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Che fare, quindi, per uscire dallo stallo, visto che i margini di manovra fiscale sono ormai nulli e non è possibile stimolare la crescita facendo altro deficit e debito, e la politica monetaria non può spingersi troppo in là, ad esempio indebolendo fortemente il cambio, senza rischiare guerre valutarie che rischierebbero di aprire la porta ad un rischiosissimo protezionismo? Qualcuno prova a pensare in modo spregiudicato:
Ma la monetizzazione esplicita del deficit pubblico è in sé pericolosa, perché rischia di disancorare le aspettative inflazionistiche (ne avevamo parlato anche qui), e di fare uscire dalla lampada il genio distruttivo dell’inflazione. Una soluzione più moderata consiste nell’accettare un “gradino” al rialzo nell’inflazione, tale cioè da erodere in modo costante ma non pericoloso il valore reale dello stock di debito. Questo è il senso dell’”esperimento” giapponese, con il premier Shinzo Abe che esige che la banca centrale piloti l’inflazione verso l’obiettivo del 2 per cento, sradicando la deflazione che attanaglia il paese da un ventennio. Ma è anche il caso della Bank of England, il cui governatore uscente, Mervyn King, ha comunicato nei giorni scorsi che vi è il 50 per cento di probabilità che l’inflazione attesa a due anni ecceda, sia pure di poco, la soglia di tolleranza del 2 per cento. Superfluo dire che una simile comunicazione ha indotto il mercato a vendere massicciamente la sterlina.
Al di là del rischio che le banche centrali non riescano a portare a buon fine il gradino inflazionistico senza suscitare nel mercato il timore di una escalation inflazionistica, il dibattito resta aperto. Perché, in un modo o nell’altro, di questo debito ci si dovrà liberare. Se ciò avverrà attraverso la crescita economica (quale?), con default espliciti o con inflazione, resta da vedere.