Titoli di Stato Italia Trading Titoli di Stato IV° (Gennaio 2012 - Dicembre 2012) (1 Viewer)

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Massimo Odiot

Giovane Povero
Ieri pomeriggio l'ho passato a colloquiare serenamente con il direttore generale della mia banca e mi ha confermato che dalla sua trentennale esperienza non aveva mai visto movimenti così artificiali sui book dei tds per alterarne le quotazioni...ogni tanto spendere un pomeriggio per rinverdire i rapporti con i piani alti della propria banca fa bene.

Auguro a tutti voi e alle vostre famiglie una serena Pasqua !!
Purtroppo io lavorerò sia oggi che domani...e poi criticano i piccoli imprenditori, i miei aiutanti e/o collaboratori sono a casa beati a godersi i giorni di festa ed io invece lavoro...

Ciao Baro, una precisazione: ma i movimenti sono volti a tenere basse le quotazioni, o mantenerle artificiosamente alte?!? :)
Buona Pasqua, da un altro dei forumisti che la passerà a lavorare ;)
 

il carcarlo

only etf
un carcarsaluto a tutti e aggiungo pure una buona carcarpasqua, sperando che le settimane a venire siano verdi come l' erba d' irlanda:D
 

ottimista 2011

forza magico torino
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La certezza di questa affermazione risiede nel meccanismo anomalo di circolazione dei capitali nei paesi dell’eurozona e dal modo utilizzato dai tecnocrati e dai politici europei per mantenere in vita questo schema ampiamente squilibrato e disfunzionale: alla base di tutta la piramide del debito c’è soltanto la capacità dei cittadini europei di procurarsi reddito da soli offrendosi ai mercati a qualunque prezzo e la loro volontà di continuare a pagare le tasse. Nel caso in cui uno di questi due fattori o entrambi vengano meno, come accade oggi che siamo nel pieno di una spirale recessiva, l’immenso edificio d’argilla è costretto ad implodere miseramente, perché non esiste nessuna entità terza economica o politica (quello che un tempo chiamavamo stato o governo federale) che possa compensare e alleggerire i sacrifici dei singoli cittadini, creando una barriera e un filtro fra questi ultimi e il mercato.





Nel precedente articolo abbiamo parlato di ciò che accade o potrebbe accadere nelle nazioni sovrane come Stati Uniti, Gran Bretagna, Argentina, Svezia, e adesso è venuto il momento di trattare il caso più spinoso e inquietante dell’economia mondiale: l’eurozona. Avrete notato che finora non abbiamo ancora utilizzato parole come spread, default, mercati, rating, rischio di fallimento, contagio finanziario perché una nazione sovrana non può mai fallire, dato che come abbiamo detto può ripagare tranquillamente tutti i suoi debiti denominati con la sua valuta pigiando i tasti di un computer e creando dal nulla tutta la quantità di denaro che vuole. E nessuno speculatore o investitore di borsa sano di mente si metterebbe a scommettere su un qualcosa che non può concretamente avvenire, mantenendo ad oltranza una strategia di vendita al ribasso dei titoli di stato di una nazione sovrana, soprattutto se quest’ultima non ha eccedenze di indebitamento estero denominati in una valuta straniera. Morale della favola per i mercati questi titoli di stato sovrano sono investimenti sicuri al 100%, a prescindere dalle valutazioni di merito delle società di rating.




Come abbiamo visto nel caso di uno stato sovrano, per esempio gli Stati Uniti, il debito pubblico è soltanto una cifra che lampeggia sul computer della banca centrale, ma in realtà non significa niente e potrebbe anche essere tranquillamente tolto dalle voci del bilancio ufficiale dello stato. Nel caso dell’Italia e dei paesi dell’eurozona invece il debito pubblico è una grandezza di primaria importanza perché lo stato non ha la certezza di poterlo ripagare essendo denominato in una moneta straniera (l’euro) e il governo deve assicurare continuamente tutti gli investitori che sarà in grado di rimborsarlo fino all’ultimo centesimo, tramite il prelievo fiscale.




Ma è essenziale capire fin da subito che la scelta di rendere il debito pubblico un problema per lo stato non è assoluta o obbligatoria o universale, e non ha alcun carattere di scientificità o correttezza tecnica e contabile, dato che nessun economista o tecnocrate è riuscito mai a dimostrare con dati certi che rinunciare ad un’arma di politica economica e monetaria così straordinaria e potente come il debito pubblico sia un bene per la nazione. Anzi, visto i disastri attuali dell’eurozona che si trova continuamente sotto il fuoco incrociato dei mercati, la scelta si è rivelata più che mai infausta e infelice. Ad ogni modo questa decisione è volontaria: lo stato italiano, per mezzo della sua classe dirigente politica ed economica, ha scelto autonomamente e deliberatamente di privarsi della sua sovranità monetaria e della capacità di creare soldi dal nulla quando ha deciso di entrare nell’eurozona.




Dalla data di adesione definitiva all’area euro, nel 2002, lo stato italiano non può più creare soldi dal nulla per finanziare la sua spesa pubblica secondo le necessità del momento, ma è costretto prima di spendere ad attendere l’incasso delle tasse o a chiedere in prestito questi soldi alle banche private a qualsiasi tasso di interesse imposto da queste ultime. In un solo colpo è stato in pratica azzerato qualunque spazio di manovra economica e indipendenza monetaria del governo nazionale, che come abbiamo sottolineato più volte pone parecchi limiti sulla reale presenza di una qualsiasi forma di democrazia compiuta in Italia: se uno stato non può più spendere all’occorrenza per il benessere dei suoi cittadini, la tutela del suo territorio, il rilancio della sua economia, la difesa dei diritti costituzionali, ma fa dipendere queste decisioni da altri (contribuenti, banche) non ha più le caratteristiche politiche e giuridiche di una democrazia, ma è un’altra cosa. E i nomi per definire quest’altra cosa abbondano e vanno dalla dittatura bancaria al fascismo finanziario, fino alla truffa legalizzata.




Ma entriamo nei dettagli dell’imbroglio e vediamo cosa accade nella pratica in Italia. In una ipotetica situazione di pareggio di bilancio, la capacità di spesa dello stato è limitata dai soldi raccolti tramite il prelievo fiscale dai suoi cittadini. Tuttavia siccome i tempi di spesa del governo e quelli di incasso delle tasse sono differiti, l’Italia dovrà farsi finanziare nel frattempo dalle banche private, che in base ai loro requisiti e alle credenziali internazionali vengono di volta in volta autorizzate dal ministero delle finanze a partecipare alle aste primarie di collocamento dei titoli di stato. Per finanziare questa tipologia di spesa corrente, lo stato colloca generalmente titoli di debito a breve scadenza, come i BOT (Buoni Ordinari del Tesoro) a 1, 3, 6 mesi fino ad un anno. In questo primo giro di giostra lo stato corrisponde alle banche private un premio pari allo scarto di emissione: se lo stato piazza 2 miliardi di euro di BOT a tre mesi al rendimento del 2% significa che regala materialmente alle banche 40 milioni di euro prelevandoli dalle tasche dei cittadini. Moltiplicate questa cifra per tutte le emissioni di titoli a breve termine che si succedono durante l'anno e avrete chiara la dimensione del pacco dono confezionato per le banche.




Prima del 1992 e della firma dei trattati europei di Maastricht, quando lo stato italiano era ancora sovrano, il governo poteva finanziare la spesa corrente utilizzando lo scoperto del suo conto di deposito presso la Banca d’Italia, la banca centrale di emissione dello stato: non c’era nessuna regalia alle banche private, nessuna dipendenza. Tutti gli stati del mondo che hanno mantenuto intatta la loro sovranità monetaria, non gravano sulle spalle dei cittadini spese inutili e parassitarie come quelle descritte in precedenza, che sono dovute soltanto ad un semplice differimento fra il momento dell’uscita e quello dell’entrata monetaria, ma non implicano una reale condizione deficitaria e debitoria dello stato.




Ad ogni modo, a parte questa prima concessione del tutto gratuita alle banche e l’obbiettivo del pareggio di bilancio che sarà per molti motivi di carattere tecnico e procedurale difficile da raggiungere nella pratica, l’Italia ha già un suo debito pubblico pregresso di circa 2000 miliardi di euro, formato perlopiù da titoli di stato a medio e lungo termine (BTP, Buoni Pluriennali del Tesoro), che quando arrivano a scadenza devono essere rimborsati o rifinanziati, grazie all’intervento provvidenziale delle solite banche strategiche internazionali (sono venti in tutto, e i loro nomi li conosciamo bene da tempo). Queste banche strategiche avranno poi il compito di rivendere sul mercato secondario la parte dei titoli che non sono disposte a trattenere in proprio per limitare l’accentramento del rischio. Questo flusso di trasferimento dei titoli e del rischio arriva fino al cittadino privato, che decide di spostare una parte dei suoi risparmi nell’investimento sicuro (?) in titoli di stato recandosi presso la filiale della sua banca.




Come abbiamo già detto, lo stato italiano offre ai suoi creditori come unica garanzia di rimborso dei prestiti ricevuti la capacità di raccogliere un corrispondente quantitativo di tasse e indirettamente la disponibilità a mettere in vendita parte del suo enorme patrimonio pubblico per fare fronte ai propri impegni. Oltre a questi strumenti di inasprimento fiscale e riduzione della spesa e del patrimonio pubblico, non c’è altro che uno stato come l'Italia può fare per generare maggiori profitti sul suo territorio e ripagare i creditori. Più lo stato è efficiente nel settore tributario e nella lotta all’evasione fiscale, maggiori sono le opportunità di ricevere nuovi finanziamenti alle successive aste primarie di collocamento dei titoli, a prezzi ragionevoli. Quando questa peculiare funzione dello stato viene meno, si crea incertezza nei mercati e il rendimento richiesto per l’acquisto dei titoli e per la compensazione del rischio di investimento aumenta (il famoso spread, che misura il differenziale di rendimento fra i titoli italiani e quelli tedeschi).




Essendo completamente inerte dal punto di vista economico e monetario, lo stato italiano deve sperare che le condizioni per creare reddito, ricchezza e sviluppo all’interno dei suoi confini nazionali si formino da sole, spontaneamente, tramite accordi e investimenti privati, dato che maggior reddito privato significa maggiori entrate fiscali per lo stato. In un periodo di recessione economica come questo però diminuiscono i redditi, i consumi e gli investimenti e si riducono di conseguenza le entrate fiscali dello stato, che deve inventarsi sempre nuove tasse o tagli al patrimonio e alla spesa pubblica per sottrarre sia ricchezza dai cittadini che attività dai suoi bilanci da destinare unicamente al pagamento dei creditori.




Ovviamente questo processo di trasferimento non può durare all’infinito, perchè a meno di entrare casa per casa a pignorare le pentole e i materassi e di vendere il Colosseo, lo stato italiano non è in grado di prelevare in modo illimitato ricchezza ai suoi cittadini e al suo territorio. Unica via di salvezza per lo stato risulta che arrivi all’improvviso una nuova fase di crescita economica, che come vedremo dopo non si sa né da chi né da cosa sarà trainata. Malgrado le condizioni al contorno siano tutte sfavorevoli, i tecnocrati europei sono convinti per fede divina che prima o dopo questa crescita ci sarà. Punto.




Tuttavia dobbiamo sottolineare il primo grande paradosso della gestione dei titoli di debito di una nazione non sovrana: abbiamo detto infatti che le tasse servono a finanziare la spesa corrente e solo nel caso eccezionale in cui le entrate fiscali siano superiori alle uscite per spesa, questo avanzo primario straordinario può essere destinato al rimborso e alla riduzione del debito pregresso o strutturale. Quindi, a parte la limitata copertura dell’avanzo primario, cosa garantisce veramente la circolazione sui mercati dei titoli di stato a medio o lungo termine? Niente, assolutamente niente. Riprendendo il titolo di un famoso film si potrebbe dire “sotto il vestito chiamato BTP niente!”.




L’unica vera caratteristica finanziaria che giustifica l’investimento in titoli di stato italiani a scadenza pluriennale è la capacità del governo in carica di trovare sempre nuovi investitori intenzionati ad entrare nel circuito per ripagare gli investitori che sono già dentro l’enorme frullatore, che è molto più simile ad una ciclopica catena di Sant’Antonio, rispetto ad un reale investimento finanziario. Come è noto, in questi meccanismi truffaldini di circolazione del denaro i primi ad essere rimborsati in ordine di tempo potrebbero avere la possibilità di ottenere notevoli profitti mentre gli ultimi sono sempre quelli che rischiano di più e potrebbero andare incontro a grosse perdite, perché devono sperare che dopo di loro arrivino altri investitori a coprire le loro quote scoperte, in una spirale viziosa che si perpetua senza fine.




Non a caso, in questi giorni il nuovo primo ministro esattore e curatore fallimentare, nonché allibratore e truffatore, Mario Monti sta facendo una maratona da Wall Street a Seoul a Tokyo a Pechino, con la sua inseparabile valigetta in mano, per convincere gli investitori ad acquistare i suoi prodotti finanziari tarocchi e ad entrare nella catena di Sant’Antonio dei titoli di stato italiani, ricevendo in cambio molte strette di mano ma tanto scetticismo: vedete non tutti gli investitori sono stupidi come sembrano e capiscono spesso al volo per intuito, a naso, dove c’è puzza di truffa. Il professore Mario Monti sarà pure una persona rispettabile e seriosa, ma ciò non toglie che l’investimento che propone non ha neppure lontanamente le caratteristiche di un buon affare. Anzi. E’ una truffa in piena regola.




Quando uno fa un investimento crede nella capacità del beneficiario di utilizzare questi soldi in modo produttivo ed efficace per ricavarne un profitto. Se uno investe in una azienda, a meno che non lo fa per fini speculativi di breve termine, crede che quella azienda potenzierà la sua struttura, aumenterà le vendite, migliorerà le sue quotazioni internazionali. Se uno investe in uno stato, crede che lo stato in questione spenderà questi soldi per migliorare le infrastrutture, sostenere le aziende, aumentare la produzione interna, il turismo e le esportazioni e infine ripagare gli investitori che hanno creduto in quello stato. Ma quando uno investe in un stato solo per ripagare i vecchi investitori è chiaro che entra in un meccanismo perverso che è ai limiti della legalità ed in un altro contesto l’intermediario o l’allibratore, che in questo caso è lo stato italiano, sarebbe già stato incriminato per truffa finanziaria internazionale.




Questo tipo di struttura piramidale degli investimenti, in cui gli ultimi ad entrare nella catena sorreggono i primi, è identica al famigerato Schema Ponzi, che diede al suo inventore tanta fama ma anche parecchi anni di galera. Nello Schema Ponzi del sistema Italia i primi investitori in titoli di stato italiani possono avere elevati guadagni ma devono sperare che il governo italiano sia capace di trovare sempre nuove vittime disposte ad entrare nel circuito per pagare le loro quote, mentre nemmeno una parte minima di questi soldi che entrano ed escono dal gigantesco frullatore vanno allo stato italiano per finanziare qualcosa di concreto, reale, produttivo, che assicuri la formazione di una qualsiasi forma di reddito o profitto futuro.




L’ultimo caso famoso di utilizzo dello Schema Ponzi è quello scoperto dalla FBI americana nel 2008 messo in piedi dallo speculatore finanziario Bennie Madoff, che si è beccato 150 anni di galera, ma anche noi in Italia abbiamo avuto il nostro Madoff dei Parioli, che è riuscito ad ingannare e raggirare con la sua truffa parecchi ingenui investitori romani. Ma a ben vedere anche oggi Monti e tutta la sua cricca di tecnocrati europei e politicanti nostrani potrebbero tranquillamente allungare la lista dei criminali e truffatori, dato che l’intera impalcatura del debito pubblico dei paesi dell’eurozona è basata su un semplice ma evidente illecito finanziario, benchè legittimato da istituzioni sovranazionali come l’Unione Europea.




Riprendendo la patetica scenetta del professore Monti con la sua valigetta fra cinesi e coreani, ma voi ce li vedete il presidente americano Obama o il primo ministro inglese Cameron che vanno in Cina, in Corea, in Giappone per piazzare titoli di stato? Vendere carta straccia agli ultimi allocchi di turno? Al massimo Obama e Cameron si recano in questi luoghi esotici per stringere accordi commerciali e favorire l’espansione in quei mercati delle loro aziende nazionali, perché essendo governanti pubblici di nazioni sovrane, il loro ruolo attivo nell’economia è determinante per il rilancio del tessuto produttivo interno.




I titoli di stato sono per americani e inglesi un corollario, un grazioso dono per gli investitori, che hanno un porto sicuro verso cui dirottare i capitali. Mentre per noi italiani, i titoli di stato, la carta straccia che non produce nulla, rappresentano oggi il cuore pulsante della nostra economia. Chiudono aziende, gli operai sono per strada, si suicidano imprenditori, e cosa fa il professore Monti? Va in giro per il mondo per truffare alcuni investitori e continuare ad oltranza lo Schema Ponzi. Ma vi rendete conto a cosa si è ridotta nel giro di dieci anni una nazione che prima aveva un ruolo importante e strategico nell’economia mondiale?




Fra l’altro lo stato italiano non occupa neppure più la posizione di vertice della piramide dei pagamenti nello Schema Ponzi, ma è soltanto un semplice intermediario che si trova a metà della catena e la sua unica funzione è quella di tassare i cittadini, pagare i creditori e trovare sempre nuovi investitori, in un’attività frenetica e inarrestabile, che somiglia molto a quella di un enorme braccio meccanico che prende i soldi da una parte e li trasferisce nell’altra, senza mai fermarsi, ininterrottamente: chi entra nel gioco deve sapere ed essere consapevole che non esiste alcuna reale attività produttiva o economica che giustifichi il suo investimento, dato che lo stato italiano è solo un protagonista passivo e non attivo dell’intero processo produttivo ed economico nazionale. Chi intende entrare nella giostra si accomodi pure, ma poi non deve lamentarsi se viene disarcionato dal cavallino bianco, perché è evidente che nemmeno un centesimo dei suoi soldi andranno a finanziare qualcosa di reale, ma si tratta di pura speculazione finanziaria e lo stato non può garantire nulla, tranne il suo impegno a prolungare più possibile nel tempo la truffa.




Come sappiamo lo Schema Ponzi dei titoli di stato italiani si era interrotto a novembre scorso, perché era venuta meno la fiducia nel governo Berlusconi di prelevare sempre maggiori tasse ai cittadini e trovare nuovi investitori disposti a rischiare i propri capitali per entrare nella catena di Sant’Antonio. Ed è a questo punto che entra in gioco la banca centrale europea BCE, che è il nuovo soggetto giuridico e privato che si trova al vertice della piramide dei pagamenti, ovvero un ente indipendente ed autonomo a cui è stata volontariamente trasferita dagli stati dell’eurozona la capacità di creare soldi dal nulla, che un tempo apparteneva invece alle banche centrali dei singoli stati. La BCE crea soldi dal nulla, li presta alle banche che comprano titoli di stato e la catena può riprendere come se nulla fosse accaduto. Altro giro, altra corsa.




Per rafforzare l’intero processo recentemente un'altra entità sovranazionale di garanzia e tutela della truffa è stata inserita nello Schema Ponzi, dato che la BCE non aveva più intenzione di essere l’unico manovratore e artefice dell’inganno, addebitandosi poi tutte le colpe e i crimini commessi, ma anche le eventuali perdite. Con decisione unanime e quanto mai occulta è stato infatti istituito in fretta e furia il MES, il Meccanismo Europeo di Stabilità, che è una sorta di nuova banca privata e permanente che preleva i soldi dagli stati dell’eurozona e quindi in ultima istanza sempre dalle tasche dei cittadini, e li dirotta verso i paesi in cui la catena di Sant’Antonio del debito comincia a mostrare i primi cedimenti e scricchiolii.




In mancanza di nuovi investitori stranieri che continuano a ragion veduta a fuggire dall’eurozona, il MES, che si trova un gradino sotto per importanza alla BCE, è un modo come un altro per socializzare maggiormente le eventuali perdite e il rischio di implosione della piramide, senza ricorrere all’utilizzo degli eurobond tanto odiati dai tedeschi. Ma in ogni caso la sua funzione è identica a quella degli eurobond e serve soltanto a mantenere in piedi ancora per qualche anno la baracca caracollante dell’eurozona. Per l’Italia questo scherzetto si tradurrà in un ulteriore esborso di 125 miliardi di euro nell’arco di 5 anni, con un primo pagamento immediato di 14 miliardi di euro entro luglio 2012.




Buona fortuna professore Monti, perché chissà cosa dovrà inventarsi per prelevare questa ulteriore massa di soldi agli italiani, cercando di non fargli capire che i versamenti al MES serviranno eventualmente a ripagare soltanto i debiti pregressi che nessuno vuole più coprire, formando però un nuovo debito con un’entità oscura e inattaccabile come il MES, che rispetto ai semplici creditori privati la cui capacità di negoziazione è limitata avrà invece mano libera per disporre a proprio piacimento del patrimonio privato e pubblico degli italiani. Bisogna avere molta fantasia per spiegare agli schiavi che sono ancora persone libere e le catene di metallo luccicante sono solo un elegante orpello da mettere alle caviglie.




Ad ogni modo siccome alla base della piramide ci sono sempre i cittadini italiani e la loro capacità di pagare le tasse e crearsi reddito da soli tramite i circuiti privati del mercato del lavoro, lo stato italiano deve dimostrare nel frattempo agli investitori che sarà in grado sia di riscuotere le tasse che di mettere in condizione i cittadini di lavorare e crearsi il reddito necessario per pagare quantomeno le tasse. Il resto ovviamente non interessa, quello che faranno gli italiani per arrangiarsi in mezzo a questa bufera, i suicidi, la disperazione per arrivare a fine mese non è una faccenda per tecnici, che hanno come missione specifica quella di prosciugare ricchezza e incassare entrate fiscali. In mancanza di questa prova del fuoco, tutto il sistema, sebbene sostenuto ad oltranza dalla BCE, dal MES e dai tecnocrati europei, sarà destinato ad implodere su stesso, perché verrebbe meno la base della piramide del debito.




A questo punto è indispensabile prevedere per l’Italia una fase di crescita economica, che aumenti il reddito nazionale complessivo e quindi le entrate fiscali dello stato. Quando sentite parlare un qualsiasi politico, un sindacalista, un economista, un giornalista di “crescita”, “crescita economica”, “serve la crescita”, “abbiamo bisogno di crescita, crescita, crescita”, sappiate in anticipo che non intendono affatto una qualche forma di benessere diffuso nella società, ma soltanto una maggiore capacità dello stato di prelevare tasse ai cittadini e alle imprese per tenere in piedi lo Schema Ponzi. Se non funziona questa ricetta, anche loro saranno costretti presto o tardi a cambiare mestiere.




Ma vediamo in breve sintesi come l’Italia vuole o può perseguire questi programmi di crescita, secondo le illuminanti teorie del professore Monti. Uno stato non sovrano come l’Italia, come già sappiamo, non può utilizzare la leva della spesa pubblica per rilanciare la produzione e la domanda interna, quindi dovrà affidarsi solamente alla domanda esterna e al raggiungimento di un saldo positivo delle partite correnti, ovvero bisogna invertire la tendenza attuale e riportare le esportazioni sopra il livello delle importazioni. Cosa che non accade dal lontano 2002, guarda caso anno di ingresso dell’Italia nell’eurozona. Ma come può fare il professore Monti a raggiungere questo obiettivo in breve tempo? Cosa si può inventare per rendere più competitivi i prodotti italiani rispetto a quelli stranieri?




Lo stato italiano non può sostenere le sue aziende con investimenti, non può abbassare il carico fiscale, non può fornire sussidi ai produttori per tenere artificialmente bassi i prezzi (come fanno per esempio gli Stati Uniti con i loro agricoltori), quindi l’unico fattore su cui agire è il costo della manodopera: bisogna abbassare le tutele dei lavoratori (vedi articolo 18), in modo da aumentare la flessibilità, la mobilità e la concorrenza dei nuovi schiavi, che accetteranno salari più bassi pur di lavorare. Con i salari più bassi, i lavoratori comprano meno beni e servizi importati perché troppo costosi, gli imprenditori possono diminuire i prezzi di vendita dei prodotti nazionali mantenendo invariato il loro saggio di profitto, le esportazioni decollano e tutti i problemi dell’Italia sono risolti. Ma è davvero così?




No. Quando i tecnocrati europei, e Monti è un tecnocrate neoliberista nel senso più dispregiativo del termine, applicano con i paraocchi, ciecamente questo schema di lettura completamente sbagliato della realtà, commettono quasi sempre lo stesso errore di interpretazione dei processi economici, ragionando (?) secondo una sequenza meccanica e rigida di eventi: crisi, aumento disoccupazione, produzione ridotta, taglio dei salari e dei diritti dei lavoratori, imprenditori assumono, nuovo aumento della produzione, economia riparte. I tecnocrati neoliberisti si mettono cioè sempre dal lato dei produttori, dell’offerta, dei creditori, dei detentori della ricchezza e non analizzano mai l’altra metà della cielo, quello della domanda, dei lavoratori, dei consumatori, dei debitori. Non si chiedono mai chi potrà comprare questo nuovo eccesso di produzione, perché sono convinti in base ad un dogma, a una credenza religiosa, che una volta prodotta una certa quantità di merce esiste sempre un compratore disposto ad acquistare quel bene a qualsiasi prezzo richiesto dal produttore.




Ma vediamo allora chi dovrebbe comprare i nuovi prodotti italiani. I lavoratori nostrani abbiamo detto no perché sono tutti più poveri. La classe benestante ha in genere più tendenza ad accumulare ricchezza rispetto a consumare. Gli altri paesi dell’eurozona no, perché stanno seguendo tutti con i paraocchi lo stesso schema di Monti, cercando di diventare degli esportatori netti. Con i paesi emergenti, come Brasile, Cina, Russia, non si può competere perché sono tutte nazioni sovrane che possono utilizzare quanto vogliono la leva del debito pubblico per sostenere le loro imprese e possono in particolare svalutare continuamente la moneta nei confronti dell’euro, che come sappiamo è una moneta a tasso di cambio rigido che non può essere deprezzata nè dalle nazioni che la utilizzano nè dai normali aggiustamenti della bilancia dei pagamenti (unico caso al mondo). Quindi? Pregare e attendere il miracolo, perché i tecnocrati vanno avanti lo stesso a testa bassa, anche contro qualunque evidenza logica, mentre noi distratti da mille e più divagazioni non ci accorgiamo che lentamente ci stanno togliendo la terra da sotto i piedi lasciandoci nel baratro.




Quando sono messi alle strette dai dati e dagli andamenti economici che sono tutti al ribasso, i tecnocrati, i professori del nulla, blaterano di un possibile arrivo dei capitali stranieri, che dovrebbe fare ripartire gli investimenti in Italia, ma anche questo è un bluff, un trucco, perché se i nuovi investitori stranieri daranno salari ai lavoratori italiani per pagare le tasse, nel frattempo aumenteranno l’indebitamento complessivo con l’estero della nazione, perché porteranno via ricchezza, attività, profitti e capitale dall’Italia incrementando gli squilibri della bilancia dei pagamenti. Questo meccanismo, promosso da altri pazzi scatenati quali i funzionari del Fondo Monetario Internazionale con cui i tecnocrati europei vanno a braccetto, ha portato al fallimento e alla bancarotta durante gli anni ottanta e novanta di quasi tutti i paesi del Sudamerica, che sono stati poi costretti ad un frettoloso ritorno alla sovranità monetaria e al tasso flessibile di cambio della moneta per uscire dalla crisi.




Ma secondo voi questi professori non conoscono come funziona la bilancia dei pagamenti con l’estero? E non conoscono la storia dell’Argentina? No, conoscono benissimo sia l’una che l’altra faccenda e quindi devono agire soltanto sul fattore tempo. Devono fare più in fretta possibile per rastrellare ricchezza agli italiani e pagare i creditori internazionali più importanti che stanno all’inizio della catena e rappresentano i loro veri sponsor istituzionali, prima che venga scoperto definitivamente lo Schema Ponzi. Intanto che pagano, Monti e la sua cricca si adoperano per creare più confusione mediatica possibile per tenerci impegnati e non farci ragionare sulla truffa in corso.




Nonostante il supporto a distanza della BCE, i tecnocrati sanno che quando emergerà con chiarezza che la crescita in Italia è impossibile in queste condizioni, quando il deficit fiscale dell’Italia aumenterà invece di diminuire (come è già successo in Grecia, Spagna e Portogallo), gli ultimi ingenui investitori disposti ad entrare nella catena fuggiranno via a gambe levate e sarà il caos: bisognerà ricorrere al MES e al FMI per tenere a galla l’Italia, l’accesso al mercato internazionale dei capitali sarà impossibile per parecchi anni, si renderà necessario ricorrere alla ristrutturazione e rinegoziazione del debito pubblico italiano per sgonfiare la bolla speculativa in atto.




Fine della storia? Neanche per sogno. Il problema infatti non è soltanto di debito pubblico, ma risiede nel modo in cui è stata congegnata la moneta unica euro e la struttura monetaria dell’eurozona, che obbliga tutti i paesi a diventare degli esportatori netti se vogliono avere una qualche possibilità di sopravvivenza in questo sistema. Quando tu costringi un paese a tenere in pareggio il bilancio fiscale, ovvero il governo può spendere per i suoi cittadini, le sue imprese, il suo territorio in misura uguale di quanto preleva con la tassazione, dici in sostanza che lo stato può ricevere nuova ricchezza soltanto se aumenta le esportazioni rispetto alle importazioni. Non ci sono altri sbocchi per trovare nuove risorse finanziarie da indirizzare agli investimenti, alla ricerca, all’innovazione, allo sviluppo sostenibile.




Ma siccome questa teoria mercantilista è impossibile da applicare su scala planetaria, soprattutto in un periodo di calo generalizzato e globale della domanda (come possiamo diventare tutti esportatori netti? Chi importerà i nostri surplus?), ecco che si creano le premesse per ricominciare un nuovo Schema Ponzi uguale a prima, con i cittadini che dovranno sobbarcarsi tutto il peso sia della spesa pubblica che dei nuovi debiti contratti con l’estero, senza che ci sia un ente terzo, come lo stato democratico e sovrano, che metta un argine e un limite a questa catena di indebitamento senza fine.




Ancora una volta gli investitori esteri dovranno essere consapevoli che i loro soldi utilizzati per comprare titoli di stato italiani non serviranno a finanziare una qualsiasi attività produttiva sottostante, ma verranno incanalati in un nuovo frullatore che servirà a ripagare i creditori che sono arrivati prima di loro e hanno una posizione più alta nella piramide dei pagamenti. Tutto qui, soldi che girano a vuoto senza creare nulla.




Nonostante tutte le reticenze, le omissioni, le menzogne, i depistaggi, è importante che i cittadini italiani capiscano che non sta scritto da nessuna parte e in nessun libro di economia che la privazione dello stato della sua prerogativa sovrana di potere ripagare i debiti contratti e denominati con la sua valuta tramite la creazione di nuova moneta dal nulla, sia un bene per la nazione e per i suoi cittadini. Anzi da Adam Smith a John Maynard Keynes, tutti i maggiori economisti della storia hanno sempre dichiarato che l’intervento dello stato nell’economia, attraverso il suo potere sovrano di battere moneta, è fondamentale per garantire la stabilità e lo sviluppo equo e sostenibile dei processi produttivi.




L’economia lasciata a se stessa è per sua natura instabile ed è incapace di trovare da sola uno stato di equilibrio permanente e duraturo, finendo per incanalare sempre maggiori quantità di ricchezza in attività improduttive, speculative, che sottraggono potere di acquisto a chi sta più in basso per trasferirlo nelle mani di chi ha già abbondante ricchezza. Gli ultimi dati diffusi dalla Banca d’Italia (quindi non un ente complottista, anzi il cuore dell’attuale sistema usuraio) dovrebbero fare riflettere in questo senso: i 10 italiani più ricchi posseggono la ricchezza di 3 milioni di italiani che stanno più in basso, sono i più poveri di tutti. E sarebbe questo uno stato equo, giusto, democratico, impegnato a redistribuire equamente le risorse fra i suoi cittadini?




Tuttavia, infischiandosene dei dati, dell’etica, del lavoro di un numero incalcolabile di economisti, l’attuale classe dirigente italiana ed europea vive sulla base di un dogma, una credenza religiosa: è convinta che l’economia lasciata a se stessa possa raggiungere spontaneamente uno suo stato di equilibrio, anche se non è in grado di sapere quando e come ciò possa avvenire. Così, come per magia, tutto si aggiusta, le esportazioni ripartono e prima o dopo quei dieci italiani saranno portati per naturale evoluzione degli eventi a trasferire parte delle loro enormi ricchezze ai tre milioni di poveri. Paradossalmente però nessuno si chiede mai che anche tenere in catene milioni di cittadini e lasciare liberi di scialacquare nei vizi e nell’opulenza una ristretta fascia di persone è uno stato di equilibrio, sebbene la storia abbia dimostrato più volte che questa condizione non è stabile ma apparente perché prima o dopo gli schiavi si liberano delle catene e bisogna ricominciare a progettare un nuovo modello sociale ed economico.




Il professore Monti dovrebbe tenere a mente queste considerazioni prima di gettarsi a capofitto nel suo Schema Ponzi, nella sua truffa, perché tutti sappiamo ormai come vanno a finire queste colossali catene di Sant’Antonio. Prima o dopo la catena si spezza e chi ha creato il sistema è costretto a scappare con il malloppo per non essere linciato dalla folla inferocita. Monti ci sta provando a tirare la corda, a stringere le maglie, ma da ogni parte si avvertono i primi scricchiolii, la corda potrebbe spezzarsi da un momento all’altro.




La sua intenzione, ormai acclarata, è quella di tenere in tensione il paese per tutto il tempo necessario a ripagare il maggior numero di creditori che stanno nei piani alti della piramide e intanto butta giù decreti legge inutili per creare confusione e distrarre la folla. Mentre noi ci accapigliamo sulle pensioni, le liberalizzazioni dei taxi e delle farmacie, l’articolo 18, lui intanto paga Morgan Stanley, Goldman Sachs, JP Morgan, Banca Intesa e tutta la cricca.




Noi parliamo, scriviamo, ci azzuffiamo e lui, il sobrio professore Monti paga, riscuote le tasse, vende titoli e paga ancora una volta, convinto che nessuno si accorga del trucco e consapevole che gli italiani hanno ancora parecchi risparmi da cui attingere. E poi c’è l’enorme patrimonio artistico, storico e naturale da utilizzare come collaterale dei nuovi prestiti ricevuti: lo sanno tutti che l’Italia da questo punto di vista è un paese solvibile. Ma questo è un gioco delle tre carte che ormai conosciamo bene un po’ tutti come funziona e quindi continuando a denunciare la truffa è possibile immaginare un gran finale di questo racconto.




Un cittadino italiano qualunque si sveglia la mattina e si mette a ragionare alzando lo sguardo verso il cielo, finchè fra le nuvole non gli appare l’immenso Schema Ponzi in cui è incastrato. A quel punto si veste di tutto punto e comincia a spiegare agli amici del bar come funziona il meccanismo e dichiara pubblicamente che non intende più pagare le tasse per stare dentro questo gioco, innescando un'irreversibile reazione a catena. Allora e solo allora il professore Monti, o chi per lui, rilascerà la corda e sarà il caos. Un caos che potrà portare ad un nuovo Schema Ponzi uguale a quello precedente oppure alla nascita di una nuova nazione sovrana e democratica che non è mai esistita prima nella storia, chiamata Italia.





Chissà magari, immaginando questo secondo finale, già oggi molti politici italiani stanno preparando le valigie, perché sanno che prima o dopo (fra uno, due, tre anni, ma più avanti si va e più si stringe il collo di bottiglia) saranno obbligati a partire via per sempre dall’Italia. Ma Hammamet è grande. E poi c’è Gerba, Monastir, le Maldive. Chissà dove avrà deciso di trascorre le vacanze il professore Monti?
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