VOLEVO DIRE ALLE COSE BELLE, CHE ARRIVANO QUANDO MENO TE LO ASPETTI, CHE IO NON LE STO ASPETTANDO.

E' bene mettere i puntini sulle I e conoscere di cosa si sta discutendo.
Purtroppo gli sproloqui sono in tanti ad emetterli, a mo' di vagito di mucca.

L’obbligo di salvare in mare una nave in difficoltà è antico e millenario.
Poi ha avuto uno sviluppo consuetudinario, che è stato recepito da molte convenzioni internazionali.
Chi decide, però, il porto sicuro non è assolutamente il comandante della nave“.
Sono le parole di Elda Turco Bulgherini, esperta di Diritto Internazionale e professore ordinario di Diritto della Navigazione nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma “Tor Vergata”.

Ospite di Tagadà (La7), la docente spiega:
“Se la nave capita in una determinata zona SAR che è ascrivibile a un determinato Stato, a decidere il porto sicuro è l’autorità del Paese responsabile della zona SAR.
Ci sono, però, delle situazioni molto anomale, come nel caso di Malta
che, a livello unilaterale, ha dichiarato una zona SAR estremamente estesa, che arriva fino alle nostre isole e a Lampedusa.
L’Italia ha molto debolmente contrastato questa posizione” – continua – “perché poi, in realtà, Malta, pur prendendo tutti i finanziamenti europei per la sua zona SAR,
costantemente non interviene
e chiama direttamente il Centro italiano, il quale finora ha sempre garantito la sua risposta.
Nel caso della nave Sea Watch, questa si trovava in acque SAR libiche e doveva andare in Tunisia, dove c’era il porto più vicino”.

E aggiunge: “In realtà, la Sea Watch non solo non è andata in Tunisia, ma ha dirottato verso Malta,
senza neppure fermarsi o chiedere alla stessa Malta, preferendo andare direttamente verso l’Italia.
Questo è accaduto evidentemente per decisione del comandante, il quale ha disatteso le indicazioni che il Centro di Responsabilità SAR del Paese, cioè della Libia, gli aveva fornito”.

La docente poi chiosa:
“A chi fanno riferimento i migranti che si trovano su una nave?
Laddove non c’è giurisdizione di nessuno Stato, ovvero nelle acque internazionali, vale solo la legge della bandiera.
Quindi, chi sale sulla nave nelle acque internazionali è sottoposto all’ordinamento giuridico del Paese dove la nave è registrata”.
 
"Una sconfitta per la giustizia , una dimostrazione che in Italia la giustizia è una opinione ,
una vergogna per tutti gli altri giudici , che però omertosamente tacciono, accusano il colpo , cane non mangia cane.
Qualche cosa non funziona, troppe cose non funzionano, se per l'omicidio stradale la pena è da 2 a 7 anni
come si fa a condannare un bastardo che spara a un ragazzo e lo lascia morire volontariamente
con la complicità di tutta la famiglia, a soli 5 anni ?."

La notte del 18 maggio 2015, Marco Vannini venne portato in ambulanza
presso il punto di primo soccorso di Ladispoli oltre un’ora dopo lo sparo.

Ai soccorritori i Ciontoli avevano detto una serie di bugie: che il giovane era scivolato,
poi che aveva avuto un attacco di panico dopo uno scherzo, e che si era ferito con un pettine.

Ciontoli, militare di carriera, ammise che il giovane era stato colpito, per errore, da un proiettile, solo davanti al medico di turno:
la ferita che aveva sotto l’ascella destra, a prima vista, non lasciava pensare a un colpo di arma da fuoco,
ma il giovane aveva perso oltre due litri di sangue.

Il proiettile aveva ferito gravemente il cuore e i polmoni, ma se fosse stato trasportato subito in ospedale,
secondo i periti del tribunale, con tutta probabilità si sarebbe salvato.
 
29-gennaio-2019.jpg
 
Non tengo apple ......ahahahah eri consapovole ma non facevi nulla.
Chi hai spiato in tutto questo tempo ?

Apple fa da sempre della difesa della privacy uno dei suoi punti di forza.
Eppure proprio il colosso di Cupertino si ritrova ora a fare i conti con un «bug», un errore nel software di sistema,
che consente ad alcuni possessori di iPhone tramite l'app di FaceTime
di ascoltare chi sta dall’altro capo del telefono prima ancora che questi risponda alla chiamata.

Il «baco» avviene tramite la funzione delle chiamate di gruppo, resa temporaneamente inutilizzabile da Apple
mentre si sta affannosamente cercando una soluzione al problema.

Una situazione paradossale, resa ancora di più tale se si considera che alcuni utenti di iPhone
sono riusciti addirittura a vedere chi stava dall’altra parte in video senza che questi rispondessero.

Una clamorosa «breccia» nella privacy che sta facendo il giro del mondo, dopo il primo avviso lanciato dal sito 9to5Mac
e le successive conferme arrivate un po’ da ovunque.

«Siamo consapevoli del problema e abbiamo identificato una soluzione che sarà diffusa con un upgrade del software più avanti nel corso della settimana»,
ha fatto sapere l’azienda di Cupertino in una nota che ha fatto subito seguito all’evidenziazione del problema da parte della stampa specializzata.
 
E' desolante vedere quell'ammasso di legna che nessuno raccoglie.
E che servirebbe per riscaldare.
Nessuno più che pulisca le rive.
 
Eccone un altro .....

Quanto vale la propria privacy?
Per qualche migliaio di ragazzi, dai 20 ai 35 anni, circa 20 dollari al mese.

Questa è la cifra che Facebook era disposto a pagare a chi si sottoponeva ad una pratica di spionaggio consentito.
Presentata come una Vpn, una rete privata, bastava installare l’applicazione Facebook Research, su Android o iPhone,
per inviare alla compagnia tutti gli utilizzi che si faceva delle piattaforme legate al gruppo
(la stessa Facebook, Messenger, Instagram, probabilmente anche WhatsApp) e persino la cronologia di acquisto di Amazon.


Fuori dal controllo degli store
A riportare la questione è il sito TechCrunch, che spiega come Facebook Research facesse parte del più ampio Project Atlas,
una non ben chiara iniziativa volta ad ampliare la conoscenza sulle identità online, con scopi differenti.
Proprio nel 2016 la compagnia fondata a Palo Alto ha cercato individui in qualità di test per le attività di monitoraggio,
dando la possibilità, una volta firmato l’accordo, di installare Research da un link diretto.

E in questo modo l’app restava estranea al controllo dei negozi digitali (App Store, Play Store) e non identificabile dai produttori.

Una volta registrati, secondo quanto riferito, gli utenti accettavano di «inviare informazioni inerenti l’uso dello smartphone,
delle app principali e del modo in cui venivano utilizzate».

Ma non solo: le piattaforme a cui Facebook Research non aveva accesso, perché protette oppure con una memorizzazione dei dati solo in locale,
sul telefonino, venivano ingannate in una forma molto rudimentale: il team del social chiedeva alle persone di salvare screenshot delle operazioni più rilevanti,
ad esempio l’acquisto di oggetti e servizi su Amazon, e di inoltrare le immagini via mail.
Tutto ciò ha contribuito a realizzare un profilo molto più completo e appagante di un vasto numero di iscritti, seppur non si conosca attualmente la cifra esatta.

Raggiunto da TechCrunch, Facebook ha dichiarato che la ricerca era volta ad aiutare la compagnia
a capire come le persone usano i loro aggeggi mobili, per migliorare l’offerta,
senza condividere le informazioni con altri e permettendo un’interruzione della partecipazione in qualsiasi momento.

«Nessuno ha spiato nessuno. Tutte le persone che hanno accettato di partecipare
hanno attraversato un processo di formazione trasparente a riguardo,comprendendo di cosa si trattava, a fronte di un guadagno.
Inoltre, meno del 5% ha interessato un pubblico minorenne, in ogni caso supportato e abilitato da genitori e rappresentanti».

Come spesso accade nel settore della sicurezza informatica, bisognerebbe definire dove finisce la libertà individuale e comincia il rischio per la massa.

Le informazioni di Project Atlas dove sono finite, con quali server trasmessi e in quali data center conservate?
Lo si può chiamare test ma quando coinvolge una piccola parte di una piazza da oltre 2,2 miliardi di utenti è molto più che un semplice esperimento.
 
Niente scorta per l’ex pm di Palermo,e attuale avvocato, Antonio Ingroia:
secondo il Tar del Lazio, infatti, allo stato non si ravvisano i presupposti per la sospensione del provvedimento
con il quale a luglio scorso è stata revocata la misura della “tutela su autovettura non protetta” per l’ex magistrato.

Ingroia, sotto scorta da quasi trent’anni, si è rivolto ai giudici amministrativi per chiedere la sospensione
– e il successivo annullamento in sede di giudizio di merito – del provvedimento di revoca della misure di sicurezza personale
e, in particolare, della misura di quarto livello (“tutela su autovettura non protetta”).

Il Tar ha però ritenuto che “al sommario esame” proprio di questa fase,

“non si ravvisano i presupposti per l’accoglimento dell’istanza cautelare”,

e che

“il provvedimento impugnato risulta, adottato a seguito di una scrupolosa istruttoria, all’esito della quale gli uffici competenti (…)hanno rilevato l’assenza”, i
n questo momento, “di elementi attia evidenziare condizioni di rischio” nei confronti di Ingroia,il quale peraltro non ha addotto elementi “in senso contrario”.

Insomma, tra i personaggi celebri su cui ci sono dubbi sulla reale utilità del servizio, resta solo la scorta a Roberto Saviano.
In alcuni ambienti si vocifera che il conto alla rovescia per toglierla finalmente anche allo scrittore sia cominciato.
 
Quando si acquista un prodotto - anche alimentare sempre guardare l'etichetta.
Faccio l'esempio della crema gianduia di una nota casa piemontese, ora in smantellamento. Prodotta in turchia.

“Prodotto importato dalla Cina”: questa è l’indicazione di provenienza specificata
sulle etichette delle confezioni di filetti di merluzzo vendute nei supermercati francesi.

Ma come è possibile che una specie ittica pescata nelle acque dell’Atlantico del Nord
passi per il Paese di Mezzo e poi finisca sugli scaffali della grande distribuzione organizzata in Europa?

L’emittente francese France 5, in una recente inchiesta, ha cercato di far luce sui motivi
di questo viaggio improbabile del merluzzo nordico – e i risvolti sono stati a dir poco sorprendenti.

Avant d'atterrir dans nos congélateurs, le cabillaud péché en Norvège est envoyé en Chine.
15 000 km de voyage pour économiser sur la main d'oeuvre.
Et ce n'est pas tout…(Re)voir "Mollo sur le cabillaud" dans Le doc du dimanche ►Replay Le doc du dimanche - Mollo sur le cabillaud ? - France 5

L’aumento esponenziale della domanda ha portato paesi come la Norvegia, uno dei principali esportatori di merluzzo nordico,
non solo a impiegare metodi di pesca industriale poco sostenibili, ma anche a compiere
altre scelte di dubbia natura etica per mantenere un vantaggio competitivo sul mercato internazionale.
 

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