Il saluto romano, il gesto classico del fascismo,
esce malconcio dall'udienza delle Sezioni Unite della Cassazione
che ieri venivano chiamate a dire una parola definitiva: reato o non reato?
Dopo un andirivieni di assoluzioni e di condanne,
il massimo organo della giustizia italiana doveva dettare la linea a tutti i tribunali del paese,
alle prese con adunate di ultradestra in cui il saluto a braccia tese e l'appello «Presente!» fanno parte dell'iconografia inevitabile.
La scelta delle Sezioni Unite non accontenta il mondo della sinistra e dell'Anpi
che vedono ridimensionata la portata del delitto di nostalgia.
Che il reato sia depotenziato, e d'ora in avanti un po' più difficile da contestare, appare inevitabile:
tant'è vero la Cassazione annulla le condanne degli otto estremisti milanesi
che dopo essere stati assolti in primo grado erano stati condannati in appello,
ennesima prova dell'incertezza giuridica che avvolge tutta la materia.
Gli otto dovranno venire processati di nuovo per la commemorazione nel 2016 dello studente Sergio Ramelli, ucciso nel 1975.
Reato in ogni caso prescritto.
Ma soprattutto si stabilisce che non potranno venire condannati, come era avvenuto, per
«manifestazione proprie di organizzazioni che istighino all'odio razziale», in base alla legge Mancino del 1993,
ma eventualmente solo per apologia del fascismo, reato previsto dalla legge Scelba del 1952.
E questo restringe gli spazi di condanna,
perché la stessa legge Scelba prevede che i saluti romani e gli altri riti fascisti
per essere punibili vengano accompagnati dal rischio di ricostituzione del partito fascista.
Un rischio, precisano ieri le Sezioni Unite, non generico e astratto, ma «concreto»:
e per questo difficile da provare,
tant'è vero che molti dei processi che vedevano contestata solo la legge Scelba
sono finiti in questi anni con l'assoluzione degli imputati.
Per questo le Procure avevano in questi anni preferito contestare la violazione della legge Mancino,
che può portare alla condanna anche in caso di «pericolo astratto».
Invece la Corte presieduta da Margherita Cassano sceglie un'altra strada.
Non manda in soffitta la legge Scelba, anzi la privilegia.
Il saluto romano è apologia di fascismo, non istigazione all'odio.
Il reato di apologia del fascismo è previsto dalla famosa legge Scelba del 1952
e punisce con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque fa propaganda per la costituzione di una associazione,
di un movimento o di un gruppo avente le caratteristiche e perseguente le finalità del disciolto partito fascista.
Alla stessa pena soggiace chi pubblicamente esalta esponenti, princìpi, fatti
o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche.