dati epidemiologici.
È un passaggio automatico, che però deve essere concretizzato da un provvedimento firmato dal Ministro della Salute».
 
Natale blindato: Una discriminazione geografica e delle nostre tradizioni.

Non usa mezzi termini il numero uno di Villa Locatelli Claudio Usuelli per commentare l’approvazione, avvenuta questa notte,
del decreto legge che di fatto impedisce lo spostamento tra Comuni il 25 e il 26 dicembre e il primo gennaio, mentre lo consente il 24 dicembre, Vigilia di Natale.

In altre parole cenone della Vigilia, (che da noi non è certo una consuetudine consolidata) sì e pranzo di Natale con chi si ama no?
Il presidente della Provincia di Lecco furente, proprio non ci sta.


“Prendo atto delle disposizioni urgenti contenute nel recente decreto legge per fronteggiare i rischi sanitari connessi alla diffusione del Covid-19.

Allo stesso tempo però non posso esimermi dal sottolineare che il decreto legge introduce una disparità
e una discriminazione territoriale e geografica, in quanto le tradizioni nei festeggiamenti del Natale sono diverse a seconda delle zone del Paese.

In alcune zone d’Italia il Natale si festeggia alla vigilia, giorno in cui, secondo il decreto, ci si può spostare all’interno della propria regione;

in altre zone, tra cui le nostre, il Natale si festeggia il 25 dicembre, giorno in cui è vietato ogni spostamento tra comuni.

In pratica, vengono salvaguardate le abitudini e le tradizioni di chi festeggia il Natale alla vigilia, non quelle di chi lo festeggia il 25 dicembre”.




“Inoltre, se uno ha la ‘fortuna’ di avere i propri cari in un grande comune o città può tranquillamente fargli visita a Natale,

mentre chi abita in piccoli comuni come i nostri e ha i propri cari in altri comuni non potrà incontrarli.

Ricordo, ad esempio, che la Lombardia ha 1500 comuni, la maggior parte dei quali di piccole dimensioni.

Infine, curioso il fatto che per il 31 dicembre non sono previste limitazioni,
con buona pace dei territori abituati a festeggiamenti ben adeguati all’occasione”.




Anche il sindaco di Pescate Dante de Capitani ha messo l’accento sulle contraddizioni e sulle presunte…. discriminazioni


Secondo il decreto legge 158 di oggi, art 1 punto 2, nel giorno di Natale non ci si può spostare tra comuni diversi. Quindi chi fa il cenone di Natale alla vigilia può uscire anche dal proprio comune, mentre chi fa il pranzo di Natale (tradizione nostra) no. Ma si possono fare ste discriminazioni sulle tradizioni?
 
Tenete presente che un Decreto Legge deve essere votato e convertito in Legge oppure decadere
entro 60 giorni dalla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.

60 giorni saranno il 1 febbraio.............

Noi staremo chiusi in casa a Natale ed il decreto non verrà convertito in Legge.......Buffoni.
 

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