Val
Torniamo alla LIRA
Due quesiti interessanti potrebbero essere questi.
Primo: l’euro è stata una bella pensata?
Secondo: cui prodest?
Quanto al primo interrogativo, la risposta la forniscono almeno sei premi Nobel per l’economia
(da Paul Krugman a Milton Friedman, da Amartya Sen a Joseph Stiglitz, da James Mirrlees a Christopher Pissarides)
i quali, unanimemente, ritengono la moneta unica un artificio erroneo o foriero di instabilità.
Amartya Sen lo ha bollato così: “L’euro è stato un’idea orribile. Lo penso da tempo. Un errore che ha messo l’economia europea sulla strada sbagliata”.
Il professor Bagnai, nel suo libro “Il tramonto dell’euro”, scrive di una “catastrofe annunciata” e aggiunge:
“Gli economisti, insomma, erano piuttosto scettici (sulla moneta unica, ndr), ma i politici hanno scelto l’euro”.
Quanto alla seconda domanda (a chi giova, davvero?), il responso, stando agli effetti sull’economia reale, è a portata delle orecchie di tutti:
di sicuro, non ne hanno beneficiato i cittadini europei.
Nel 2016 il Telegraph definì l’euro una “macchina per l’impoverimento dei popoli”, sottolineando l’incremento percentuale di indigenti in molti Stati, successivo alla sua adozione.
Ad esser generosi, si potrebbe dire che l’euro ha favorito pochissimi paesi del centro o nord Europa e penalizzato tutti gli altri.
Nondimeno, un terzo quesito ci consente di legare il primo al secondo.
Posto che l’euro, così come concepito e realizzato, non funziona nel creare benessere, crescita e prosperità,
dobbiamo considerarlo un errore in buona fede, oppure uno sbaglio lucidamente voluto?
Propendiamo per la seconda ipotesi.
È un deliberato “scarabocchio”, con l’obbiettivo di mettere i paesi aderenti di fronte al fatto compiuto
e a un’unica narrazione risolutiva: secondo la quale, solo avanzando verso l’unione politica, fiscale e bancaria
sarebbe possibile rimediare ai guasti evidenti prodotti dalla moneta unica.
Ottenendo così dai popoli, obtorto collo, quell’assenso agli Stati Uniti d’Europa che essi non avrebbero mai dato prima di finire nella ragnatela di Maastricht.
Per concludere, l’euro non è nient’altro che un metodo, uno strumento, uno stratagemma.
E non solo non è un pastrocchio, ma è addirittura, da un certo punto di vista, un capolavoro.
Esso ha giovato, sta giovando, a tutti coloro che volevano una “fusione fredda” delle Nazioni europee;
pur non essendo, tale operazione “alchemica”, né un desiderio né tantomeno una priorità dei cittadini del vecchio continente.
Nessuno ha sintetizzato l’intera operazione meglio di Romano Prodi quando ebbe a dire:
“Sono sicuro che l’euro ci obbligherà a introdurre un nuovo set di strumenti di politica economica.
È politicamente impossibile proporre ciò ora. Ma un giorno ci sarà una crisi e nuovi strumenti saranno creati”.
Tu chiamala, se vuoi, democrazia.
Primo: l’euro è stata una bella pensata?
Secondo: cui prodest?
Quanto al primo interrogativo, la risposta la forniscono almeno sei premi Nobel per l’economia
(da Paul Krugman a Milton Friedman, da Amartya Sen a Joseph Stiglitz, da James Mirrlees a Christopher Pissarides)
i quali, unanimemente, ritengono la moneta unica un artificio erroneo o foriero di instabilità.
Amartya Sen lo ha bollato così: “L’euro è stato un’idea orribile. Lo penso da tempo. Un errore che ha messo l’economia europea sulla strada sbagliata”.
Il professor Bagnai, nel suo libro “Il tramonto dell’euro”, scrive di una “catastrofe annunciata” e aggiunge:
“Gli economisti, insomma, erano piuttosto scettici (sulla moneta unica, ndr), ma i politici hanno scelto l’euro”.
Quanto alla seconda domanda (a chi giova, davvero?), il responso, stando agli effetti sull’economia reale, è a portata delle orecchie di tutti:
di sicuro, non ne hanno beneficiato i cittadini europei.
Nel 2016 il Telegraph definì l’euro una “macchina per l’impoverimento dei popoli”, sottolineando l’incremento percentuale di indigenti in molti Stati, successivo alla sua adozione.
Ad esser generosi, si potrebbe dire che l’euro ha favorito pochissimi paesi del centro o nord Europa e penalizzato tutti gli altri.
Nondimeno, un terzo quesito ci consente di legare il primo al secondo.
Posto che l’euro, così come concepito e realizzato, non funziona nel creare benessere, crescita e prosperità,
dobbiamo considerarlo un errore in buona fede, oppure uno sbaglio lucidamente voluto?
Propendiamo per la seconda ipotesi.
È un deliberato “scarabocchio”, con l’obbiettivo di mettere i paesi aderenti di fronte al fatto compiuto
e a un’unica narrazione risolutiva: secondo la quale, solo avanzando verso l’unione politica, fiscale e bancaria
sarebbe possibile rimediare ai guasti evidenti prodotti dalla moneta unica.
Ottenendo così dai popoli, obtorto collo, quell’assenso agli Stati Uniti d’Europa che essi non avrebbero mai dato prima di finire nella ragnatela di Maastricht.
Per concludere, l’euro non è nient’altro che un metodo, uno strumento, uno stratagemma.
E non solo non è un pastrocchio, ma è addirittura, da un certo punto di vista, un capolavoro.
Esso ha giovato, sta giovando, a tutti coloro che volevano una “fusione fredda” delle Nazioni europee;
pur non essendo, tale operazione “alchemica”, né un desiderio né tantomeno una priorità dei cittadini del vecchio continente.
Nessuno ha sintetizzato l’intera operazione meglio di Romano Prodi quando ebbe a dire:
“Sono sicuro che l’euro ci obbligherà a introdurre un nuovo set di strumenti di politica economica.
È politicamente impossibile proporre ciò ora. Ma un giorno ci sarà una crisi e nuovi strumenti saranno creati”.
Tu chiamala, se vuoi, democrazia.