Un paese in pieno caos
Da alcuni mesi il Venezuela è oggetto di attenzione per il preoccupante caos politico, sociale ed economico che sta vivendo. Il
Presidente Nicolas Maduro è al minimo di popolarità. Un referendum informale organizzato in fretta e furia dall’opposizione ha raccolto, domenica scorsa, oltre 7 milioni di voti contrari alla sua proposta di Assemblea Costituente. E ora l’opposizione intenderebbe nominare un nuovo governo, parallelo a quello ufficiale. Il caos.
Si tratta con ogni probabilità delle pagine finali del
Chavismo, uno degli ultimi governi populisti presenti in America Latina. Un sistema che, fino ad certo momento, è riuscito almeno a tenere il reddito pro-capite dei cittadini agganciato a quello dei paesi vicini. Ma dopo il collasso del petrolio da 110 a 25 USD / barile, tra il 2014 e il 2015, le cose sono divenute più difficili per un’economia che il Chavismo ha legato al destino di un solo prodotto, il petrolio appunto.
Crescita a picco, inflazione alle stelle
Secondo il Fondo Monetario lo scorso anno il PIL ha segnato un calo del 18%. Le previsioni di recupero (a –7% per quest’anno) appaiono ottimistiche alla luce del caos che si è scatenato nel frattempo.
E siccome le disgrazie non vengono mai da sole, il
collasso dell’economia si accompagna con un’esplosione dell’inflazione. I dati economici di produzione venezuelana non sono "sospesi" per ordine del governo, ma secondo l’FMI, l’inflazione media è stata pari al 250% nel 2016, mentre ora si viaggerebbe ad un ritmo strabiliante del 700%. L’
iperinflazione era un fenomeno piuttosto ricorrente per i paesi dell’America Latina fino ad un paio di decadi fa. Ma di solito era associato a crescita economica positiva.
La condizione di
iper-stagflazione del Venezuela è decisamente grave.
Non possiamo essere certi che questo sia il capitolo finale del Chavismo. E se lo fosse, nessuno sa quanto durerà questa fine travagliata. Ma se le cifre del FMI sono vere, la situazione non può durare per molto.
E la valuta si scambia in nero
Ovviamente la valuta e le riserve valutarie sono a picco. In realtà, guardando il tassi di cambio "ufficiali" non starebbe succedendo un granché. Il “
Dipro”, cambio applicato alle importazioni di medicine e alimenti, è fissato a 10 bolivares per dollaro. Il “
Dicom”, cambio secondario, che si dovrebbe applicare per chi va all’estero e chi fa acquisti in rete (entrambe le pratiche sono in disuso nelle condizioni economiche attuali) era stato introdotto ad un valore di 200 bolivares per poi fluttuare secondo le esigenze del "mercato" e del governo. Ora è indicato a 3000. In realtà, come per tutte le economie controllate e in iperinflazione, l’unico cambio che conta è quello del
mercato nero, dove servono 8500 bolivar per comprare un dollaro (fonte dolartoday.com). Da inizio anno il "black bolivar" ha perso oltre il 60% contro dollaro. Il 90% dal 2016.
La borsa inizia a puntare sulla svolta?
La
borsa venezuelana, se misurata in dollari usando il "black bolivar" come cambio, ha perso tra metà 2013 e fino 2016 quasi l’80%. Dall’inizio di quest’anno però sta mettendo a segno un solido +50%, a dispetto del forte deterioramento macro. O forse proprio per questo. Perché anche a Caracas vale la dura legge dei mercati per cui "quando Main Street piange, Wall Street ride".
Il rapido deterioramento della situazione sta probabilmente inducendo gli investitori più avvezzi al rischio a pensare che una
svolta politica stia diventando inevitabile. In questo caso il sollievo potrebbe ricordare quello che ha seguito l’elezione di Macri in Argentina nel 2015, evento che ha segnato la fine del Peronismo in quel paese. Come, quando e chi possa essere il Macri venezuelano in grado di chiudere il Chavismo però, al momento, non è possibile pronosticarlo.
Appunti emergenti
Filippo Guerzoni Team Macro Research di Eurizon