Davanti ad episodi di questa tipologia,
cioè davanti a fatti di sangue che sembrano sfociare dal nulla,
che apparentemente non sono preceduti da avvisaglie
e i cui protagonisti vengono descritti quali persone «normali», «tranquille»,
così come le loro vite e abitudini, siamo sopraffatti da un senso di angoscia
che ci induce ad andare alla ricerca forsennata di una spiegazione razionale c
he possa in qualche modo rassicurarci,
forse in riferimento al pericolo che possa accadere anche a noi qualcosa di simile,
forse in relazione alla natura umana,
all'abisso che si cela dietro la superficie immobile delle nostre esistenze, un abisso che a volte intravediamo.
Un abisso che produce vertigine e che si palesa in questi fatti di cronaca,
di cui leggiamo quotidianamente, e che talvolta non possiamo ignorare.
Ci poniamo delle inevitabili domande, ci sentiamo smarriti.
La soluzione più facile allora diventa quella di attribuire ogni orrore di cui l'essere umano si fa autore
ad una entità esterna, nemica, cattiva, il diavolo appunto.
Questo non placa le nostre paure, tuttavia ci conforta, lenisce la nostra ansia.
Così ci illudiamo che quel male non alberghi dentro di noi o dentro chi ci sta accanto,
nel nostro animo o nell'animo di chi amiamo, bensì che stia al di fuori di noi, che non ci appartenga.
Ritengo che quel male che conduce a fare del male
sia un malessere profondissimo che l'individuo soffoca, non affronta, reprime,
ricaccia nei meandri di se stesso, e quel malessere qualche volta, non trovando sfiatatoi, si accumula,
cresce e si trasforma in male verso se stessi e verso gli altri. Esso esplode.
Ed ecco che un padre può sterminare la sua famiglia,
che una mamma ventenne può partorire e soffocare i due neonati,
che un figlio può ammazzare i genitori e il fratellino e così via.
Non è stato il demonio a compiere questi crimini.
Sono stati esseri umani come noi.