Chi acquista i ribassi? Chi ha cavalcato poco o nulla il rialzo
Di Massimo Brambilla
06/06/2009 6.00
Le ragioni che spingono gli investitori a incrementare le posizioni in borsa sono attualmente più di ordine emotivo che oggettivo, visto che il recupero delle quotazioni ha risollevato il rapporto con gli utili attesi (p/e, o price/earning) dalla zona di sensibile sottovalutazione in cui era caduto nell’autunno-inverno scorso verso il valore medio mantenuto dall’estate del 2006 a quella del 2008 (attualmente il p/e atteso per l’S&P500 è pari infatti a 15,88 rispetto al valore medio di 16,8 registrato nel periodo indicato): l’attuale spinta emotiva deriva quindi dal fatto che nessuno vuole perdersi ulteriori rialzi dopo aver assistito al prodigioso rally primaverile; e siccome non passa giorno senza sentire che il peggio della crisi economico-finanziaria è alle spalle ognuno approfitta delle discese all’interno di ogni seduta per passare all’acquisto, disposto a sopportare eventuali correzioni che possono intervenire nel breve termine impedendo di fatto l’inserirsi della correzione stessa, per altro opportuna.
Il forte recupero di borsa, che come tutti sanno anticipa di almeno sei mesi la ripresa del ciclo economico, sta poi alimentando la convinzione dei consumatori e delle aziende (già beneficiate dagli ordini relativi al ripristino delle scorte) che il peggio sia alle spalle, sostenendo i miglioramenti degli indici di fiducia macroeconomici che guardano al futuro. Tutto ciò ha favorito il rapido rientro della percezione del rischio da parte degli investitori (ben sottolineata dal ridimensionamento del Vix per quanto riguarda Wall Street e dei Credit default swap per quanto riguarda le obbligazioni societarie, nonché dalla protratta debolezza del dollaro dopo aver svolto il solito ruolo di moneta rifugio nella fasi più incerte), facendo progressivamente ritorno sui mercati azionari e su quelli delle materie prime (veri protagonisti della settimana appena conclusa) contenti di abbandonare i miseri ritorni offerti dagli strumenti di liquidità e parzialmente di quelli un po’ meno miseri, ma pur sempre bassissimi, corrisposti dai titoli di stato a più lunga scadenza. Su questi ultimi incombe tra l’altro un maggior rischio di discesa dei prezzi, dove le obbligazioni governative europee e soprattutto i T-Bond americani ne hanno già avuto un chiaro assaggio a partire da metà maggio, a causa sia dei debiti pubblici ben più elevati rispetto al 2008 e sia delle possibili spinte inflative causate dall’eccezionale dose di liquidità introdotta dalle banche centrali per fronteggiare la crisi creditizia, anche se Fed e Bce tendono a escludere questa possibilità sentendosi perfettamente in grado di ritirarla prontamente dal mercato ai primi segnali di ripresa.
Circolo virtuoso? La speranza è naturalmente che questo circolo virtuoso capace di autoalimentarsi non venga smentito da una falsa partenza nell’uscita dalla crisi economico-finanziaria, visto che attualmente i mercati azionari scontano una figura a V o al massimo a U nel processo di ripresa: nel primo caso i listini entro breve tempo sarebbero pronti a ripartire, magari dopo una veloce correzione o un andamento laterale attorno ai livelli di oggi; le prospettive degli utili aziendali si adeguerebbero rapidamente verso l’alto seguite dalle quotazioni borsistiche, mantenendo quindi il rapporto prezzo/utili non lontano dai valori medi sostenibili nel lungo periodo (rilavabili attorno a 16-18 e suscettibili di aumento in presenza di spinte dell’inflazione).
Nel secondo caso l’andamento contrastante degli indicatori macroeconomici e dei bilanci aziendali dei prossimi mesi imporrebbe una correzione più incisiva, senza che gli indici cedano oltre la metà della strada recuperata dal minimo di marzo: in questo scenario la situazione si fa più delicata, perché man mano che si dovesse avvicinare la metà strada di ritracciamento del recupero primaverile le vendite si farebbero più copiose (inizialmente i listini scenderebbero infatti a fatica, per allungare progressivamente il passo) rischiando di infrangere la fiducia dei numerosi investitori che hanno acquistato in prossimità dei massimi di periodo o qualche punto percentuale più in basso; quest’altra faccia dell’emotività potrebbe arrivare a sancire un’estensione della discesa i cui effetti sarebbero analoghi a quella di una ripresa a W dell’economia, che contempla una falsa partenza prima di trovare la giusta strada. (riproduzione riservata)
Logico e molto interessante