In questi tempi duri per noi, leggendo qua e la nei forum balza evidente la proposta (il più delle volte dettata dalla rabbia del momento) che molti avanzano riguardante l'esportazione dei capitali all'estero. Credo che su ciò debba essere fatta un pò di chiarezza al fine di rientrare in un'ottica di sano realismo evidenziando soltanto ALCUNI dei problemi che una tale decisione porta con sè.
In primis penso sia necessario limitare il discorso a persone, come credo la maggior parte di noi che popoliamo quotidianamente il forum, c.d "normali"; persone fisiche che studiano, lavorano, sono pensionati e vivono (chi più chi meno) una situazione di ordinarietà.
Ovvio che c'è sempre la possibilità di andare a costituire in via del tutto lecita presso paesi esotici (i c.d. paradisi fiscali) società offshore; ma questo in pratica ben pochi lo possono fare e si tratta comunque di persone non residenti in italia, che muovono milioni e milioni di euro, abituate a viaggiare di continuo e con giri di affari e interessi - leciti e non - del tutto estranei alla nostra quotidianità; persone che in ogni caso possono vantare in quei luoghi agganci di una certa importanza e, soprattutto, di una certa fiducia per cui all'evenienza sanno come "pararsi il culo".
Per noi gente comune tutto quello che si può fare - CHIARAMENTE RESTANDO NELL'ALVEO DELLA LEGALITA' - è trasferire i soldi presso istituti di credito che si trovano in paesi che si pensa godano di un trattamento fiscale meno pesante rispetto al nostro (vedo che molti di voi parlano della svizzera). Ebbene è necessario sapere che una tale soluzione nella stragrande maggioranza dei casi è destinata a risolversi in un rimedio peggiore del male. Anche ammesso e non concesso che si riesca a trovare un tale paese (beninteso al di fuori dell'unione europea) le nostre leggi fiscali comunque non ti danno la possibilità di "farla franca" stante il vigore del principio della world wide taxation che l'Italia, così come la maggior parte dei Paesi occidentali, ha adottato nel proprio diritto tributario. Principio molto semplice in forza del quale i redditi del cittadino residente sono soggetti a tassazione diretta dal fisco italiano indipendentemente dal luogo in cui siano stati prodotti. Principio da integrarsi con quanto stabilito dalle varie convenzioni internazionali stipulate dall'italia con altri paesi e volte ad evitare la c.d. "doppia imposizione"
Pertanto eventuali benefici fiscali ritraibili dalle somme comunque impiegate o che si trovano presso altri paesi non eliminano l'obbligo del residente di compilare la dichiarazione dei redditi italiana (modello unico, modulo RW se non erro) al fine di "integrare" quanto pagato all'estero con ulteriori somme da versare al fisco italiano secondo le sue proprie leggi.
Non resta che sperare di eludere i controlli del fisco; ciò comporta però difficoltà e rischi enormi:se sposti i soldi tramite le banche italiane è noto che le stesse sono obbligate a segnalare alle competenti autorità tali movimenti, ciò che aumenta in modo esponenziale il rischi di essere scovato; se li porti materialmente all'estero la legge ti impone un limite di 10.000 € superato il quale devi dichiararlo.
Peraltro, La definizione di “denaro contante” è estesa, oltre alle banconote e alle monete metalliche aventi corso legale, a tutti gli strumenti di pagamento negoziabili.
Unica scappatoia, penserete voi, è il trasferimento all'estero anche della residenza. Ora, a parte che il concetto di residenza fiscale, con le sue stringenti presunzioni, è ben diverso dal concetto civilistico, chi di noi persone "normali" potrebbe seriamente prendere in considerazione una idea del genere con tutto ciò che essa comporta?
E comunque anche in questo caso gli obblighi fiscali verso l'italia permangono per tutti i redditi comunque prodotti nel territorio italiano (lavoro, case, rendite,terreni, ecc.).
Appare evidente dunque che l'idea di portare i propri soldi fuori restando nell'ambito della legalità sia destinata quasi sempre a restare una pura utopia.
Perdonate la lunghezza.