Economia
Banche, prendi i soldi e scappa
di Paola Pilati
Hanno avuto in prestito dalla Bce centinaia di miliardi di euro, a un tasso ridicolo, perché riaprissero il credito alle aziende. Invece hanno investito i soldi in titoli di Stato. Per diventare ancora più ricche. E addio 'sviluppo'
(04 aprile 2012)
La sede di Unicredit a MilanoBazooka o metadone? I 26 miliardi presi da
Unicredit, i 36 di Intesa, i 25 di Mps, ma anche i 14 del
Banco Popolare, sono un'arma letale contro la recessione o un palliativo per tenere in vita un organismo sfibrato? Il dibattito sugli effetti che il fiume di euro - fino a oggi circa mille miliardi - offerti alle banche europee da Mario Draghi per placare la sete di liquidità, sta montando, e dividendo le opinioni in due partiti: quelli che lo vedono come una mano santa, che ha tenuto accesa la macchina del credito che altrimenti si sarebbe ingrippata; e quelli che, viceversa, considerano le banche che vi hanno attinto come incapaci di sostenersi nel business da sole, e quindi candidate naturali a una nazionalizzazione.
Per vedere chi ha ragione, la domanda rivolta ai banchieri da entrambe le parti è la stessa: cosa ne avete fatto di quei soldi? Li avete affidati al tesoriere, con il mandato di amministrarli solo nell'interesse del bilancio e degli azionisti, o siete stati più generosi con i clienti allo sportello? A mettere le cose in chiaro sul fronte italiano, è sceso in campo
Roberto Nicastro, direttore generale di Unicredit, uno dei pesi massimi del settore, che ha parlato per tutti: avremo anche fatto errori, ma abbiamo ridato all'economia reale tutti i denari raccolti in Italia - ha detto in sintesi - quanto a quelli messi a disposizione dalla Bce, sono serviti a "sostituire" le risorse che a causa della recessione ci venivano meno. D'altra parte, ha concluso Nicastro, non si può pensare che le banche facciano beneficienza: "Senza banche in salute non ci può essere nuovo credito". Dunque anche la redditività del business è importante.
Una difesa con l'obiettivo di dissipare i sospetti più insinuanti: che le banche italiane abbiano in realtà preso la liquidità offerta dalla Bce a un tasso dell'1 per cento per fare grassi "carry trade" (cioè prendere in prestito a interesse basso e investire su titoli a tassi più alti, lucrando sulla differenza) oppure che l'abbiano usata per ricomprare le proprie obbligazioni, scese di prezzo, o anche che abbiano lasciato la liquidità in gran parte inutilizzata nei forzieri di Francoforte. O tutte e tre le cose insieme. Vero, o falso?
Su quest'ultimo fronte, un dato balza all'occhio: la Bce ha in deposito una cifra record, 770 miliardi. Prendere all'1 per cento e ridepositare allo 0,25 - il rendimento riconosciuto dalla Bce - non è un affare. Ma è sempre meglio che prestare a qualcuno di cui non ci si fida, osserva un analista, e si tengono le munizioni per il futuro. Non tutti sono ottimisti sull'uscita dalla crisi, e i nervi sono a fior di pelle, come ha dimostrato qualche giorno fa la reazione alle parole di
Willem Buiter, capo economista dalla
Citibank, sui rischi di default della Spagna, e del conseguente contagio dell'Italia: i mercati hanno subito spinto all'insù il nostro spread con il bund.
Tenersi liquidi, quindi, può essere una strategia, soprattutto facendo il seguente calcolo: ogni cento euro presi, basta investirne 20 in titoli di Stato al 4 per cento, e lasciare i rimanenti 80 fermi a Francoforte allo 0,25, per ottenere il rendimento dell'1 per cento, e con ciò pareggiare il costo del prestito. Un'operazione a costo zero a cui molti hanno aderito. Ma chi? "Non le banche italiane", assicura
Gianfranco Torriero, direttore generale dell'Abi: "A gennaio i nostri depositi a Francoforte non superavano i 6,1 miliardi". "La presenza dei depositi non vuol dire che quei soldi non stanno stimolando il credito", fanno trapelare dalla Banca centrale europea, "e poi chi prende e chi deposita non è la stessa banca". E chi allora? Le prime indiziate sono le banche tedesche e olandesi. E' da lì che viene il grosso della liquidità inutilizzata, più o meno i 3/4. La spiegazione è semplice. Come si vede dal grafico a pagina 143, il sistema tedesco ha, al contrario di quello italiano, una sovrabbondanza di depositi rispetto ai prestiti che fa: 236 miliardi a fine 2011 contro il nostro "rosso" di oltre 400. Sono afflussi dai paesi europei più deboli (anche dal nostro), ma sono anche finanziamenti che le banche tedesche non vogliono fare, per non alimentare l'inflazione, visto il rialzo dei prezzi che, per esempio, si sta registrando sul fronte immobiliare. Dunque, preferiscono "restituirli" alla banca centrale.